Delegificazione
di Luisa Torchia
La scienza giuridica italiana si è interessata alla d. sin dagli anni Sessanta del 20° sec., nel quadro del rinnovato interesse per l'assetto delle fonti di produzione del diritto conseguente all'entrata in vigore della Carta costituzionale, enucleando un modello, ormai superato, basato sulla capacità della legge di d. di degradare le norme legislative a norme regolamentari, oppure di attribuire loro carattere dispositivo, rendendole perciò abrogabili o derogabili da parte dei regolamenti governativi.
A un periodo successivo e più breve risalgono, invece, le esperienze effettive di d., quasi tutte concentrate, come origine, tra la fine degli anni Ottanta e l'inizio degli anni Novanta, con un processo di sviluppo che ha portato a elaborare una nuova definizione della fattispecie.
La nozione
La nozione di d. più diffusa e sulla quale si registra il più ampio consenso pone in rilievo un fenomeno di sostituzione: mediante la d. una norma (o una disciplina) di rango primario viene sostituita da una norma (o da una disciplina) di rango inferiore o, comunque, non legislativo.
Una parte della dottrina, specie di quella costituzionalistica, si è concentrata soprattutto sulla sostituzione delle norme legislative mediante norme regolamentari, tanto è vero che spesso il tema della d. e il tema della potestà regolamentare sono trattati insieme e che il dibattito si è focalizzato sulla natura e i limiti dei regolamenti, sia statali, sia - dopo la riforma del Titolo v della Costituzione a opera della l. cost. nr. 3 del 2001 - regionali e locali.
La sostituzione di una norma legislativa con una norma regolamentare configura, però, soltanto una fra le specie di d. rinvenibili nel nostro ordinamento e non esaurisce né la nozione, né il fenomeno, che devono essere esaminati nella loro interezza per avere un quadro completo e una percezione non distorta dell'esperienza giuridica della d. e dei suoi profili critici e problematici.
L'effetto di sostituzione posto a base della nozione di d. si verifica, infatti, in almeno tre fattispecie diverse e ulteriori rispetto a quella fondata sul ricorso a una norma regolamentare: a) la sostituzione di una norma o disciplina legislativa mediante un contratto collettivo (così nell'ambito della cosiddetta privatizzazione del pubblico impiego nel 1993, ma anche, in precedenza, nella legge quadro sulla contrattazione collettiva del 1983 e relativamente a singoli settori, come nel caso delle Ferrovie dello Stato nel 1985); b) la sostituzione di una norma o disciplina legislativa mediante statuti di enti pubblici (così, per es., per le università); c) la sostituzione di una norma o disciplina legislativa statale mediante regolamenti di enti diversi dallo Stato (così, per es., per i regolamenti di alcuni enti pubblici non economici o degli enti locali).
A queste fattispecie si aggiunge, in alcune ricostruzioni, il passaggio di una materia o, comunque, di una serie determinata di rapporti giuridici, dalla sottoposizione alla potestà legislativa (soprattutto statale) al libero svolgimento dell'autonomia privata. Quest'ultima ipotesi è da ricondurre, però, più che alla nozione di d., alla nozione di deregolamentazione. Quando si delegifica, si mantiene una regola, ma se ne modifica il rango, mentre quando si deregolamenta, i rapporti giuridici non sono più disciplinati mediante una regola posta a priori e valida per tutti, ma sono rimessi alle specifiche determinazioni, caso per caso, dell'autonomia privata, esercitata, naturalmente, in base alle condizioni generali definite dall'ordinamento.
Il tratto comune a tutte le specie di d. è, come si è detto, la sostituzione di una norma primaria con una norma di diversa natura e di diverso rango. Le diverse specie si differenziano, invece, sia per quanto riguarda le concrete modalità di produzione dell'effetto di d., a seconda dello strumento messo in opera, sia per quanto attiene alla permanenza dell'effetto di sostituzione: in prima approssimazione, e rinviando alle argomentazioni svolte in seguito per un esame più analitico, può dirsi che l'effetto di sostituzione è, in alcuni casi, irretrattabile, mentre resta, in altri casi, la possibilità per la legge di intervenire nuovamente su di una materia precedentemente delegificata.
