DE CRISTOFORIS, Giovan Battista
Nacque a Milano l'11 nov. 1785 da Carlo e Margherita Rosnati. Allievo dei barnabiti al Logone (il famoso collegio dei nobili, frequentato in quegli anni anche da Alessandro Manzoni), si iscrisse poi al corso di giurisprudenza nell'università di Pavia, dove si laureò il 2 ag. 1806. Rapidissima fu la sua ascesa nella burocrazia del Regno italico: dopo un breve tirocinio presso la pretura criminale di Milano (1806-07). passò infatti alla direzione generale della Pubblica Istruzione, dove da alunno praticante e segretario fu promosso via via a più alti gradi (1808-11); assistente al Consiglio di Stato dal luglio 1810, ottenne infine dal principe Eugenio la viceprefettura di Salò (1812-14).
Fin da questi anni il D., benché pressato dagli obblighi di funzionario, amò frequentare soprattutto letterati e poeti: conobbe Ugo Foscolo, di cui fu grande estimatore (e creditore mai risarcito); fu molto amico di Giovanni Torti, che gli dedicò l'epistola Sui "Sepolcri" (e se la fece correggere e postillare). Coltivò anche per suo conto, occasionalmente, le muse. I suoi versi rinviano chiaramente al modello pariniano. per la sostenuta cifra classicheggiante e per il rilievo delle istanze didascaliche (talora anche in forma satirica: vedi l'epistola a Luigi Lechi [Milano 1809], in cui si prendono di mira certi matrimoni di convenienza fra fanciulle e vegliardi).
A conti fatti, comunque, le velleità eticocivili dei D. si rivelano scarsamente incisive. La sua misura è piuttosto quella di un blando moralismo pedagogico: significativi in tal senso i Racconti morali (1811), dove attraverso exempla vera o ficta si ridicoleggiano le superstizioni, si raccomanda la sobrietà dei costumi, si incita alla filantropia, si condanna l'insubordinazione all'autorità paterna (niente di più, come si vede, di un sano buon senso borghese, educatosi sugli antichi maestri di moralità e superficialmente influenzato dalle idee illuministiche).
La buona stella del D. doveva inevitabilmente tramontare con il crollo dell'astro napoleonico: adducendo diplomatiche ragioni di salute, il 2 ag. 184 rassegnava le proprie dimissioni al conte di Bellegarde, e rientrava immediatamente a Milano.
Cessati i negotia burocratici, gli ozia dell'uomo di cultura passavano al primo posto. Da segnalare la passione del D. per la musica: convinto (come tanti altri intellettuali cattolici) che in essa si racchiudesse un alto potenziale sublimante, il D. ne fece spesso un punto di riferimento essenziale per la propria produzione poetica. Ricordiamo la cantata In morte di Haydn, composta sullo schema degli oratori Die Schöpfung e Die sieben Wörte des Erlösers am Kreuze; l'azione drammatica La morte di Adamo (1816),ispirata a Klopstock (nella traduzione di G. Gozzi) e poi musicata da G. G. Lepri; la cantata per l'inaugurazione del busto di Giuseppe Bossi (1818),che fu messa in musica da S. Pavesi.
Gli interessi culturali del D., impostati in funzione edificante, dovevano trovare il loro sbocco più idoneo nell'insegnamento: chiamato come supplente di belle lettere al liceo S. Alessandro (3 marzo 1817), nel successivo anno scolastico vi ebbe la nomina in ruolo per la stessa cattedra (frattanto ribattezzata come cattedra di storia universale e particolare degli Stati austriaci).
Che la didattica fosse la sua più profonda vocazione è fuor di dubbio: "De Cristoforis - scriveva Ermes Visconti ad A. Manzoni in data 25 nov. 1819 - fa sempre il professore in mezzo agli applausi ed alla simpatia di molti giovani che concorrono alla sua scuola" (Carteggio di A. Manzoni, I, Milano 1912, p. 446). Più difficile definire univocamente la ragione di tanto successo. Secondo un suo illustre discepolo, Cesare Cantù, il D., "mentre spiegava o gli illustri fatti o gl'insigni lavori degli intichi, poneva ogni cura nel rilievare la giustizia o l'iniquità delle azioni, la moralità degli scrittori, o il contrario, e nel cercare al passato lezioni pel presente e consigli per l'avvenire"; e quando più tardi (1824-25) "all'insegnaniento della storia dovette aggiungere quello pur anche della filologia latina, la sua, più che un'estetica, era una morale" (C. Cantù, 1870, pp. 225, 228). Soltanto un moralista, dunque? Non si direbbe, visto che un alunno più spregiudicato (e più intelligente) di quanto non fosse Cantú, cioè Carlo Cattaneo, poteva ricordarlo con gratitudine per avergli aperto "la mente all'idea del medio evo e dei vasto mondo asiatico e ad altre fonti escluse dal circolo degli antichi studii" (C. Cattaneo, Ilcapitano D., [1860], in Scritti storicie geografici, a cura di G. Salvemini-E. Sestan, III, Firenze 1957, p. 51).
