DE GREGORI, Giovanni e Gregorio
Fratelli, nacquero a Forlì intorno all'anno 1450. La loro paternità è incerta: in due documenti Giovanni risulta infatti figlio di un Gregorio morto prima del 1476 (cfr. A. Sartori, Documenti padovani sull'arte della stampa nel sec. XV, in Libri e stampatori in Padova..., Padova 1959, p. 217 doc. 87; G. Mantese, Le origini della stampa a Vicenza, in 1474. Le origini della stampa a Vicenza, Vicenza 1975, p. 48 n. 39), in altri due, invece, di Antonio (cfr. Sartori Documenti..., cit., pp. 202 doc. 72, 205 doc. 77).
Gli esordi nell'arte tipografica di Giovanni, probabilmente il maggiore, avvennero a Vicenza intorno al 1476: il 7 nov. di quell'anno egli, "impressor librorum" e "habitator Vincentie", fu testimone insieme col tipografo Giovanni dal Reno alla stipulazione di un contratto tra Giacomo fu Zenone da Mantova, intagliatore di caratteri, e Giorgio fu Federico "de Corono". Dopo il '76 passò a Padova: l'università e il concorso di tipografi dall'Italia e da Oltralpe avevano dato vita nel corso di un decennio - la stampa vi fu introdotta nel 1471 - a un'editoria specializzata nella produzione di testi universitari ma poco fiorente, poiché la schiacciante concorrenza veneziana veniva sempre più conquistando autori, titoli e mercato. Giovanni abitò nella contrada di S. Francesco, come affittuario del tipografo Bartolomeo Valdizocco, ed entrò a far parte della società temporanea stretta tra i tipografi Pierre Maufer, Ercole da Busca, Antonio da Strada, Bonino Bonini, Antonio Pocheparole, Andrea Torresani e Valdizocco e il dottore in leggi Zaccaria Zaccaroti per realizzare una impresa onerosa e a lungo termine come l'edizione dei commenti di Bartolo da Sassoferrato al Corpus iuris. Collaborò nel 1481 alla stampa dei tre primi volumi Super secunda, Super prima parte Digesti veteris e Super prima parte Infortiati, che uscirono, come i successivi, con il falso luogo di stampa Venezia; il secondo volume reca anche il falso anno di stampa 1480, inconciliabile con le testimonianze documentarie. Da altri documenti relativi ad una lite sorta nel 1483 tra Giovanni e lo Zaccaroti e conclusa nell'84 dall'arbitrato del professore padovano di diritto Antonio Francesco Dottori, risulta che la tiratura dei due volumi fu di circa 900 copie, che il prezzo imposto dallo Zaccaroti era di 4 ducati, ma che Giovanni, alla ricerca di ulteriori finanziamenti, era riuscito a venderne una parte a 8, 9 e perfino 10 ducati.
All'aprirsi della lite, nel 1483, Giovanni abitava da tempo a Venezia, a S. Stefano. L'anno successivo si trasferì a S. Aponal e poteva già citare come testimoni a suo favore vari colleghi veneziani, tra cui Giovanni Herbort e Niccolò da Francoforte. Per inaugurare la sua attività nella Serenissima, Giovanni scelse un titolo di sicuro successo quale i Facta et dicta memorabilia di Valerio Massimo, che finì di stampare il 3 giugno 1482, ricordando nel colophon la collaborazione di "socii": probabilmente gli stessi Iacopo Britannico da Brescia e Antonio Stanchi da Valenza con cui stampò il Missale Romanum del 31 genn. 1483 (more veneto 1482), il suo primo libro illustrato; con il solo Britannico stampò nello stesso anno anche il De inventione rhetoricae (17luglio) e le Orationes di Cicerone (8 novembre). A parte questi due titoli, dal 17 maggio 1483, data degli Opera di Orazio, Giovanni sottoscrisse tutte le sue edizioni insieme con il fratello Gregorio, che probabilmente allora lo aveva raggiunto da Forlì. Se le società temporanee avevano come scopo il reperimento di capitali e la divisione dei rischi, le forme di aggregazione più propizie al rafforzamento di un'azienda tipografico-editoriale si costituivano appunto attraverso i rapporti familiari. Nel caso dei fratelli la collaborazione, continuata quasi ininterrottamente fino al 1505, segnò l'inizio dell'espansione dell'officina, che in breve divenne una delle maggiori di Venezia: nel 1497 produceva circa dieci edizioni all'anno, come la stamperia di Aldo Manuzio, e le stavano alla pari solo le aziende di Giovanni Tacuino, Battista Torti e Andrea Torresani.