Sono diversificate, inoltre, anche all'interno di ciascuna specie, le distinte modalità procedimentali mediante le quali si realizza la d., tanto che gli studi più recenti preferiscono utilizzare il termine al plurale ed esaminare le d., anche in ragione delle tante variazioni, soprattutto procedimentali, che il legislatore ha introdotto rispetto al modello originario istituito nel 1988. Tali variazioni sono rilevanti, però, sul piano dei modelli operativi e, pur dovendosene naturalmente tenere conto a fini ricostruttivi, sono meno significative sul piano sistematico, di modo che, pur con le avvertenze già segnalate, sembra più utile riferirsi alla d. come a un genus unitario, al quale appartengono diverse species.
Le ragioni e gli obiettivi. - Le ragioni giustificatrici del ricorso alla d. sono andate mutando nel corso del tempo e hanno portato a una trasformazione della d. da strumento con valenza prevalentemente tecnica, finalizzato a una più razionale distribuzione di materie e oggetti fra le diverse fonti, a strumento di governo di alcuni processi di modernizzazione del sistema pubblico nel suo complesso.
La delegificazione e il sovraccarico legislativo
L'esigenza di delegificare viene fondata, infatti, nel dibattito tra la fine degli anni Sessanta e gli inizi degli anni Novanta, soprattutto sull'esigenza di correggere il sovraccarico legislativo che caratterizza tutti gli ordinamenti contemporanei, e che trae origine dall'enorme ampliamento della sfera pubblica in quegli anni o, per usare la terminologia di M.S. Giannini, dall'avvento dello Stato pluriclasse e dalla contestuale necessità di assicurare cura e tutela a tanti e diversi interessi, non omogenei quanto a natura e dimensione. A questa moltiplicazione di interessi da curare corrisponde anche la moltiplicazione degli strumenti di cura - battere moneta e assicurare l'istruzione obbligatoria sono funzioni che richiedono strumentazione assai diversa - e la moltiplicazione dei possibili conflitti fra interessi diversi. Di qui anche la crescente procedimentalizzazione dell'attività pubblica e l'esigenza di stabilire regole e meccanismi che consentano di ordinare i processi decisionali e di intervento in misura prima sconosciuta e con frequenti modifiche e aggiornamenti.
Utilizzare la legge per far fronte a questo compito significa o rinunciare ai caratteri di generalità e astrattezza che ne costituiscono l'essenza o rinunciare ad assolvere il carico regolatorio che ogni ordinamento contemporaneo porta con sé. Il problema non emerge, infatti, solo in Italia, ma è comune a tutti i Paesi sviluppati, anche se in Italia ha assunto forme più acute per la mancata razionalizzazione del procedimento legislativo, per la marginalizzazione della potestà regolamentare nella Carta costituzionale del 1947 e per la pluridecennale mancanza di ricambio tra forze di governo e forze di opposizione dal 1948 alla metà degli anni Novanta, che ha inevitabilmente portato a cercare nella difesa della legge ordinaria e delle riserve di legge le garanzie di partecipazione per un'opposizione che si vedeva permanentemente esclusa dalla possibilità di governare.
In Italia come in altri Paesi lo strumento per correggere il sovraccarico legislativo si individua, però, nello spostamento delle decisioni di dettaglio e organizzative in fonti secondarie, più facilmente e frequentemente modificabili, al fine di mantenere alla legge sia i suoi caratteri di generalità e di astrattezza, sia almeno una relativa stabilità. È facile osservare che la d., così intesa, non diminuisce necessariamente la quantità e la diffusione delle norme, ma si limita a incidere sul rango delle stesse, distribuendo le materie e gli oggetti tra la fonte primaria e la fonte secondaria. La relativa mobilità dei confini fra le due, che così si produce, ha trovato ulteriori ragioni nelle necessità indotte dal processo di integrazione comunitaria, con particolare riferimento alla individuazione di un 'veicolo' di recepimento del diritto europeo che ne consentisse la più rapida ed efficace messa in opera: di qui anche la frequente previsione, nelle cosiddette leggi comunitarie, del ricorso ai regolamenti quali strumenti di attuazione delle norme europee.
