DE MARTINO (Di Martino), Nicola Antonio
Nacque a Faicchio (BeneventO) il 3 apr. 1701 da Cesare e Agata Ferrari. Compiuta la prima istruzione nel seminario di Cerreto, la famiglia, di "abbondevole fortuna", decise di fargli continuare gli studi a Napoli (insieme con il fratello maggiore Angelo, divenuto poi medico), probabilmente sotto la direzione del sacerdote Francesco de Chellis. Nel 1714, più per volere della famiglia (che il D. accontenterà prendendo, sebbene tardi, la laurea in giurisprudenza) che per inclinazione, egli venne avviato agli studi "dell'una e dell'altra legge": raccomandato presso il "regalista" Gaetano Argento, fu da questo affidato a Nicolò Galizia e a Giacinto De Cristofaro. Non potendo soffrire, al pari del De Cristofaro, "lo strepito de' Tribunali, e le importune querele de' molesti clienti", si rivolse allo studio della teologia finendo con l'abbracciare, nel 1717, "lo stato Ecclesiastico, come quello, che conosceva essere alla sua naturale inclinazione il più conforme". Qualche anno prima, sotto la guida di Agostino Ariani, "Primario Professore di Matematica" all'università di Napoli, aveva appreso "quanto di più sublime, e bello trovasi in Euclide, Archimede, Apollonio e Teodosio". Sotto la guida dell'Ariani (fu, insieme con il fratello Pietro, "i il più caro dei suoi discepoli") e dei De Cristofaro, a contatto con Bartolomeo Intieri e Costantino Grimaldi, le matematiche divennero ben presto la sua principale occupazione e "la delizia del suo Spirito".
La formazione del D. avvenne in un momento importante della storia culturale napoletana: al tramonto della tradizione investigante, in un'atmosfera di profonda e convinta libertas philosophandi, con un'attività editoriale chiaramente improntata a un'efficace propaganda a favore del pensiero moderno (significativa, al riguardo, l'edizione nel 1713 del Tractatus physicus di Rohault "con le note newtoniane di Clarke"), i cartesiani napoletani, stimolati dall'infaticabile azione di Celestino Galiani a favore di Newton, venivano sviluppando nella concreta pratica scientifica una linea d'azione priva di chiusure dogmatiche. Tipico il caso di Nicola Cirillo (cui significativamente il D. indirizzerà la Statica) che, pur restando legato ad uno schema generale di impronta cartesiana, non ebbe difficoltà ad avviare un serrato confronto col giovane "newtoniano" ("eius aequali quanivis iuniore") fino ad ammettere "se cartesianae physicae plus quam merebatur operae impendisse" (Zambelli, p. 54). Ma significativo appare anche il caso di Agostino Ariani che in una nota pagina delle sue lezioni Intorno all'utilità della geometria tenute all'Accademia Medinaceli, nel 1701, trovava spazio di delineare una tradizione "per la nuova scienza del moto" che da Galilei, passando per Wallis, Roberval, Borelli, giungeva fino a Newton, "uomo di somma dottrina e d'ingegno sollevato" (A. Ariani, In lode della geometria..., ragionamento secondo, in M. Donzelli, Natura e humanitas nel giovane Vico, Napoli 1970, Appendice, pp. 164-88 [in part. p. 176]). Tale apertura non fu priva di significati per i più giovani e soprattutto per il D., la cui ansia di rinnovamento troverà pronta risposta nelle opere pubblicate prima della sua partenza per la Spagna (1740) e nei dibattiti che su svariate questioni sostenne con gli interpreti del pensiero scientifico italiano degli anni '20 C '30 (con Grandi, sui vari ordini di infinitesimi e infiniti, e sulla rappresentazione dei numeri complessi, con Riccati sulle forze vive e l'esperienza di Bradley).
