DUODO, Cristoforo
Primogenito di Luca di Pietro e di Anna Duodo di Michele di Simone, nacque a Venezia il 26 dic. 1418 dal ramo a S. Angelo della ricca e prestigiosa famiglia veneziana.
Il padre deteneva larghi interessi nel campo della mercatura, che esercitò sia direttamente, sia attraverso concessioni creditizie. Rimasto vedovo, nel 1425 sposò in seconde nozze Oria Bon di Alessandro di Scipione. Più volte comandante delle "mude" di Alessandria e di Beirut, nel 1438 fu podestà a Belluno. Nel testamento, dettato il 7 marzo 1442, lasciò ai figli diversi immobili - tutti fidecommessi - in Venezia e in Padova.
Il D. venne presentato alla Balla d'oro solo dopo la morte del padre, l'11 luglio 1442, quando aveva quasi ventiquattr'anni: ciò potrebbe spiegarsi col fatto che egli fosse rimasto sin'allora lontano dalla città lagunare o perché imbarcato o perché comunque impegnato in attività commerciali. Infatti, appunto a partire da quell'anno, egli prese ad occuparsi personalmente degli interessi economici della sua numerosa famiglia, in quel momento composta dalla matrigna Oria e da almeno tre suoi fratelli e tre sue sorelle. Rimase dunque a Venezia per alcuni anni e vi sposò nel 1446 Agnese Pisani di Giovanni di Leonardo.
Da lei il D. non ebbe figli, sebbene il Barbaro gliene attribuisca uno, che non avrebbe avuto discendenza e del quale ricorda il nome, Pietro, e le date di nascita e di morte. La notizia fornita dal genealogista veneziano non sembra infatti attendibile: innanzi tutto perché il D., nel testamento dettato nel luglio del 1494, non ricorda alcun figlio; e poi perché le date di nascita e di morte del Pietro Duodo figlio del D. ricordato dal Barbaro coincidono con quelle di Pietro Duodo, uno dei fratelli del D. stesso.
Ricordato il 18 apr. 1447 tra i "pieggi" (garanti) del cugino Alessandro Duodo di Tommaso, patrono delle galere di Fiandra, il D. fu eletto della Quarantia civile il 3 ott. 1450; passò poi a quella criminale nel primo semestre dell'anno seguente. Era ancora troppo giovane, tuttavia, per poter rinunciare all'avventura mercantile: il 22 marzo 1451 accettò la nomina a comandante delle galere di Fiandra; l'11 maggio 1452 era tra i "pieggi" di Gerolamo Vallaresso, responsabile della "muda" di Cipro. Tuttavia, sebbene continuasse a dirigere personalmente i suoi interessi economici, proprio a partire da quegli anni il D. si impegnò sempre più intensamente nella vita politica, la quale fini con l'assorbire tutte le sue energie.
Eletto visdomino al fontego dei Tedeschi il 6 maggio 1453, l'anno dopo fu di nuovo della Quarantia civile e, quindi, di quella criminale. Il 24 ag. 1455 fu nominato giudice del piovego. Più in riconoscimento del ruolo da lui svolto nel mondo economico che per il suo prestigio politico, allora ancora modesto, il 9 sett. 1457 venne invitato al palazzo ducale per presenziare, come testimone, al giuramento di fedeltà prestato da Brunoro Gambara, il quale aveva ottenuto il rinnovo dell'investitura feudale. L'8 ott. 1461 compare in un gruppo di sei sopracomiti e capitani in Golfo; nel 1463 era capitano delle galere dei viaggio di Alessandria. Coinvolto nel fallimento di Giovanni Soderini, di cui era garante, fu citato a presentarsi dinnanzi al competente magistrato; contumace il 7 dic. 1467, venne condannato a pagare 50 ducati d'oro. Ciononostante, il suo prestigio politico e la sua potenza economica si consolidarono a partire dall'ottavo decennio del secolo. Provveditore alle Biave il 9 sett. 1469, il 17 marzo 1472 venne eletto capitano delle galere di Fiandra e nel dicembre del 1474 fu tra gli elettori del doge Pietro Mocenigo. Patrono all'Arsenale nel 1475, nel marzo del 1476 fu tra i 41 elettori che portarono al trono ducale Andrea Vendramin. Il 13 ag. 1478 entrò in carica come provveditore al Sal.