Sul piano dell'esperienza, peraltro, il ricorso alla d. per far fronte al sovraccarico legislativo è stato, in Italia, assai limitato, almeno sino all'inizio degli anni Novanta, mentre più significativa è stata la connessione della d. con i processi di modernizzazione e di semplificazione del sistema amministrativo nel suo complesso, avviati e sviluppati, con alterne vicende, negli anni successivi.
La delegificazione in un ordinamento plurale
All'interno di quei processi è emersa innanzitutto la connessione fra d. e forma di governo, sotto il duplice profilo dei rapporti fra esecutivo e legislativo e dell'equilibrio fra monismo e pluralismo. Sotto il primo profilo, la d. ha ampliato significativamente la potestà normativa del governo, pur in mancanza di una espressa riserva di regolamento, che l'ordinamento italiano, a differenza di quello francese, non conosce neanche a seguito dell'espresso riconoscimento e consolidamento della potestà regolamentare conseguente alla riforma del Titolo v della Costituzione nel 2001 (art. 117, 6° co.). Sotto il secondo profilo, il ricorso alla d. riflette la natura plurale e non più monista dell'ordinamento per quanto riguarda il novero dei soggetti abilitati a porre regole e disciplinare rapporti: il riconoscimento dell'autonomia degli enti locali, delle università, delle autorità indipendenti, per citare solo le tre categorie più ampie e rilevanti, comporta necessariamente una limitazione della potestà legislativa, perlomeno quanto ai suoi contenuti tipici, che possono consistere nella determinazione di principi generali, ma non possono spingersi sino a determinare l'organizzazione interna o le modalità di svolgimento dell'attività di quegli enti.
La d. tende a trasformarsi, così, da strumento tecnico, i cui effetti restano conchiusi all'interno del sistema delle fonti, a strumento di governo di complessi processi di trasformazione e modernizzazione del sistema pubblico, come si vedrà meglio esaminando, nel prossimo paragrafo, la disciplina positiva.
Le principali specie e tipologie di delegificazione nel diritto positivo
La disciplina positiva prevede, come si è detto, diverse specie di d. e, all'interno di alcune di queste, anche diverse tipologie. La prima specie di d. a ricevere disciplina positiva generale è stata quella basata sui regolamenti statali delegificanti, alla quale sono seguite la disciplina dell'autonomia statutaria delle università e la disciplina dei rapporti tra legge e contratto nell'ambito del processo di privatizzazione del rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni. Si esaminerà anche, da ultimo, la valenza potenzialmente delegificante della nuova disciplina costituzionale in materia di regolamenti regionali e locali.
Dalla legge al regolamento: i regolamenti statali nel modello originario
Il primo modello generale di d. è stato introdotto nel nostro ordinamento con l'art. 17 della l. 23 ag. 1988 nr. 400, nel quadro della disciplina dell'ordinamento della Presidenza del Consiglio e dei poteri normativi del governo, da esercitarsi mediante regolamenti indipendenti, esecutivi, attuativi-integrativi.
In base a questa disciplina, i regolamenti delegificanti devono essere adottati con decreto del presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, sentito il Consiglio di Stato, in materie non coperte da riserva assoluta di legge. L'esercizio della potestà regolamentare del governo deve essere autorizzato, di volta in volta, da una specifica legge, che deve determinare le "norme regolatrici della materia" e disporre l'abrogazione delle norme oggetto di d., con effetto dalla data di entrata in vigore delle norme regolamentari.
La materia delegificata rimane, quindi, disciplinata dalla legge per quanto riguarda i principi generali, mentre spetta al regolamento l'attuazione in concreto di quei principi. L'effetto delegificante si realizza al momento dell'entrata in vigore del regolamento, ma in virtù della norma primaria che lo dispone: si è adottato, così, il modello dell'abrogazione condizionata o differita, in coerenza con il principio di gerarchia delle fonti, secondo il quale una norma secondaria non può abrogare una norma primaria.
