CRISTOFORO Fiorentino, detto l'Altissimo
Non se ne conosce la data di nascita né quella di morte. Fiorito tra i secc. XV e XVI, si acquistò presso i contemporanei una notevole fama come improvvisatore, conseguendo, probabilmente in una fase abbastanza precoce della sua carriera, una laurea poetica di cui nel frontespizio della Rotta (forse 1516) si dichiara già insignito, senza che sia possibile congetturare con qualche precisione per mano di chi e in quale occasione.
Cantò in banco, presso la chiesa di S. Martino in Firenze, allora sede abituale di tali esibizioni, il Primo libro de' Reali, accompagnandosi con uno strumento musicale (forse un liuto, con cui è raffigurato nel probabile ritratto che orna la stampa del 1524 delle Opere nuove), e con periodicità variabile (di solito due o tre volte la settimana, preferibilmente in giorni festivi, ma talvolta per più giorni di seguito). Dalle coincidenze tra giorni della settimana e feste dei santi (ai quali sono spesso rivolte lambiccate invocazioni in apertura di canto) è ricavabile soltanto la indicazione che C. può aver cantato i Reali in S. Martino, nel 1486, 1497, 1505, 1508, 1514. Il pubblico di queste esibizioni doveva essere socialmente e culturalmente assai vario, fino a includere ascoltatori dalla completa crudizione umanistica, che non esitavano a rimproverare l'Altissimo, con un tocco di pedanteria, di occuparsi talvolta, lui digiuno, di greco e di latino, di complessi argomenti filosofici in termini che ad essi apparivano insieme inadeguati e presuntuosi. Ma l'opera di C. riscuoteva ugualmente un notevole successo, se nel 1518 egli era indotto a scegliere un brano dei collaudati Reali per presentarsi al pubblico di Venezia. E a Venezia, nel 1534, dopo la sua morte, i Reali sarebbero stati stampati da Giovanni Antonio de' Nicolini da Sabbio, che ne ricostruì il. testo collegando brani trascritti frettolosamente dagli ascoltatori nel corso delle esibizioni del poeta, e brani che C. aveva steso per iscritto, probabilmente più numerosi di quanto, per comprensibile amor di mito, la premessa dell'editore non voglia far credere.
Il Primo libro de' Reali, composto di novantaquattro canti in ottave, mette in versi, non senza una certa scioltezza, la redazione prosaica., opera di Andrea da Barberino, delle vicende cavalleresche dei reali di Francia. Lo elemento più originale, nella rielaborazione di C., è rapppresentato dagli "inframessi", vale a dire da quelle pittoresche digressioni ostentatamente colte che suscitavano la perplessità del pubblico più erudito: vi si parla degli argomenti più disparati, come la vanità dei rispetti umani o della nobiltà di nascita, il suicidio, l'ipocrisia, il ruolo della testa nell'anatomia umana, la necessità di prender moglie, ecc., ma molto spesso, come nella lunga digressione messa in bocca a Costantino, vi si tentano anche complesse sintesi teologiche. Interessanti, infine, gli aneddoti, riportati al canto XVI, sull'opposizione incontrata dal Brunelleschi per il modo da lui proposto di voltare la cupola di S. Maria del Fiore, nella esposizione dei quali C. si mantiene fedele alla tradizione che risale ad Antonio di Tuccio Manetti.
Sempre a S. Martino C. cantò all'improvviso La rotta di Ravenna che, trascritta anch'essa da vari ascoltatori, fu stampata per Alessandro di Francesco Rossegli a Firenze, s. d., ma probabilmente nel 1516, come si ricava dal superstite privilegio concesso dalla Signoria il 24 genn. 1515 (secondo il computo fiorentino ab incarnatione, 1516 secondo il computo comune).
Nel 1518 C. era a Venezia, dove, nel settembre 1519, rivolgeva una supplica al Senato perché gli fosse concesso un privilegio della durata di dieci anni per due sue nuove opere, e cioè "la historia de Antenore et etiam una opereta de capitoli sonetti et stantie"; il privilegio fu in effetti subito accordato, ma non si ha notizia della stampa, che forse non ebbe mai luogo.
Nel 1524 si pubblicava a Firenze, per Bartolomeo di Matteo Castelli, uno smilzo volumetto collettivo, Opere nuove dello Altissimo Poeta Fiorentino dove si lauda una Donna dal Capo alli Piedi et altri Strambocti bellissimi composti da' più varii Auctori: C. è sicuramente l'autore solo della composizione che, rielaborata, sarà inclusa nelle raccolte successive coi titolo Bellezze di una Donna.
Probabilmente dopo il 1524, giacché all'avvenimento non si fa cenno nella stampa di quell'anno, e certamente entro il 1525, C. morì. Alla sua recente scomparsa faceva infatti riferimento Tomaso Macianghini nella lettera "a gli auditori de lo Altissimo Poeta", posta in apertura della prima raccolta notevole della produzione lirica di C... stampata a Firenze per Pacini nel 1525, Opera dello Altissimo poeta fiorentino poeta laureato cioè Strambotti Sonetti Capitoli Epigrammii in seguito ristampata a Venezia, per Giovanni Manenti, probabilmente nel 1526, se ad essa, come tutto fa credere, si riferisce un privilegio accordato dal Senato veneto in tale data. Il volume è una raccolta, di composizioni che verranno incluse quasi integralmente nella raccolta maggiore del 1555. Nella sua ristampa veneta esso è arricchito da una serie di poesie di vari autori che tessono in termini iperbolici le lodi di C., definito "In prosa Ciceron, Virgilio in carmi, / Ercole in forza, Alcibiade in beltate, 1 In gratia Scipio et Alexandro in armi".
