GOZZADINI, Delfino
Nacque a Bologna intorno al 1375 da Nanne di Gabione e da Giovanna di Giovanni Negrisoli.
Dei loro numerosi figli fu il solo a vestire l'abito religioso e fu monaco benedettino nel 1392 nell'abbazia dei Ss. Naborre e Felice di Bologna. Nel dicembre del 1395 ne era già abate ed ebbe presto modo di farsi apprezzare come amministratore dalle autorità romane, curando il versamento dei censi dovuti alla Camera apostolica e ottenendo le dovute autorizzazioni alla cessione di proprietà immobiliari per sanare la precaria situazione economica del monastero. Nel 1399 ebbe anche occasione di dare prova di altre qualità, egualmente apprezzate nella Curia romana ove espose con disincantata lucidità il proprio giudizio sull'opera di un sacerdote che, munito di un crocefisso che versava lacrime, stava mobilitando una folla di fedeli per guidarli a Roma nella ricorrenza del giubileo. Oltre che per queste doti il G. si faceva apprezzare anche per altri motivi, diversi ma tutti di notevole peso. Vi era da un lato la preminente posizione sociale e politica del padre Nanne in Bologna e la solidità e ricchezza del banco di famiglia che aveva filiali a Venezia, Ferrara, Genova e nella stessa Roma. Vi era dall'altro la dignità di abate dell'abbazia di S. Silvestro di Nonantola, concessa nel 1398 al cugino Battista, figlio di Bonifacio Gozzadini.
Nel maggio del 1400 le non troppo celate aspettative del G. vennero esaudite: Bonifacio IX nominò Battista abate di Pomposa e quindi il G. abate di Nonantola. Tra le due abbazie quella di Nonantola godeva di rendite molto inferiori, ma la sua ubicazione, al confine tra i territori di Modena e di Bologna, ne faceva un punto di importanza strategica notevole in un momento nel quale il padre del G. sembrava avviato ad assumere la signoria della città. È pertanto comprensibile che in una lettera inviata a Nanne il 18 maggio 1400 il fratello del G., Gabione, che sovrintendeva al banco di Roma, parlasse con orgoglio di questa doppia nomina, come di un successo per l'intera famiglia.
Che si trattasse di un reale successo per la famiglia lo prova un'iniziativa assunta dal G. poco dopo la sua nomina ad abate. Nel 1401 egli concesse in affitto alla madre Giovanna 1088 tornature di terra, corrispondenti a circa 225 ettari - di proprietà dell'abbazia, a Casumaro di Cento -, per un canone annuo di un denaro e mezzo a tornatura, che era un importo pressoché simbolico. D'altra parte il G. in questo periodo era interessato soprattutto a collaborare attivamente alle iniziative economiche del padre, come attesta una sua lettera scritta a Nanne da Ferrara il 2 dic. 1401 e che ha tutte le caratteristiche della comunicazione di un agente di affari. Lo informava di quanto intrapreso per recuperare i crediti dell'abbazia ed esponeva in dettaglio i prezzi correnti delle derrate alimentari sul mercato ferrarese.
Il suo coinvolgimento nelle iniziative del padre si estese poi dagli affari alle azioni politiche e perfino militari, partecipando di persona alla difesa del castello di Cento, assediato dalle milizie del cardinale Baldassarre Cossa nell'inverno del 1403.
La sconfitta di Nanne ebbe naturalmente riflessi negativi sulla vicenda del Gozzadini. Nel processo per sedizione e tradimento che B. Cossa fece istruire nel novembre del 1403 contro Nanne, Gabione, gli eredi e la memoria di Bonifacio (fratello di Nanne), che era stato già decapitato, compaiono quali imputati anche Battista, abate di Pomposa, e il G., abate di Nonantola.