L'effetto delegificante ha il carattere della stabilità, ma non necessariamente della permanenza. Il regolamento di d. può essere, infatti, modificato da un successivo regolamento senza necessità di una nuova autorizzazione legislativa, ma, di converso, non sussistono ostacoli alla eventuale 'rilegificazione' della materia a opera di una legge successiva, proprio in virtù del già citato principio di gerarchia tra le fonti.
I regolamenti di d. sono e restano, quindi, regolamenti a tutti gli effetti, sottoposti al regime proprio di tale fonte secondaria sia per quanto riguarda il procedimento di formazione e di adozione, sia per quanto riguarda i controlli e il sindacato giurisdizionale, affidato al giudice amministrativo.
Con l'art. 17 della l. 400 il legislatore ha introdotto un modello generale di d., che deve essere di volta in volta attivato con specifica autorizzazione legislativa. La procedura generale per l'adozione dei regolamenti è stata talora modificata, successivamente, in relazione a particolari materie, fra le quali spicca, per rilevanza, l'attuazione in via regolamentare delle direttive europee, già prevista nel 1989 e poi disciplinata dall'art. 11 della l. 4 febbr. 2005 nr. 11, ove si prevede che le direttive possono essere attuate, nelle materie non coperte da riserva assoluta di legge, mediante regolamenti, "se così dispone la legge comunitaria": è quest'ultima, quindi, a dover indicare ogni anno le specifiche autorizzazioni ad adottare regolamenti delegificanti. Per questi regolamenti è previsto che la proposta possa spettare al presidente del Consiglio dei Ministri, o al ministro per le Politiche comunitarie, o al ministro "con competenza istituzionale prevalente" per la materia, di concerto con gli altri ministri interessati e che si possa acquisire, sempre su specifica previsione della legge comunitaria, oltre al parere del Consiglio di Stato, anche il parere delle commissioni parlamentari competenti (trascorsi i termini per l'espressione dei pareri, i regolamenti sono comunque emanati).
Le esperienze più ampie di d. si sono, però, realizzate in materia di disciplina dell'azione e dell'organizzazione amministrativa, ed è a queste che conviene volgere l'attenzione per provare a misurare le dimensioni e gli effetti del fenomeno, oltre che per mostrare come, all'interno del modello generale appena esaminato, si siano venute configurando tipologie dotate di tratti differenziali propri.
Delegificazione e semplificazione amministrativa
Nei primi anni successivi all'introduzione del modello generale di d. a opera della l. 400, il ricorso ai regolamenti delegificanti è stato assai limitato e per oggetti di scarsa importanza. Il fenomeno della d. assumeva per la prima volta dimensioni significative dopo circa un lustro, quando, con la l. 23 dic. 1993 nr. 537, si avviava un ampio programma di semplificazione amministrativa che era basato proprio sul ricorso ai regolamenti governativi previsti dall'art. 17, 2° co., della l. 400. Si stabilì, così, per la prima volta in modo netto e sistematico, una connessione tra semplificazione dei procedimenti amministrativi e regolamenti delegificanti, che è divenuta, in seguito, un tratto stabile dei progetti di semplificazione e ha conosciuto ulteriore ampio sviluppo con l'introduzione, alla fine degli anni Novanta, della legge annuale di semplificazione.
Il meccanismo disegnato nel 1993 si basava su un elemento di novità: la determinazione di un ampio elenco di procedimenti amministrativi (123, per quell'anno) rispetto ai quali la legge autorizzava il governo ad adottare regolamenti delegificanti, con l'obbligo di rispettare alcuni criteri e principi direttivi, quali la riduzione delle fasi procedimentali, del numero delle amministrazioni intervenienti, dei concerti e delle intese, l'abbreviazione dei termini per la conclusione, la regolazione uniforme dei procedimenti dello stesso tipo o il loro accorpamento, la semplificazione e l'accelerazione delle procedure di spesa e contabili. Sugli schemi di regolamento è stato previsto il parere delle commissioni parlamentari competenti, oltre a quello del Consiglio di Stato e l'individuazione delle specifiche norme legislative da abrogare è stata rimessa agli stessi regolamenti.