Solo nel 1555 si pubblicava la raccolta maggiore, Opere dell'Altissimo Poeta Fiorentino. Nelle quali descrive: Le bellezze d'una Donna, Le bellezze d'un Uomo, La descrizion di Primavera, Le invocazioni fatte in S. Martino. Sonetti, Capitoli, Strambotti, Firenze, "ad istanzia di M. Peri". Due capitoli e un sonetto ne vennero riprodotti insieme con una Frottola di Luigi Pulci cittadino fiorentino cosa piacevole e ridiculosa..., Firenze 1556; l'intera raccolta venne ristampata, a Firenze, nel 1572, 1583, 1599.
In quest'opera, benché solo postumamente, C. dava di sé l'immagine che riteneva più prestigiosa, e che avrebbe voluto dare al pubblico con la stampa veneta, con ogni probabilità mai realizzata, del 1519, vale a dire la immagine di un versificatore ricercato e lambiccato, secondo quel gusto, che fu comune tra gli improvvisatori dell'epoca e venne in seguito etichettato come "secentismo precoce", caratterizzato dalla predilezione per i fitti riferimenti mitologici, un esibito armamentario retorico, una mescolanza arrischiata di concetti eruditi e di Prestiti dal repertorio leggendario e dalla zoologia fantastica popolare. C. stesso afferma in uno dei componimenti, di aver prodotto il complesso dei sonetti e degli strambotti, cioè la massa più notevole della sua lirica amorosa, pubblicata già nell'edizione fiorentina del 1525, "nell'età verde", e precisamente nel suo "sestodecimo anno", all'epoca del suo primo innamoramento. Ma l'informazione, ripresa nella citata premessa del 1525 dal Macianghini, che ricorreva alla datazione precoce per scusare la lascivia e la scarsa propensione all'eufemismo di questi componimenti, sembra abbastanza inattendibile, giacché essi evidentemente non sono il prodotto di un principiante, né sembrano in alcun modo riconducibili alle vicende di un solo sublime amore, bensì commentano i casi diversi di più amori, del tutto carnali, e sono di conseguenza caratterizzati dalla reiter azione dell'invito alla donna perché plachi l'ardore del poeta nei termini, esplicitamente designati, del soddisfacimento fisico.
A C. è anche persuasivamente riferita La Novella di Cerbino, Firenze s. d., nella quale, benché in passato si sia voluta ricondurre fino al Trecento, si sono infine riconosciute caratteristiche linguistiche e stilistiche (per esempio, la predilezione per le più stucchevoli enumerazioni) riscontrabili nei Reali e ancor più negli strambotti.
Fonti e Bibl.: B. Varchi, L'Hercolano, Firenze 1570, p. 22; G. Negri, Istoria degli scrittori fiorentini, Ferrara 1722, p. 137, dove si propone per la prima volta l'interpretazione, del tutto infondata, dell'epiteto dell'Altissimo come patronimico; F. S. Quadrio, Della storia e della ragione di ogni poesia, I, Bologna 1739, pp. 163 e 232; II, Milano 1741, p. 216, dove, nel passo del 1741, si ricavano dai testi di C., travisandoli radicalmente, elementi di una biografia fantasiosa, accolta successivamente anche da altri studiosi, secondo la quale il poeta si sarebbe chiamato Angelo e sarebbe stato un dotto sacerdote con cura di anime; G. M. Mazzuchelli, Gli scrittori d'Italia, I, 1. Brescia 1743, p. 539; G. Tiraboschi, Storia della letter. ital., VI, Modena 1772, pp. 156, 158 s.; D. Moreni, Bibl. storico ragionata della Toscana. I, Bologna 1805, p. 27; V. Lancetti, Memorie intorno ai poeti laureati d'ogni tempo e d'ogni nazione, Milano 1839, pp. 196 s.; G. Molini, Operette bibliografiche, Firenze 1858, pp. 184 s.; J. G. T. Graesse, Trésor de livres rares et Precieux...., I, Dresde 1859-69, p. 87; J.-C. Brunet, Manuel du libraire et de l'amateur de livres, I, 1, Paris 1860, coll. 201 s.; G. B. Passano, Inovellieri ital. in verso, Bologna 1868, pp. 92-95; P. Rajna, Ricerche intorno ai Reali di Francia, Bologna 1872, pp. 327-329; A. D'Ancona, La poesia popol. ital., Livorno 1878, pp. 69 s.; E. Narducci, Giunte alla opera "Gli Scrittori d'Italia" del conte Giammaria Mazzuchelli..., in Mem. dell'Accad. dei Lincei, s. 3. XII (1884), p. 20; R. Renier, in Strambotti e sonetti dell'Altissimo, Torino 1886, Introduzione, che pur costituendo la più completa analisi esistente dei problemi filologici connessi con la vita e con le opere di C., presenta gravi errori o lacune, come l'ignoranza delle edizioni fiorentine del 1525 e del 1555 delle Opere; Id., Emendazioni al testo dell'Altissimo, in Giorn. stor. della letter. ital., VI(1885), p. 477; F. Fiamini, La lirica toscana del Rinascimento..., Pavia 1891, p. 154 n. 4; P. Rajna, Una riduzione quattrocentistica in ottava rima dei primo libro dei Reali di Francia, in Bausteine zur romanischen Philologie. Festgabe für A. Mussafia, Halle 1905, pp. 230 s. (rec. in Giorn. st. d. letter. ital., XLVI [1905], p. 213); E. Levi, Icantari leggendari del popolo italiano nei secoli XIV e XV,ibid., Suppl., XVI, 1914, pp. 149-155.