Nel settembre del 1404 B. Cossa lo privò delle rendite dell'abbazia, avendone assunto egli stesso l'amministrazione quale commendatario. Il 12 febbr. 1405 Innocenzo VII dichiarò il G. decaduto da abate di Nonantola per le gravi colpe delle quali si era macchiato e affidò l'abbazia in commenda a Gian Galeazzo Pepoli. Le colpe del G. non erano altro che la sua condivisione delle iniziative del padre e la loro gravità derivava dalla coerenza con cui anche in questo periodo particolarmente infelice per la famiglia egli manteneva la posizione assunta. Nel 1406 l'ostilità di B. Cossa indusse i Pio di Carpi, ove il G. con i fratelli più piccoli e le sorelle si era rifugiato grazie a un loro salvacondotto, a rinchiuderlo in carcere e solo una provvidenziale fuga gli consentì di evitare di essere trascinato a Bologna.
Nel settembre del 1407 il G., coi fratelli Giacomo e Nicolò, era a Rovigo ove li raggiunse il padre: fu il loro ultimo incontro poiché durante il viaggio di ritorno a Ferrara Nanne morì.
Negli anni seguenti il G. condivise costantemente con i fratelli le iniziative intraprese per rientrare in Bologna e riprendervi posizioni di prestigio quali esponenti della oligarchia ostile al dominio pontificio. La loro azione, all'inizio fortemente contrastata, ebbe uno sbocco positivo nel 1416 quando una sommossa guidata da esponenti dell'aristocrazia, tra i quali il fratello del G., Giacomo, obbligò il governatore pontificio ad abbandonare la città. Tra i provvedimenti adottati dal nuovo regime vi fu l'annullamento delle misure punitive adottate in precedenza contro tutti i figli di Nanne Gozzadini.
Dal maggio del 1416 il G. fu di nuovo a Bologna e abitò in una casa nella cappella di S. Michele dei Leprosetti, tradizionale luogo di residenza della famiglia. Con una certa frequenza fu accanto al vescovo Nicolò Albergati, che affermò in seguito di essersi giovato della sua collaborazione. Sia nei documenti che dal 1416 attestano la presenza del G. a Bologna - e tra essi diverse registrazioni di esami pubblici e privati per il conferimento del dottorato in diritto civile e canonico - sia in documenti di papa Martino V del 1418 il G. viene costantemente citato quale abate di Nonantola, mentre nei documenti dell'abbazia nonantolana l'abate è sempre Gian Galeazzo Pepoli. Il fatto, attentamente rilevato da G. Tiraboschi (p. 166), è stato spiegato quale risultato di una reintegrazione del G. nel solo titolo di abate di Nonantola "senza però che giammai ne esercitasse alcun atto", spiegazione che appare tuttora convincente. A questa reintegrazione nominale fecero comunque seguito altre significative prove di un atteggiamento di Martino V nei confronti del G. ben diverso da quello dei suoi predecessori. Il 30 apr. 1418 il papa nominò il G. tesoriere e ricevitore generale della Romagna, due incarichi di grande rilevanza economica e politica e in quanto tali solitamente attribuiti a due persone diverse. L'anno seguente lo nominò abate di S. Maria di Casanuova, nella diocesi di Penne (ora in provincia di Pescara) e ne estese l'incarico di ricevitore generale dalla Romagna ad altre province ecclesiastiche; il 28 nov. 1420 lo nominò vescovo delle diocesi unite di Penne e Atri. In un primo tempo il G. raggiunse effettivamente le diocesi assegnategli, ma le loro scarse risorse economiche gli resero ben presto difficile permanervi.
Una lettera scritta al fratello Alessandro a Roma dal palazzo vescovile di Atri il 17 febbr. 1423 dà un quadro tutt'altro che esaltante della situazione propria e della diocesi: poche le proprietà e male condotte; scarse le rendite del beneficio; irritanti i sospetti di alcuni ambienti della Curia romana e della Camera apostolica che egli trattenga per sé quanto dovrebbe trasferire a Roma; tanto difficile la sua situazione che, in mancanza di un aiuto concreto da parte del papa, non potrà affrontare le spese per recarsi al concilio; necessaria la richiesta al papa di un altro beneficio, unico mezzo per poter sopravvivere. In questo quadro a tinte decisamente fosche si intrecciano pochi tratti di diversa natura: resoconti di affari personali, prudentemente trasmessi in cifra; notazioni di rapporti con mercanti e corrispondenti di diverse parti d'Italia; avvisi delle tante sollecitazioni con cui i vari signori tentavano di procurare benefici ecclesiastici ai propri congiunti; scambi di informazioni con il fratello circa i rispettivi referenti nella Curia romana; la richiesta di qualche capo di vestiario ("berrette fini, da portare di giorno"), evidentemente difficili da reperire nelle botteghe di Atri o di Penne.