Questa nuova tipologia di d. è stata criticata in dottrina, sia per l'assenza di norme regolatrici della materia, sostituite con criteri di razionalizzazione o semplificazione che, secondo alcune opinioni, avrebbero lasciato al governo un troppo ampio margine di libertà d'intervento, sia per la mancata individuazione da parte della norma primaria delle norme da abrogare. Si tratta, però, di critiche che non tengono nel dovuto conto le difficoltà e i problemi prodotti dalla determinazione in via legislativa dei procedimenti amministrativi - che costringe la legge a scendere in minuti dettagli e, di converso, irrigidisce la struttura procedimentale, che richiede, invece, di poter essere modificata con relativa frequenza - e la necessità di ricondurre l'effetto abrogativo sia alla legge, che in principio ne dispone, sia al regolamento, che in concreto lo realizza.
Il meccanismo previsto nel 1993 è stato replicato più volte nella seconda metà degli anni Novanta e applicato a sempre nuovi elenchi di procedimenti, con una produzione via via più ampia di regolamenti delegificanti (46 nel 1994, 149 nella xiii legislatura, 80 nella xiv legislatura), anche grazie alla previsione, dal 1997 in poi, di una legge annuale di semplificazione, con la quale la connessione fra d. e semplificazione dei procedimenti amministrativi divenne permanente: il sistema amministrativo non può, infatti, essere semplificato una volta per tutte, ma produce continuamente nuove complessità e nuove esigenze e possibilità di semplificazione, anche in base all'introduzione di nuove tecnologie e la d. è il principale strumento per fronteggiare le necessità di modernizzazione del sistema.
La stessa d. è stata, peraltro, oggetto di un intervento di riordino. La produzione copiosa di norme regolamentari ha posto, infatti, il problema del loro coordinamento con le norme primarie residue e con le norme regolatrici della materia. Sono stati introdotti, per rispondere a questa esigenza, i cosiddetti testi unici misti, all'interno dei quali vengono riportate sia norme primarie, sia norme secondarie, in ragione della materia sulla quale incidono. Successivamente questo strumento è stato però sostituito con testi unici e codici di rango primario, che spesso operano una 'rilegificazione' della materia precedentemente delegificata.
Delegificazione e organizzazione amministrativa
Un'ulteriore tipologia di d. è stata introdotta, con modifica espressa del modello originario, per quanto riguarda l'organizzazione ministeriale. Nel 1997, con la l. 15 marzo 1997 nr. 59, è stato introdotto, infatti, un co. 4 bis nell'art. 17 della l. 400, con il quale il legislatore ha previsto che l'organizzazione e la disciplina degli uffici dei ministeri siano determinate con regolamenti delegificanti. Si tratta, quindi, di un'autorizzazione legislativa generale e permanente, tanto da configurare, secondo una parte della dottrina, se non una vera e propria riserva di regolamento, almeno una preferenza per il regolamento, che diventa la fonte prevalentemente utilizzata per disciplinare gli uffici ministeriali. Questa tipologia di d. si distingue, quindi, dal modello originario, perché mentre la messa in opera di quest'ultimo richiede, di volta in volta, l'adozione di una specifica legge delegificante, nel caso in esame non sono previsti ulteriori interventi di fonti primarie, ma si rimette direttamente e permanentemente al regolamento la disciplina della materia. Ne deriva che anche ove la legge intervenisse successivamente 'rilegificando' l'organizzazione di un ministero, sarebbe sempre possibile delegificare le norme legislative sopravvenute mediante regolamento, in virtù della generale e permanente autorizzazione disposta con l'art. 17, co. 4 bis della l. 400.