Giovanissimo, il D. iniziò ufficialmente l'insegnamento universitario l'11 ott. 1721, quale supplente dell'Ariani nella cattedra di matematica dell'università e ne diventerà "proprietario" il 21 nov. 1732 quando si espletò il relativo concorso dopo la rinunzia definitiva dell'Ariani sollecitata dal Galiani: il D. riuscì vincitore discutendo la proposizione cinquantadue del terzo libro delle Coniche di Apollonio (la nota proprietà per descrivere l'ellisse nel piano) e il ben noto paragrafo finale del secondo libro della Géométrie di Descartes (nel quale viene condotto diffusamente lo studio delle "ovali"). I trattati scritti dal D. in questo periodo, "in tyronum gratiam", mostrano larghissima e spregiudicata (fino alla coraggiosa citazione, nel 1737, delle Lettere filosofiche diVoltaire) informazione scientifica, ottenuta attraverso una lettura intelligente della letteratura più recente. In particolare, per il D. restio a muoversi da Napoli (fino a rifiutare l'invito del Galiani a trasferirsi a Roma, nel 1725, se non in presenza di lauto stipendio ed "altre convenienze, cioè di darmi abitazione, e tavola franca, come ancora di procurarmi... una commoda Cappellania"), la lettura dei Commentari dell'Accademia parigina rappresentò lo strumento necessario per conoscere e comprendere le questioni più recenti del calcolo differenziale e soprattutto gli consentì di "percorrere senza ostacoli quell'opera ammirevole dei Principi di Filosofia Naturale dell'incomparabile Newton". E in effetti con il D. avviene sostanzialmente il passaggio dalla conoscenza del newtonianesimo alla sua prima assimilazione: prima (e più) della sua operetta di logica, significativi sono gli Elementa statices in tyronum gratiam tumultuario studio concinnata, Neapoli 1727.
L'opera ha lo scopo esplicito di raccogliere in un corpus unico le scoperte più recenti della meccanica, assumendo come modello la Phoronomia (1716) di Hermann e la Nouvelle mécanique (1725) di Varignon, le prime opere di meccanica analitica. Come è stato notato recentemente (Casini, p. 208) la Statica rappresenta una vera e propria sintesi dei concetti dinamici essenziali dei Principia newtoniani: le quattro sezioni in cui essa è suddivisa trattano sostanzialmente di meccanica celeste e delle leggi dei moto (oltre naturalmente a problemi di equilibrio). Inaugurando uno stile che sarà presto imitato dal fratello Pietro e dall'altro allievo suo più famoso, Antonio Genovesi, l'opera (come le altre di questo periodo) è preceduta da un lungo discorso storico sullo sviluppo della meccanica tendente a provare che essa ha trovato definitiva sistemazione nei Principia, dove Newton ha generalizzato le leggi della scienza galileiana del moto superando l'ipotesi della gravità costante. Vero è che Galilei è stato il pioniere della nuova meccanica, ma l'analisi dei progressi compiuti fino a Newton e dopo (attraverso i contributi di Leibniz, Huygens, Borelli, i Bernoulli, ecc.) mostra il vero limite della tradizione galileiana italiana nell'uso di strumenti matematici inadeguati per la mancanza dei metodi differenziali (che troveranno invece ampio spazio nell'opera in esame). E anche a proposito della matematica la lezione newtoniana è stata messa a frutto: per una fisica che si avvia verso una spinta matematizzazione, come presentarne i risultati? La risposta del D. è senza esitazioni: "Infatti sono sempre stato dell'avviso che tutto ciò che dai Matematici è trovato con metodo analitico mediante il calcolo sia poi da presentare ai Giovani con metodo sintetico". Tale posizione lo porta ad esplodere polemicamente ("irascor") contro tendenze "esclusiviste" in senso algebrizzante presenti a Napoli (Monforte, De Cristofaro) nel recente passato, sostenendo la necessità di un equo dosaggio tra i due metodi, sintetico ed analitico, nella formazione dei giovani. Su tale posizione, del resto, come mostrano gli studi recenti, si erano andati attestando sia Newton sia Leibniz, e che non si trattasse di residui "passatisti" lo dimostra il fatto che il D. è perfettamente al corrente degli sviluppi più recenti dell'analisi (alla notazione newtoniana preferirà però quella leibniziana "utpote commodiorem"), sebbene sia restio a pubblicare le sue ricerche originali (tra l'altro, un Tractatus de natura, & proprietatibus curvarum) sull'argomento perché il suo impegno principale è la didattica e, tramite essa, la diffusione del pensiero moderno. I due trattati di algebra e geometria analitica e quello sulle coniche, scritti entrambi "ad usum Faustinae Pignatelli", hanno infatti lo scopo di avviare i giovani al calcolo ed alla fisica-matematica: per questo ha riunito in unum corpus quanto di meglio si trova sparso presso vari autori.