Aveva ormai sessant'anni, ma non l'aspettava (né forse desiderava) una vecchiaia tranquilla, da spendere tra la cura degli interessi domestici e la frequentazione delle assemblee pubbliche: infatti la nuova realtà politica determinatasi in seguito all'offensiva ottomana nel basso Adriatico, ed alla successiva guerra del Polesine, l'avrebbe visto per un quinquennio tra i principali responsabili delle operazioni militari condotte dalla flotta veneta.
Il 13 giugno 1480, in previsione di uno sbarco turco ad Otranto, al D. il governo della Serenissima affidò il compito di difendere Corfù, Parga e Butrinto, città di dominio veneziano sulla costa albanese, da possibili attacchi dei Musulmani. Sempre come provveditore della flotta - ossia come comandante di una squadra navale - operò negli anni che seguirono alle dipendenze del capitano generale da Mar, Vettore Soranzo. Nel 1482, quando ormai la Repubblica era in guerra con il duca di Ferrara, fu inviato ad Ancona con cinque galere sottili a prelevare Roberto Sanseverino, nominato luogotenente dell'esercito veneziano. Il 4 settembre di quello stesso anno ricevette dal Senato l'ordine di incrociare tra Corfù e Cipro "pro conservatione subditorum nostrorum quia fustis pyratharum Turcorum quotidie capiuntur expoliantur et submerguntur". Qualche mese più tardi, all'inizio del successivo 1493, fu inviato come provveditore, con una squadra di 11 galere, ad impadronirsi di Cefalonia, di cui si era da poco insignorito Antonio Tocco, dopo averla strappata ai Turchi.
L'impresa si prospettava assai facile. Il D. avrebbe dovuto realizzarla fingendo di offrire al Tocco un ingaggio nell'armata veneziana. L'offerta venne respinta. Le conseguenze di questo gesto ci vengono cosi riferite da un cronista coevo: "All'hora il proveditor, conossendo quel populo malissimo disposto contra don Antonio, et rengratiar Dio ch'havesse mandato lui proveditor in quel loco, poste in terra le gente sue, con l'agiuto de molti dell'isola, principiò dar bataglia al castello, nel quale era reduto don Antonio; ma da quelli del castello non fu aspettato l'assalto, anci amazato don Antonio, si resero al proveditor, et li detero l'entrata del castello; il qual senza constrasto s'empatroni poi de tutta l'isola".
Portato a termine con successo il compito affidatogli, nell'agosto il D. raggiunse il porto di Zara, ricongiungendosi al grosso della flotta veneziana. Era stato previsto che egli portasse, poco dopo, un attacco contro una squadra aragonese alla fonda nelle acque di Ancona, ma l'operazione non poté essere attuata. Il D. trascorse pertanto il resto dell'estate e dell'autunno a vigilare sulla sicurezza dei convogli veneziani in Levante. Sul finire dell'anno ricevette dal Senato l'ordine, datato 11 dicembre, di portarsi subito in Istria, "dove", si leggeva nel dispaccio, "troverete nostro comandamento". Nonostante le reiterate sollecitazioni successive, il D. poté raggiungere la sua nuova destinazione solo nel febbraio del nuovo anno 1494, a causa della cattiva stagione e del logoramento fisico e morale degli equipaggi della sua squadra, da mesi sottoposti ad uno spossante servizio in mare. In Istria trovò le preannunziate istruzioni del Senato: doveva salpare al più presto con cinque galere e fare rotta su Chioggia; dal porto lagunare avrebbe dovuto quindi risalire il Po per ricongiungersi al resto dell'armata ed assumere il comando delle operazioni navali contro il duca di Ferrara. Le condizioni di stanchezza in cui si trovavano allora gli equipaggi del provveditore non erano ignote al governo veneziano: le istruzioni impartite al D. prevedevano infatti che durante la sosta nel porto di Chioggia nessuno potesse sbarcare e che marinai e ufficiali rimanessero tutti consegnati a bordo delle navi. Alla metà di marzo il D. era davanti a Ficarolo (Rovigo), dove fallì nel tentativo di ricongiungersi col resto della flotta veneziana, a causa del fuoco delle artiglierie nemiche che dal bastione della Stellata riuscirono a impedirgli il passaggio del fiume.