La norma di autorizzazione generale non contiene, peraltro, le norme regolatrici della materia, ma richiama alcuni principi generali e individua contenuti e criteri essenziali, ai quali i regolamenti si devono attenere, come la distribuzione delle competenze tra uffici di diretta collaborazione e uffici di amministrazione attiva, l'individuazione degli uffici di livello dirigenziale generale sulla base di funzioni omogenee, l'eliminazione delle duplicazioni funzionali, la previsione di strumenti di verifica periodica dell'organizzazione e dei risultati. Anche per gli schemi di regolamento sull'organizzazione ministeriale, come per quelli di semplificazione procedimentale, deve essere richiesto il parere delle commissioni parlamentari competenti, oltre a quello del Consiglio di Stato.
Dalla legge allo statuto: la potestà normativa delle università e di altri enti pubblici non economici
Alla d. mediante statuto si è fatto ricorso con l'art. 6, 1° co., della l. 9 maggio 1989 nr. 168, per garantire e dare attuazione al principio dell'autonomia universitaria sancito dall'art. 33 della Costituzione. Le università disciplinano la propria organizzazione e il proprio funzionamento mediante statuti e regolamenti che, pur tenuti al rispetto di principi legislativamente determinati, hanno sostituito un'estesa, uniforme e minuta legislazione statale. Si è resa possibile, così, anche l'introduzione di variazioni organizzative e funzionali fra un'università e l'altra, per es., per quanto riguarda la durata in carica degli organi di governo o l'articolazione della struttura amministrativa.
L'autonomia statutaria delle università trova nella stessa l. 168 una clausola di salvaguardia, secondo la quale una norma legislativa, per applicarsi alle università, deve farvi apposito riferimento. Non dovrebbero essere, di conseguenza, applicabili alle università le norme contenenti riferimenti generali alle amministrazioni o agli enti pubblici - basti pensare alla frequenza di queste norme nelle leggi finanziarie -, limitandosi così l'interferenza tra fonte primaria e fonte statutaria. La clausola di salvaguardia ha avuto, però, effetti limitati e risulta avere valenza marginale a fronte di frequenti interventi legislativi statali, con contestuale attribuzione al ministero competente di ampi poteri regolamentari in materia, con profili di dubbia legittimità, data la garanzia costituzionale dell'autonomia universitaria.
Dalla legge al contratto: il contratto collettivo nel rapporto d'impiego con le pubbliche amministrazioni
Il rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni, a lungo interamente regolato con disciplina pubblicistica, è stato in larga misura rimesso, con il d. legisl. 3 febbr. 1993 nr. 29, alla disciplina civilistica e alla contrattazione collettiva. Il passaggio da un regime all'altro ha comportato anche la necessità di regolare i confini fra legge e contratto collettivo, di disciplinare la fase transitoria di 'subentro', per così dire, del contratto alla legge e, soprattutto, di introdurre meccanismi che salvaguardassero l'area di regolazione rimessa al contratto collettivo da futuri possibili interventi di 'rilegificazione'.
La distribuzione della competenza tra fonte legislativa e fonte contrattuale è basata sull'individuazione di specifiche materie (attinenti soprattutto alla macroorganizzazione) attribuite al legislatore e su una residuale attribuzione (in particolare per il rapporto di lavoro e la microorganizzazione) alla contrattazione collettiva. Per assicurare l'effettività e la stabilità di questo riparto, il decreto delegato ha previsto un meccanismo di prevalenza del contratto collettivo, disponendo che, nelle materie non riservate al legislatore, le norme di legge intervenute dopo la stipula del contratto collettivo cessano di avere efficacia a decorrere dall'entrata in vigore del successivo contratto collettivo. Il meccanismo è stato poi modificato da successivi interventi normativi, raccolti nel Testo unico 30 marzo 2001 nr. 165 art. 69, prevedendo non più la cessazione dell'efficacia, bensì la deroga delle norme da parte dei successivi contratti e la non applicabilità delle stesse norme per la parte derogata.