Legato a filo doppio al circolo di Manzoni, vicino anche (specie per il trarnite di Tonunaso Grossi) alla "Cameretta" portiana, il D. si pronunciò a favore del romanticismo e partecipò a suo modo alla battaglia politico-culturale intrapresa dai liberali lombardi: fece propaganda a favore delle scuole lancasteriane (v. il quarto racconto pubbl. in Prose e poesie morali) e per esse compose anche qualche inno d'intonazione religiosa; ed inoltre collaborò - sia pure saltuariamente - al Conciliatore. Allora, il governo del Lombardo Veneto trovò non pericoloso ("unbedenklich") il suo contributo politico e religioso al foglio azzurro (cfr. il rapporto al conte J. Sedlnitzky pubbl. da E. Bellorini, in Scritti varii di erudizione e di critica inonore di R. Renier, Torino 1912, pp. 289-97); e se in merito ad una analoga valutazione di altri interventi (di Berchet, Pecchio, Ressi, Romagnosi) più tardi dovette ricredersi, non si ricredette invece sul D.: tant'è vero che, sebbene nel panico dell'ora si parlasse molto di un suo probabile arresto, egli poté uscire indenne dal "minacciato disastro" (C. Cantù, 1870., p. 227).
Sul Conciliatore, il D.appare come il portavoce un po' bigotto e approssimativo delle idee circolanti nella cerchia del Manzoni: e del resto la sua devota ammirazione per Manzoni vi si esprime esplicitamente ed appassionatamente a proposito degli Inni Sacri (n. 88 del 4 luglio 1819, e ora nell'ed. a cura di V. Branca, III, Firenze 1954, pp. 28-33). Sulle orme del suo illustre amico, il D. scrisse più tardi anche un dramma-storico, SergianniCaracciolo (1826), che fu aspramente criticato dalla Biblioteca italiana e deriso da Vincenzo Monti, ma piacque in via dei Morone e non dispiacque al bilioso Tommaseo. A beneficio dell'autore va detto comunque che egli non fu solo un pedissequo seguace dì Manzoni: ma ne oltrepassò l'insegnamento, non esitando a mescolare nel suo Sergiatini - auctore Schiller - il comico al tragico.
Nell'agosto 1823, il D. sposò Giovanna Adelaide Rota: dall'unione sarebbero nati ben nove figli, il maggiore dei quali, Carlo, sarà notissimo per il suo impegno risorgimentale. La sollecitudine pedagogica - già spiccata nel professore e via via sempre più vivace nel padre di famiglia - informò tutta la produzione degli ultimi anni della sua vita, dal Compendio della storia milanese per usode' giovani (1830) fino a giungere agli scritti da lui pubblicati sul Giovedì e sugli Studii per le donne italiane.
Dal Compendio balza fuori a tutto tondo la fisionomia intellettuale del D.: il suo straripante zelo moralistico-religioso (deriso dalla Biblioteca italiatta come pertinente più ad un "libro di ascetica" che a un lavoro storiografico); la sua cultura tanto vasta quanto farraginosa, aperta agli interessi più vari ma divagante e superficiale nell'accertamento (donde le perplessità espresse da una rivista come l'Autologia, che pure glì era ideologicamente assai vicina); il suo animus politico-culturale inequivocabile legato alla Milano illuminata (vedi l'elogio del ceto intellettuale operante sotto Maria Teresa).
Nel 1832 si inaugurava il nuovo palazzo De Cristotoris, costruito dall'architetto Andrea Pizzala: lo attraversava una luminosa galleria, lungo la quale si aprivano ben settanta botteghe, immagine concreta di un'ideologia intesa a fondere l'interesse privato con la pubblica utilità.
Il D. si spense a Milano il 20'giugno 1838.