La crescita coincise con scelte editoriali decisamente orientate al settore del testo universitario, produzione che richiedeva forti investimenti di capitale (assorbiti soprattutto dalle quantità di carta impiegate per realizzare il formato in-folio e dalla necessità di disporre di almeno due diverse serie di caratteri per diversificare testo e commento), lunghi tempi di esecuzione e consulenze scientifiche qualificate, ma che godeva in compenso di sicura e crescente domanda.
Tra il 1484 e l'88 Giovanni e Gregorio pubblicarono quasi esclusivamente titoli giuridici, con particolare attenzione alla produzione dei maestri padovani del Tre e Quattrocento. Per la stampa di Infortiatum, Digestum vetus e Codex si valsero ancora della società con il Britannico, ma nel 1485 realizzarono da soli i Consilia di Bartolo, due Lecturae di Angelo degli Ubaldi e di Paolo di Castro e la riedizione dell'Infortiatum; nel 1486 seguirono il commento ad esso di Baldo degli Ubaldi e il De regulis iuris di Dino da Mugello; nell'87 le Disceptationes di Niccolò Tudeschi, il Super Clementinis di Francesco Zabarella e la Summa dell'Ostiense. Pur continuando a registrare importanti titoli giuridici (vari commenti di Giovanni d'Andrea nel 1489 e i Consilia di Paolo di Castro nel '93), dopo il 1488 la produzione universitaria si estese ai settori della filosofia e della medicina, con la stampa della Physica (1488) e del De coelo et mundo (1490) di Alberto Magno e del De medicina di Averroè (1490), seguiti dagli Opera di Alberto Magno (1494-1495) e di Aristotele (1495-1496) e da titoli particolarmente richiesti dallo Studio padovano come il Super Physicam Aristotelis di s. Tommaso (1491) e le Quaestiones super Metaphysicam Aristotelis di Antonio d'Andrea (1495), le Quaestiones di Duns Scoto (1491), le Regulae di Guglielmo Heytesbury, le Consequentiae di R. Strode (1491) e gli Opera di Mesue (Yūhanna ibn Māsawaih) con il commento di Mondino Luzzi (1497). Nel campo della medicina essi pubblicarono però anche prime edizioni di importanti novità, come i Deobservatione in pestilentia e Collectiones medicinae di Alessandro Benedetti (1493) e la Corona florida, seu De conservatione sanitatis di Antonio Gazio (1491).
La più celebre delle loro edizioni mediche fu però il Fasciculus medicine, che costituì il primo libro di medicina illustrato. Con questo titolo essi diedero alle stampe nel 1491 una collezione anonima e anepigrafa di tavole illustrate e di brevi testi medici formatasi nella tradizione manoscritta d'Oltralpe tra la fine del Trecento e gli inizi del Quattrocento.