L'effetto del meccanismo, indipendentemente dalla sua qualificazione in termini di abrogazione o deroga, resta un effetto di sostituzione della fonte legislativa con la fonte contrattuale e incontra un limite solo in un'eventuale disposizione legislativa espressa che dichiari, per quello specifico oggetto, la sua prevalenza sul contratto.
Sulla stessa possibilità di prevedere la d. mediante contratto collettivo sono stati sollevati da parte della dottrina dubbi di costituzionalità, non confermati, però, dalla Corte costituzionale che, con la sentenza nr. 185/1999, ha anzi affermato che la prevalenza del contratto collettivo sulla legge - sempre nell'ambito delle materie attribuite - ha valore di principio fondamentale dell'ordinamento e vincola, quindi, anche il legislatore regionale a non intervenire su materie rimesse al contratto.
Delegificazione e decentramento: i regolamenti delle regioni e degli enti locali
Un'ulteriore specie di d. potrebbe essere individuata, secondo parte della dottrina, nelle previsioni costituzionali che, a seguito della riforma del 2001, hanno disciplinato la potestà regolamentare delle regioni e degli enti locali, prevedendo la prima per tutte le materie non sottoposte alla legislazione esclusiva statale e la seconda per la disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni locali.
Si tratta, però, più che di d., di un'attribuzione di competenza - non a caso operata con norma costituzionale - che riserva determinati oggetti ai regolamenti regionali e locali, realizzando non tanto la sostituzione di una fonte all'altra, quanto la distribuzione della potestà normativa fra soggetti diversi. L'assenza di un fenomeno di sostituzione trova conferma anche sul piano degli effetti della nuova disciplina costituzionale. A fronte di una più ampia potestà regolamentare regionale e locale si assiste, infatti, a un ampliamento del ricorso alla legge statale e a una riduzione del ricorso ai regolamenti statali che, secondo gli orientamenti del Consiglio di Stato (parere nr. 5/2002 della sezione consultiva per gli atti normativi) e della Corte costituzionale (sentenza nr. 303/2003) non possono ormai più intervenire nelle materie di legislazione concorrente o sull'organizzazione delle funzioni amministrative locali. Dove non può più giungere il regolamento può, però, ancora intervenire la legge, ma questa non potrà più, a sua volta, prevedere la d. mediante regolamento. Di qui una tendenza alla 'rilegificazione' anche di materie precedentemente delegificate.
Delegificazione e rilegificazione
La tendenza alla 'rilegificazione' è, peraltro, insita nella disciplina della d., proprio perché questa opera più in base al criterio della gerarchia delle fonti che non a quello di competenza: non essendo prevista una riserva di regolamento è sempre possibile per il legislatore intervenire nuovamente con norma primaria sulla materia disciplinata dal regolamento delegificante. Anche le clausole di salvaguardia, introdotte per limitare l'interferenza legislativa rispetto al contratto o allo statuto, hanno avuto effetti limitati e comunque non si sono mai spinte sino a escludere rigorosamente la possibilità di un intervento 'rilegificante'.
Sono state previste, invece, misure di organizzazione del procedimento legislativo volte a rendere il legislatore avvertito e consapevole dei casi in cui interviene su materie delegificate. Rileva, in proposito, soprattutto la Circolare adottata il 20-21 aprile 2001, nel medesimo testo, dal presidente del Senato, dal presidente della Camera e dal presidente del Consiglio dei ministri, recante regole e raccomandazioni sulla formulazione tecnica dei testi legislativi. Con la circolare si è previsto che il legislatore debba chiarire, con l'atto 'rilegificante', quali siano le parti dell'atto secondario abrogate, se l'autorizzazione a delegificare in materia permanga per il futuro e, infine, se il nuovo atto innovi i principi della delegificazione.
D. e 'rilegificazione' convivono, quindi, stabilmente. La d. è, ormai, parte integrante del nostro ordinamento, ma la sua funzione diviene significativa e rilevante quando opera come strumento di programmi di razionalizzazione e modernizzazione, mentre si riduce e si attenua quando viene in rilievo come tecnica di distribuzione di una materia tra fonte primaria e fonte secondaria.
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