Per due mesi il D. cercò di forzare il blocco. Poi, tormentato da febbri malariche, fu costretto a desistere e a chiedere di essere sostituito nel comando. Ne approfittarono i suoi equipaggi: esasperati dal lungo periodo di imbarco e sfibrati dal continuo e pesante servizio di guerra, si ammutinarono e passarono al nemico. Il 24 maggio il Senato inviò sul posto il provveditore Vettore Soranzo: doveva ottenere la riconsegna della "gente" che "ita turpiter ivit ad hostes…, graviter aegrotante dicto provisore nostro". Dotato di sufficienti mezzi e mentre già erano state avviate trattative in vista di un accordo di pace tra i belligeranti, il Soranzo riusci ad ottenere la liberazione del D. e la riconsegna dei disertori, nei confronti dei quali si procedette con esemplare durezza. Per quanto grave, l'episodio non ebbe conseguenze sull'ulteriore carriera del D., il quale fu evidentemente ritenuto vittima di errori non suoi.
Savio di Terraferma per il semestre ottobre 1484-marzo 1485, in settembre il D. assunse la carica di capitano di Verona. Nel corso di tale mandato dovette soprattutto occuparsi dei contrasti che in materia di confine e di sfruttamento di risorse minerarie opponevano ai signori d'Arco ed al vescovo principe di Trento talune Comunità suddite della Serenissima. Rientrato a Venezia, il 1° ag. 1487 fu eletto procuratore sopra gli Atti dei sovragastaldi; il 14 ottobre successivo entrò a far parte del Consiglio di dieci. Consigliere ducale dal 13 genn. 1488, tenne quella carica fino al 13 giugno di quello stesso anno. Nominato podestà di Padova, giunse nella città euganea alla fine di agosto. Rimpatriato allo scadere dell'incarico, fu tra i savi del Consiglio per il semestre marzo-settembre del 1490, e poi di nuovo consigliere per il sestiere di S. Marco dal 1°ottobre di quello stesso anno al 16 genn. 1491, quando venne eletto procuratore di S. Marco de ultra. Era il riconoscimento di tanti anni di servizio fedelmente prestato alla Repubblica per mare e per terra. Un'ulteriore conferma del prestigio di cui egli ormai godeva ci viene fornita dal fatto che venne chiamato a far parte della ambasceria straordinaria inviata a Roma negli ultimi mesi del 1492, in occasione dell'elevazione di Alessandro VI, al soglio papale.
Particolarmente fastosa la delegazione, forse nell'intento di rimuovere la memoria delle recenti tensioni che avevano contrapposto la Repubblica alla S. Sede: insieme col D. partirono da Venezia, agli inizi di ottobre, Marino Lion, Paolo Barbo e Sebastiano Badoer, con un seguito di 350 cavalli. Dopo essersi fermati a Bologna, entrarono a Roma il 6 dicembre. Il 17 successivo toccò al Badoer recitare, come membro più anziano della legazione, l'orazione ufficiale dinanzi al pontefice.