Tavole e testi riguardavano i fondamenti della diagnosi e della terapia nella medicina pratica: l'esame delle urine, il salasso, le influenze astrali, la gravidanza, i rudimenti dell'anatomia e della chirurgia. Sebbene l'opera fosse destinata ai medici empirici più che al pubblico universitario, la sua prima edizione seguì la tipologia del trattato universitario (formato in-folio ma di dimensioni eccezionali, carattere gotico, testo su due colonne) e fu illustrata da sei tavole silografiche a piena pagina con fitte didascalie. Nel colophon l'opera fu attribuita ad un Iohannes de Ketham che ne fu ritenuto per secoli l'autore, finché le indagini di Karl Sudhoff sulla tradizione manoscritta della collezione non denunciarono il falso: Ketham è infatti un autore inesistente e il ricorso al suo nome, che echeggia quello di Iohannes de Kircham o Kircheimer, professore di medicina a Vienna tra il 1445 e il '70, non fu se non un artificio pubblicitario escogitato dai fratelli per conferire maggior prestigio all'edizione e per promuoverne la diffusione in area tedesca. Il successo dell'opera e la sua traduzione in spagnolo persuasero Giovanni e Gregorio a pubblicarne, nel 1494, una nuova edizione in italiano. Affidata alle cure dell'umanista romano Sebastiano Manili, allievo di Pomponio Leto ed attivo a Venezia come consulente editoriale, essa sostituì alla tipologia del trattato universitario quella del libro umanistico (il formato in-folio assunse dimensioni equilibrate, il carattere gotico fu sostituito dal romano, le due colonne dalla piena pagina), si ampliò con l'aggiunta di un celebre testo universitario, l'Anatomia di Mondino, e sostituì alle sei tavole silografiche della prima edizione dieci nuove tavole, per il cui splendido disegno storici dell'arte e bibliologi proposero attribuzioni a un Maestro dei delfini, a scuola del Mantegna, a Gentile Bellini e Carpaccio. La prima di queste tavole, che funge da frontespizio dell'opera, rappresenta un dotto al suo scrittoio con l'iscrizione "Petrus de Montagnana". Come il Ketham nel Fasciculus latino, così anche Petrus de Montagnana fu ritenuto l'autore del Fasciculo volgare e questo equivoco bibliografico diede vita ad un autore inesistente quanto celebre. In realtà il frontespizio ritrae il prete e grammatico padovano Pietro da Montagnana (morto nel 1478), chiamato a personificare, in un gioco di complessi simboli umanistici, l'importanza della grammatica e della traduzione.
Sebbene vi predomini la trattatistica universitaria, gli annali quattrocenteschi di Giovanni e Gregorio lasciano però intravvedere anche altre scelte editoriali: non vengono abbandonati i classici greci e latini (i Memorabilia di Valerio Massimo, ad es., vengono riediti intorno all'85 ed ancora nell'87), comincia l'interesse per i classici della letteratura italiana (nel 1492 escono l'edizione principe dei primi otto libri delle Familiares del Petrarca, il Decamerone illustrato e il Novellino) e soprattutto per i testi poetici e narrativi in volgare più popolari, come, ad esempio, la Storia di Apollonio di Tiana di Antonio Pucci (1487), i Fioretti dei paladini (c.1495), la Frottola di un caligaro (c. 1485). Altri titoli sono costituiti da sermonari, grammatiche, effemeridi astrologiche, e da una raccolta statutaria, gli Statuta civitatis Caesenae (1494), significativa testimonianza del perdurare di rapporti tra i due fratelli e la loro terra d'origine.
La crisi commerciale che alla fine del sec. XV colpì duramente in Venezia anche l'arte della stampa non risparmiò Giovanni e Gregorio: dai dodici titoli del 1495 la loro produzione calò nel '98 ad un unico titolo. Tuttavia l'azienda resistette e dal 1500 al 1505 la produzione tornò a superare i sei titoli all'anno, registrando anche investimenti di rilievo come l'edizione principe del De animalibus di Avicenna nella traduzione di Michele Scoto (c. 1500). Ai titoli di diritto e di filosofia (la medicina venne quasi abbandonata) si alternarono però con sempre maggior frequenza operette d'occasione e di moda e ristampe di classici, mentre la sola collaborazione dei due fratelli si rivelò ormai insufficiente ad affrontare grosse imprese editoriali: gli Opera di Aristotele vennero perciò riediti in società con Paganino Paganini (1501), gli Opera di Giovanni Crisostomo in società con Bernardino Stagnino (1504).