Non risulta che le speranze espresse dal G. di un miglioramento della sua situazione economica abbiano avuto un rapido appagamento. Sembra anzi che egli abbia dovuto sostenere personalmente le spese per opere di difesa della sede vescovile di Penne e della stessa cittadina, minacciate dalle incursioni dei briganti che infestavano le montagne abruzzesi.
A partire dal 1430 il G. era di nuovo a Bologna, presente agli esami per il conferimento di lauree, ma impegnato anche in missioni in rappresentanza della città. Nel luglio di questo anno gli scontri tra la fazione dei Canetoli, sostenuta da Filippo Maria Visconti, e quella di Antonio Bentivoglio, vicino in questo periodo all'autorità pontificia, si erano risolti, provvisoriamente, con l'affermazione dei Canetoli e il bando degli avversari. Il luogotenente del legato, il podestà e le altre autorità cittadine di nomina pontificia abbandonarono la città. Il Collegio dei riformatori e gli Anziani disposero allora l'invio di un'ambasceria al papa Martino V per stornarne un'azione che si aveva motivo di temere particolarmente violenta; il G. fece parte di questa ambasceria. Nella primavera del 1431 fu di nuovo a Roma per esprimere le felicitazioni della città al nuovo papa Eugenio IV, il veneziano Gabriele Condulmer, del quale egli era amico personale da oltre vent'anni. La disponibilità del G. ad agire a favore della città indusse gli organi di governo a inserire nelle richieste presentate nell'agosto del 1431 a Fantino Dandolo, nuovo governatore pontificio (e volte ad ampliare l'ambito di autonomia della città) anche quella di concedere a due ecclesiastici bolognesi, uno dei quali era il G., benefici congrui alla loro dignità. Il governatore accolse anche questa richiesta e il 22 agosto Eugenio IV la confermò, ma non è chiaro come poi essa sia stata tradotta in atto.
L'anno seguente il G. fu di nuovo a Roma per sollecitare aiuti contro una temuta azione delle milizie viscontee, che agivano d'intesa con i Canetoli, ancora prevalenti in città. Eugenio IV non poté fornire alla richiesta bolognese una risposta adeguata in termini militari, ma solo l'attestato di una sua perdurante attenzione per la città e per quella parte dell'oligarchia che si manteneva fedele alla Chiesa. In questo senso sembra possa interpretarsi la nomina di Alvise Maria Griffoni quale commendatore di S. Maria del Tempio, solennizzata da una fastosa cerimonia nella chiesa di S. Petronio, durante la quale il G. vestì A.M. Griffoni dell'abito e delle insegne della dignità conferitagli. Ma una cerimonia non poteva bastare a bloccare le aspirazioni dei Canetoli e di Filippo Maria Visconti, che anzi intensificarono ben presto la loro azione. All'inizio del 1433 per contrastarli F. Dandolo tentò di far entrare in città le milizie di Erasmo da Narni detto il Gattamelata, al soldo dei Veneziani, ma disposto a sostenere le posizioni del papa in Romagna. Il tentativo fu scoperto e F. Dandolo stimò prudente allontanarsi da Bologna. Si recò a Castel San Pietro e poi a Venezia e il G. lo accompagnò.
La sua fedeltà alla Chiesa e al papa Eugenio IV ebbe infine un riconoscimento con la nomina il 23 marzo 1433 a vescovo di Fossombrone. Quando il G. abbia raggiunto la nuova sede non è noto, ma dovette farlo quanto meno nel 1434 poiché sembra che a Fossombrone egli sia morto in questo stesso anno.
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