Opere: Racconti morali, Milano 1811 (due ediz.), poi Lodi 1814; La morte di Adamo, azione drammatica, Milano 1816, poi Roma 1819 (rist. in Prose e poesie morali); Prose e poesie morali per uso de' giovanetti, Milano 1820 e 1821 (una scelta di tali prose fu ristampata insieme a G. Taverna, Descrizione di tutto ciò che succede ne' mesi dell'anno, Udine 1826); Sergianni Caracciolo, dramma storico, Milano 1826; Compendio della storia milattese per uso de' giovani, I-II, Milano 1830. Vari componimenti poetici furono pubbl. dal D. in rivista (Il Ricoglitore, Il Giovedi) o in opuscolo. A lui si deve anche una ristampa con commento dì C. Bartoli, Vita di Federigo, Milano 1829.
Fonti e Bibl.: Per notizie biobibliogr.: C. [Cantù], Scrittori contemporanei d'Italia, III,G. D., in Riv. europea, 15 luglio 1838), pp 55-77 (poi con qualche ritocco in Alcuni italiani contemp., I, Milano 1870, pp. 221-48, e con qualche taglio in Italiani illustri. Ritratti, III,Milano 1874, pp. 61-71); C. Rovida, Intorno alla vita ed agli scritti di G. B. D., Milano 1839; Il registro degli alunni del Longone per il 1800-01 si può vedere riprodotto in M. Parenti, Immagini della vita e dei tempi di A. Manzoni, Firenze 1973, p. 42- Per le amicizie del D.: Le lettere di C. Porta e degli amici della Cameretta, a cura dì D. Isella, Milano-Napoli 1967, ad Indicem; C. Gantù, A. Manzoni. Reminiscenze, I-II, Milano 1882, passim (v. soprattutto II, pp. 24-26); G. Mazzoni, L'Ottocento, I-II,Milano 1972, ad Indicem; E. Bellorini, D., G. B., in Encicl. italiana, XII,Roma 1931, p. 473; Storia di Milano, XIV-XVI, Milano 1960-62, ad Ind.; Diz. encicl. della letter. ital., a cura dì G. Petronio, Bari 1966, II, s.v.; Diz. della letter. italiana, a cura di E. Bonora, Milano 1977, s.v. Sulla collaborazione al Conciliatore: V. Cian, Un saggio di poesia medievale nel "Foglio azzurro", in Giorn. stor. d. lettor. ital., LII (1934), 310-311, pp. 81-84; qualche cenno in: V. Branca, introd. e note a Il Conciliatore, I-II-III, Firenze 1948-54; E. Oddone, introd. e note a Il Conciliatore, Treviso 1974; G. Petrocchi, Lezioni di critica romantica, Milano 1975, ad Ind.; si veda pure la testimonianza di S. Pellico, Lettere milanesi (1815-21), a cura di M. Scotti, Torino 1963 (suppl. 28 del Giorn. stor. d. letter. italiana). Sul Sergianni: V. Monti, Epistolario, a cura di A. Bertoldi, VI, Firenze 1931, pp. 200, 210 s.; Anonimo [ma probabilmente F. Ambrosoli], in Biblioteca ital., XI, (1826), t. XLIII, pp. 311-39; Carteggio di Alessandro Manzoni, a cura di G. Sforza-G. Gallavresi, II, Milano 1921, pp. 236 S. (lettera di E. Visconti a C. Fauriel); K. X. Y. [N. Tommaseo], in Antologia, XXIII (1826), 69, pp. 104-11; E. Bertana, La tragedia, Milano S. d., pp. 374 s., 404 s.; F. Roselli, D., G. B., in Encicl. d. Spettacolo, IV, Roma 1957, col. 312. Sul Compendio: Anonimo [ma probabilmente F. Ambrosoli], in Biblioteca ital., XV (1830), t. LIX, pp. 165-85; L. [L. Leoni), in Antologia, XLI (1831), 123, pp. 136 ss. In generale, sulla concezione storiografica dei D., v. C. Cantù, D. e. la storia, in Alcuni italiani contemporanei, cit., I, pp. 249-54 (ma forse non si tratta di fonte attendibile: cfr. E Sestan, Cattaneo giovane [1947], in Europa seitecentesca ed altri saggi, Milano-Napoli 1951, pp. 213 s., n. 2). Sul D. pedagogo: G. Azzali, G. D., in Rivirta di Pedagogia, II (1907), 4, pp. 22-26.