I suoi Algebrae geometria promotae elementa..., Neapoli 1737, un aggiornamento degli Elementa algebrae del 1725, si propongono già nel titolo di supplire "Algebrae defectibus per Geometriae vires", ciò che viene fatto (lib. III) sia mediante una trattazione estesa di tutta la teoria "de locis geometricis" (parte prima) sia mediante la rappresentazione geometrica delle radici "cuiusque aequationis" (parte seconda), mentre la sezione terza (sicuramente la più interessante) è interamente dedicata alla "teoria generale delle curve di qualsiasi ordine". Il libro così, in un crescendo di interesse (dall'algebra elementare del tomo primo alla teoria generale delle equazioni del tomo secondo) passa in rassegna i risultati più recenti della matematica (ivi compresi una trattazione esaustiva "serierum infinitarum" - libro I, cap. I-IV della sezione III - e una altrettanto completa trattazione del metodo newtoniano "pro inveniendis limitibus radicum cuiusque aequationis" II, cap. IV della sez. IV). In un ambiente nel quale la Géométrie cartesiana stava continuamente sotto gli occhi di molti, i metodi per risolvere algebricamente i problemi di geometria, la teoria delle equazioni algebriche e lo studio delle curve algebriche rappresentavano così quasi l'occasione per diffondere l'Arithmetica universalis e l'Enumeratio linearum tertii ordinis di Newton. L'azione di svecchiamento della cultura matematica napoletana (contestuale a quella che, in fisica, condurrà il fratello Pietro) era così avviata, sebbene subito dopo interrotta per la partenza del D. in Spagna quale segretario di ambasciata del principe di San Nicandro, D. Cattaneo.
Ritenuto il capo indiscusso dei newtoniani napoletani, buona parte degli anni 130 lo videro al centro delle discussioni più serie che impegnarono i novatores napoletani: dall'esperienza di Bradley (su cui si sviluppò una vivace polemica con Mario Lama) alla questione delle forze vive che vide il D. e la Pignatelli attestarsi in modo originale sulla posizione di una mera nominalità della questione (in polemica anche col fratello Pietro, più propenso alla linea cartesiano-newtoniana). Richiamato (1744) dalla missione diplomatica (lo aveva sostituito il fratello Angelo che forse scrisse in quest'occasione quelle Institutiones hydrostaticae che si conservano manoscritte presso la Biblioteca nazionale di Napoli) per ordinare gli studi dell'Accademia di artiglieria istituita in quell'anno, al D. veniva anche assegnata la cattedra di matematica nell'Accademia appena fondata. Da questo momento, forse stimolato dall'esempio del Genovesi, pubblicò sempre in italiano i libri occorrenti per i suoi studenti. Nel 1754 fu nominato direttore dell'Accademia per il "Real corpo degli ingegneri e guardie marine" e nel 1760 fu altresì nominato direttore della "Real Paggeria" finendo col diventare istitutore, per le matematiche, di Ferdinando IV per il quale scrisse quindici lezioni di geometria elementare. Questo complesso di cariche e di titoli lo avevano "impoltronito", come dirà Genovesi, sebbene la corrispondenza privata degli anni 1751-53 col matematico palermitano Girolamo Settimo (da lui conosciuto in Spagna) lo mostri ancora lettore attento della più aggiornata letteratura scientifica europea e sempre più interessato alla teoria delle equazioni e alle questioni di calcolo differenziale ed integrale di cui si proponeva scrivere un trattato per gli allievi dell'Accademia militare (resta soltanto, presso la Bibl. nazionale di Napoli, un'operetta ms. di 77 cc. dal titolo: Delle quantità logaritmiche, ed esponenziali; e del loro uso nel Calcolo integrale, di livello abbastanza modesto se confrontato con le sue potenzialità giovanili). La corrispondenza col Settimo (tuttora inedita, si trova presso la Biblioteca comunale di Palermo, ms. 2. Qq. E. 33) ci permette altresì di correggere un errore in cui è incorso l'Amodeo (e, sulla sua scorta, Ver Eecke) a proposito dell'ultima opera a stampa del D., gli Elementi della Geometria così piana, come solida, con l'aggiunta di un breve trattato delle sezioni coniche, Napoli 1768, dall'Amodeo ritenuta "la migliore delle sue pubblicazioni".