Dal 1505 il nome di Giovanni non compare più nelle sottoscrizioni, e solo il Dioscoride ultimato il 1° febbr. 1517 (more veneto 1516) "in Gregoriorum fratrum officina" lascia ipotizzare che egli potesse essere ancora in vita. La fine della collaborazione coincise con profondi mutamenti nell'azienda: mentre fino ad allora i due fratelli avevano svolto in proprio sia la funzione di tipografi sia quella di editori, in seguito Gregorio dovette sempre più spesso avvalersi dei finanziamenti di altri tipografi-editori-librai veneziani (Bernardino Stagnino, Lucantonio Giunta, Andrea Torresani, Lorenzo Lorio, Niccolò Garanta, Battista Putelletto, Bartolomeo Gabiano), di meno noti finanziatori (i mercanti Giangiacomo De Angelis, veneziano, Michael Riera da Barcellona, Ludovicus Horneken da Groninga) e limitarsi al ruolo di tipografo; lo Short-Title Catalogue of Books printed in Italy... now in the British Museum, London 1958, pp. 333 e 545, propone addirittura che egli abbia lavorato come anonimo stampatore per Melchiorre Sessa e Pietro Ravani. Prova delle sue ridotte capacità imprenditoriali è comunque il fatto che il 28 dic. 1507 egli chiese privilegi decennali per cinque edizioni principi ma non riuscì poi a realizzarne nessuna, nemmeno l'Expositio di Giovanni de Torquemada al Decretum di Graziano, per la quale aveva stipulato già nel 1504 un contratto con il capitolo dei canonici di Padova ed avviato prove di stampa su un codice di Iacopo Zeno, l'attuale ms. conservato a Padova, Biblioteca capitolare, C 2.
A parte l'importante principe, finanziata dal De Angelis, degli Opera di esegesi biblica di Alfonso Tostado (1506-1508), edizione condotta su manoscritti fatti copiare dal cardinale Ximenes de Cisneros e concessi dal Collegio di Salamanca, e a parte qualche prima edizione di prestigio, come l'Universalis de anima traditionis opus di Cristoforo Marcello (1509), la cui pubblicazione richiese uno dei primissimi interventi di censura preventiva in materia teologica, Gregorio razionalizzò la produzione in base alle richieste del mercato e ad un abile precorrimento di quelle che sarebbero divenute le maggiori mode culturali del secolo. Riducendo la produzione di testi universitari - ma nel 1522 stampò gli Opera di Francesco Accolti curati da Lucio Paolo Roselli - si venne specializzando nell'edizione di libri liturgici e devozionali illustrati, detti "rossi e neri" per l'alternarsi nel testo dei due diversi colori d'inchiostro. Sia per la composizione sia per l'impressione, essi richiedevano due diverse fasi, e quindi specializzazione ed alti costi, aumentati ulteriormente dalle silografie, ma il loro mercato non conosceva limiti territoriali e la concorrenza straniera era allora assai debole. Tra il 1512 e il '23 Gregorio eseguì sei edizioni dell'Officium beatae Mariae Virginis e altrettante del Missale Romanum e del Breviarium Romanum, di cui una di tedesco, e inoltre un Officium Romanum (1523), Orationes (1523) e le prime edizioni del Missale e dell'Agenda della Chiesa di Aquileia (1519 e 1520). Nel 1516 stampò inoltre, per commissione del già ricordato Cristoforo Marcello, allora protonotario apostolico e vescovo di Corfù, la prima edizione del Caeremoniale Romanum, editori i patrizi veneziani Antonio e Silvano Cappello.