Ancora savio del Consiglio nel 1494 e nel 1495, il D. mori a Venezia nei primi mesi del 1496, probabilmente in febbraio. Il suo corpo fu sepolto - com'egli stesso aveva richiesto nel testamento - nella chiesa di S. Cristoforo di Murano, con una breve iscrizione.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Misc. codd., I, Storia veneta 19: M. Barbaro-A. M. Tasca, Arbori de' patritii…, III, pp. 373, 375, 379; Ibid., G. Giomo, Indice dei matrimoni patrizi per nome di donna, I, sub voce Duodo Anna; Ibid., Avogaria di Comun. Balla d'oro, reg. 163, cc. 203r, 204r; Ibid., Avogaria di Comun, reg. 107: Cronaca matrimoni, c. 118v; Ibid., Avogaria di Comun, reg. 178: Prove di età, cc. 70v, 123v, 191r, 249v, 270v; Ibid., Sezione notarile. Testamenti, b. 1235/135; Venezia, Bibl. del Civ. Museo Correr, Cod. Cicogna 3781: G. Priuli, Pretiosi frutti…, I, c. 271r; Ibid., Mss. P. D. 110c: Famiglia Duodo, cc. 3r, 7v; per la carriera politica, cfr. Arch. di Stato di Venezia, Segretario alle Voci. Misti, reg. 4, cc. 6v, 24r, 126r, 140v; reg. 6, cc. 16, 46, 51, 84, 86 s., 116; reg. 15, cc. 70v, 78r, 91r; reg. 16, cc. non numerate, ad dies 5 dic. 1490 e 16 genn. 1490 more veneto; Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl. VII, cod. 198 (= 8383): Reggimenti, cc. 17v, 257v, 264v; cod. 60 (= 8024): Cronaca veneta, cc. 117r, 120r, 123r; Arch. di Stato di Venezia, Senato. Delib. secreta, reg. 30, cc. 126rv; reg. 31, cc. 53v, 55r, 56r, 60v-61r, 65v-66r, 93v-94r, 95v, 109r, 116rv, 119v, 127r, 132v-133r; reg. 32, cc. 19v, 28v, 31v-32v, 40v, 43r, 95v; reg. 33, cc. 132r, 139r, 148r; reg. 34, cc. 61r, 131v, 133v, 138v-139v; reg. 35, c. 69v; altre notizie, con particolare riguardo all'attività economica del D., a Venezia, Bibl. del Civ. Museo Correr, Mss. P. D. 215b, fasc. 5; Ibid., Mss. P. D. C 2445/12, 14; Ibid., Mss. P. D. C 2468/IX, X, XIV; Ibid., Cod. Cicogna 480c: Filze e registri di documenti di casa Duodo, c. 57v; M. Sanuto, Vitae ducum Venetorum…, in L. A. Muratori, Rerum Ital. Script., XXII, Mediolani 1733, coll. 1202, 1204; I. Burchardi Liber notarum…, in Rerum Ital. Script., 2 ed., XXXII, 1, a cura di E. Celani, pp. 374, 381; C. Ghirardacci, Della historia di Bologna parte III, ibid., XXXIII, 1, a cura di A. Sorbelli, pp. 268 s.; M. A. Sabellico, Historiae rerum Venetarum ab urbe condita, in Degli istorici delle cose veneziane, II, Venezia 1718, p. 859; M. Sanuto, Commentarii della guerra di Ferrara…, Venezia 1829, pp. 8, 75, 109, 115, 118; D. Malipiero, Annali veneti dal 1457 al 1500…, in Arch. stor. ital., VII (1843-44), 1, p. 291; 2, p. 698; ILibri commemoriali della Repubblica di Venezia. Regesti, a cura di R. Predelli, V, Venezia 1901, p. 132; S. Romanin, Storia documentata di Venezia, IV, Venezia 1855, p. 396; E. Piva, L'opposizione diplomatica di Venezia…, in Nuovo Archivio veneto n. s., V (1903), 21, p. 96; C. Argegni, Condottieri, capitani, tribuni, III, Milano 1937, p. 413; A. Da Mosto, I dogi di Venezia nella vita pubblica e privata, Milano 1960, p. 209; G. Gullino, I Pisani dal banco e moretta. Storia di due famiglie veneziane in età moderna e delle loro vicende patrimoniali tra 1705 e 1836, Roma 1984, p. 390.
G. Gullino