Quest'opera, divisa in tre volumi, va certamente citata per la chiarezza (mirabili i paragrafi XIII e XIV del tomo Il dedicati al metodo degli indivisibili e agli infinitesimi) e la sintesi espositiva, ma quella che Amodeo ritiene la parte originale e nuova, cioè la teoria delle unghiette cilindriche (II, par. XXVI e XXVII) è invece interamente del matematico palermitano G. Settimo (che era stato allievo di Gabriele Manfredi) che, sulla fine degli anni '40, aveva scritto un piccolo trattato sull'argomento, in cui la considerazione di questi solidi, terminati da superficie curve quadrabili, era stata condotta esclusivamente con l'ausilio del calcolo differenziale. Il D. si era impegnato a curare (insieme con G. Orlandi) la stampa del suddetto trattato, ma essa non fu mai portata a termine per le numerose (e non sempre opportune, a giudizio del Settimo) variazioni che egli aveva apportato al manoscritto. Anche la considerazione dell'altra classe di solidi che il D. chiama poliedri cilindrici non è affatto nuova, ritrovandosi sotto altro nome (hosoedri) in uno scritto giovanile (1751) del suo allievo Vito Caravelli. Ciò che è opera originale del D. è la trattazione chiara ed elementare di tali argomenti, con un metodo che era stato quasi lo scopo della sua attività editoriale destinata a svecchiare la cultura matematica napoletana e a facilitare l'apprendimento dei suoi allievi.
Il D. colpito da idropisia il 29 apr. 1769, morì a Napoli lo stesso anno nel giorno 8 di dicembre.
Oltre alle opere citate si ricordano: De permutationibuset combinationibus (inappendice, pp. 533-574, dell'ed. napoletana dell'Arithmeticae theoria, et praxis di Tacquet), Neapoli 1724; Elementa Algebrae, ibid. 1725; Logicae seu artis cogitandi institutiones, ibid. 1728, ElementaGeometriae planae, ibid. 1729; Elementa sectionum conicarum, ibid. 1734; Nuovi elementi della Geometria piana, ibid. 1746; Nuovi elementidella Geometria pratica, ibid. 1752; Trattato dell'equilibrio e del moto dei corpi, ibid. 1781 (ristampa postuma di un'opera del 1753).
Fonti e Bibl.: Faicchio, Chiesa di Maria Santissima Assunta, Liber baptizatorum, vol. 1696-1733;F. S. Granata, Breve notizia della vita di N. D., in Nuovi elementi della teoria delle mine (op. post. del D.), Napoli 1780, pp. 1-16; G. G. Origlia, Istoria d. Studio di Napoli, II, Napoli 1754, pp. 241, 258, 268, 283;M. Barbieri, Notizie istor. dei mattematici e filosofi del Regno di Napoli, Napoli 1778, pp. 198ss.; V. Ariani, Mem. della vita e degli scritti di A. Ariani, Napoli 1778, pp. 106, 149; P. Napoli Signorelli, Vicende della coltura nelle Due Sicilie, VI, Napoli 1811, pp. 185 ss.; F. P. Tucci, Della misura delle volte rette ed obblique, Napoli 1832, p. 3;A. Mazzarella, in Biografie degli uomini ill. del regno di Napoli, V, Napoli 1844, sub voce;G. Porto, Cenni biografici di alcuni uomini ill. di Faicchio, Piedimonte d'Alife 1875, pp. 12-18;F. Amodeo, Le ricerche di un matematico napoletano del Settecento su alcuni teoremi di Archimede e sulle loro estensioni, in Rend. della R. Accad. delle scienze fis. e mat. di Napoli, s. 3, XXVI (1920), pp. 1-8dell'estratto; Id., Vita matematica napoletana, I, Napoli 1905, pp. 73 s. e passim;G. Ferrarelli, Memorie militari del Mezzogiorno d'Italia, Bari 1911, p. 12;F. Amodeo, Un'applicazione del teorema di N. D. sulle volte a padiglione, in Boll. di matematica, XVII (1920-21), pp. 3 s.dell'estr.; P. Ver Eecke, Le traité des hosoèdres traduit sur le texte latin original avec des notes, Paris 1959, pp. 3 s.; A. Genovesi, Autobiografia e Lettere, a cura di G. Savarese, Milano 1962, p. 38; B. De Giovanni, La vita intellettuale a Napoli fra la metà del '600 e la restaurazione del Regno, in Storia di Napoli, VI, Napoli 1970, p. 508; P. Zanibelli, La formaz. filosofica di A. Genovesi, Napoli 1972, pp. 813 s. e passim;V. Ferrone, Scienza natura religione, Napoli 1982, pp. 514-17 e passim;A. Brigaglia-P. Nastasi, Due matematici siciliani della prima metà del XVIII secolo; G. Settimo e N. Cento, in Arch. stor. per la Sicilia orientale, III (1982), pp. 18-21 e 47-50; Id.-Id., Bologna e il Regno delle due Sicilie: aspetti di un dialogo scientifico (1730-1760), in R. Creinanta-W. Tego, Scienze e letteratura nella cultura ital. del Settecento, Bologna 1984, pp. 211-32; P. Casini, Newton e la coscienza europea, Bologna 1983, pp. 207 ss.