Il filone editoriale che maggiormente assorbì l'ultima produzione di Gregorio fu però costituito dalla letteratura in volgare, la cui moda si andava affermando, fin dagli inizi del Cinquecento, non solo per il crescente favore dei letterati ma anche grazie alle scelte di vari tipografi-editori che avevano intuito la possibilità di trasformare quel nuovo genere letterario in un vasto successo commerciale.
Dal 1520 in poi Gregorio venne ripubblicando moltissimi titoli apparsi fino ad allora presso vari tipografi e contribuì in modo decisivo alla diffusione della nuova tipologia del "libretto da mano" modellato sull'enchiridio aldino; alcune sue edizioni di Petrarca e Cicerone furono anzi ritenute contraffazioni di edizioni del Manuzio. Oltre a vari testi volgari di Petrarca e Boccaccio, a traduzioni di classici latini e greci e a testi della letteratura devota, stampò tre edizioni del Duello di Paride Del Pozzo (1521, 1523, 1525), le Opere di Girolamo Benivieni (1524) ed alcuni dei più popolari testi della letteratura spagnola.
Negli stessi anni in cui convertiva al volgare quasi tutta la sua produzione, Gregorio operò un'altra scelta anticipatrice realizzando le prime edizioni italiane di varie opere di Erasmo, già diffusissime Oltralpe: Disticha moralia (1522), De ratione studii (1522), Familiarium colloquiorum formulae (1522), Paraphrasis in Evangelia Matthaei (1523), Opus de conscribendis epistolis (1524), Modus orandi (1525), De contemptu mundi (1525). Editore-finanziatore di queste e di molte altre edizioni degregoriane di testi erasmiani fu Lorenzo Lorio da Portese. Sia Gregorio sia il Lorio pubblicarono negli stessi anni varie opere giuridiche e letterarie dell'umanista tedesco e corrispondente di Erasmo Friedrich Nausea (Friedrich Grau o Grawe da Waischenfeld in Franconia), futuro segretario di Lorenzo Campeggi e vescovo di Vienna, che curò per loro un'edizione dell'Auctarium all'epistolario di Erasmo (1524).
Nel 1514, anno di dura crisi per l'editoria veneziana, Gregorio si recò a Fano per stampare, forse per invito del Soncino, il Kittāb ṣalāt al-sawā'iyyah, raccolta di preghiere cattoliche in lingua araba nota con i titoli latini di Horologium breve o Septem horae canonicae: questa edizione costituisce il primo libro stampato in Europa con caratteri arabi. Gli ultimi titoli di Gregorio - un Erodiano volgare e Las siete partidas di Alfonso il Saggio, editore Lucantonio Giunta - risalgono al 1528, ma egli era ancora vivo nel maggio 1529: forse il suo ritiro dall'attività coincise con l'incendio che il 4 gennaio di quell'anno distrusse nel monastero di S. Stefano molti dei magazzini di tipografi e librai veneziani. Caratteri e matrici silografiche della sua bottega furono però, probabilmente, utilizzati ancora nel 1538.
Gli ideali annali dei D. registrano almeno 330 edizioni, alcune delle quali divennero particolarmente famose per le illustrazioni silografiche: in particolare, oltre al ricordato Fasciculus medicine, il Decamerone del 1492 e l'Erodoto del '94. Molte edizioni recano frontespizi incisi e quasi tutte iniziali silografiche; autore delle incisioni pare fosse lo stesso Gregorio, che nel 1516 chiese un privilegio per "alcune cose di desegno". Oltre che per la varietà del materiale silografico, l'officina si distinse anche per la disponibilità di caratteri: sono stati finora censiti venticinque tipi di caratteri gotici, otto di romani, due di corsivi, il primo dei quali inciso da Francesco Griffo, due di greci e uno di ebraici.
Giovanni e Gregorio insieme usarono tre varianti di una marca tipografica costituita da una doppia croce latina intrecciata con una croce di s. Andrea tra le iniziali "Z G"; Gregorio da solo un'altra marca rappresentante due angeli recanti una corona di spine tra le iniziali "G G".
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