COSTANZO
Gli anni della vita di C. che vanno dal 593 al 600 - periodo in cui ricoprì la carica di metropolita della provincia milanese - sono quelli di cui siamo meglio informati grazie al Registrum di Gregorio Magno.
Nelle lettere inviate dal pontefice a C. durante il suo episcopato vi sono accenni anche agli anni precedenti la sua nomina che permettono, almeno, di sapere che si trovava a Costantinopoli tra il 578 e il 585. In questi stessi anni Gregorio, come ricorderà in diverse occasioni, allora apocrisario in quella città, iniziava con lui uno stretto legame di amicizia, basato sulla fiducia e la stima che C. si era saputo conquistare. Non si sa in quale anno C. ritornò in Italia, ma doveva essere già diacono ed essere rientrato nella diocesi milanese nell'agosto del 591, se è esatta l'identificazione, proposta dall'Ewald e dal Hartinann, di C. "diaconus vester" ricordato nella lettera inviata in questa data a Lorenzo II, vescovo di Milano, con C. "ecclesiae vestrae diaconus" chiamato con decisione unanime del clero milanese a succedere allo stesso Lorenzo nel 593.
Nell'aprile dello stesso anno Gregorio prendeva atto, con particolare gioia, della scelta operata e di cui era stato informato dal chierico Ippolito e dal prete Magno, a cui precedentemente si era rivolto affinché il nuovo vescovo avesse certe caratteristiche e soprattutto fosse eletto con il totale accordo di clero e popolo. Infatti il vescovo e gran parte del clero milanese si erano ritirati a Genova per sfuggire all'invasione longobarda; quindi l'antica "regione" della Liguria si trovava ad avere un metropolita che risiedeva nella fascia costiera ancora dipendente dall'Impero bizantino, avendo però gran parte dei suoi territori e dei vescovi suffraganei che si trovavano nelle zone occupate dai Longobardi. La situazione territoriale era aggravata dallo scisma dei Tre Capitoli ancora particolarmente vivo proprio nell'Italia settentrionale. Questo stato di cose spinse Gregorio ad inviare a Genova immediatamente il suddiacono Giovanni per assicurarsi che C. fosse rapidamente consacrato, come il suo predecessore, dai vescovi suffraganei. Nello stesso tempo si preoccupò di informare dell'elezione l'esarca Romano a cui presentò e raccomandò C. come: "Meus enim est proprius olimque milii magna fuit familiaritate coniunctus", confermando così i suoi legami con il nuovo eletto.
Nel settembre del 593 C. era già stato consacrato e ricevette da Gregorio il pallio. Ma non appena iniziò la sua attività si trovò ad affrontare il grave problema rappresentato dallo scisma. Tre vescovi della provincia milanese si erano allontanati dalla sua comunione accusandolo di aver accettato nella sua professione di fede (cautio) la condanna dei Tre Capitoli. Essi avevano indotto anche la regina Teodolinda a prendere una uguale decisione e a sospendere il riconoscimento della ordinatio di Costanzo. Questi informò segretamente il diacono Bonifacio che si affrettò a riferire a Gregorio la delicata questione. Ma Gregorio sembrò quasi sottovalutare la gravità della situazione perché convinto che una sua lettera a Teodolinda, a cui invierà anche l'abate Giovanni e il notaio Ippolito, sarebbe bastata a disperdere l'influsso negativo che alcuni personaggi avevano avuto sulla regina. Insieme con questa epistola da trasmettere a Teodolinda gliene inviò una, che, anche se indirizzata a lui, C. avrebbe dovuto far conoscere ai vescovi scismatici, in cui affermava che: "Ego tamen nominata inter nos neque verbo neque scripto tria capitula recolo". Questo gli sembrò sufficiente a risolvere il problema.
La difficile situazione che C. doveva affrontare non gli faceva però dimenticare di essere, in un certo senso, la punta avanzata del Papato nell'Italia settentrionale. In questo momento, come poi avrebbe fatto per tutto il suo episcopato, informò Gregorio sui movimenti dei re Franchi e di Agilulfo, re dei Longobardi. E a C. - il tramite con questa corte - il papa si affidò per avere tutte le notizie possibili, ma soprattutto per assicurare Agilulfo, che aveva attraversato il Po dirigendosi verso Roma per assediarla, che se fosse stato pronto a fare la pace coll'esarca avrebbe avuto tutto il suo appoggio. Nel maggio del 594, poi, C. dovette coadiuvare il vescovo di Luni Venanzio, che aveva personalmente richiesto e ottenuto da Gregorio il suo aiuto, per risolvere la grave situazione creatasi in quella diocesi per la mancata osservanza della disciplina ecclesiastica da parte di alcuni chierici e monaci.
I problemi nati nel momento della consacrazione di C. non si erano però risolti così facilmente come aveva creduto Gregorio; anzi nel luglio del 594 divennero ancora più gravi. C. aveva giudicato opportuno non trasmettere alla regina Teodolinda la lettera inviatale l'anno precedente dal papa, perché riteneva giustamente, come riconoscerà lo stesso Gregorio, controproducente l'esplicito riferimento che vi era fatto al sinodo constantinopolitano del 553, o quinto concilio, da cui era nato lo scisma dei Tre Capitoli. Ma se i rapporti con Teodolinda non avevano subito cambiamenti, erano peggiorati però quelli con i vescovi scismatici che questa volta, con l'aggiunta dei cittadini di Brescia, richiesero da C. un'assicurazione scritta e giurata che non aveva condannato i Tre Capitoli. Sia per spiegare la mancata consegna della lettera a Teodolinda, sia per sottoporgli i nuovi sviluppi della situazione interna della sua diocesi, C. si rivolse direttamente, questa volta, a Gregorio. Nel luglio il pontefice gli inviò una nuova stesura della lettera a Teodolinda dove, accettando la sua opinione, non nominava neanche il quinto concilio, anche se il tono del testo rimaneva identico a quello precedente. Per le richieste dei vescovi, invece, gli consigliò di limitarsi ad affermare la più completa adesione al concilio di Calcedonia e di seguire l'esempio del suo predecessore Lorenzo, che non aveva dato simili assicurazioni; poiché non le avevano pretese da quello, non dovevano pretenderle da lui. D'altra parte Gregorio non credeva che Lorenzo avesse mai accettato una simile imposizione, perché allora sarebbe venuto meno alla sua professione di fede. Proprio questo accenno permette di comprendere meglio la delicata situazione, che C. aveva ereditato dal suo predecessore, il quale aveva rilasciato la sua cautio, non dopo il 573, ma la sua politica era stata tale da permettere ai suoi suffraganei di credere che non avesse ripudiati i Tre Capitoli. In questa situazione C., il quale si presentava come l'uomo di fiducia di Gregorio, che gli scismatici sapevano bene essere il più deciso oppositore dello scisma, aveva immediatamente sollevato preoccupazione e sospetto tra di loro, tanto che molti gli rimproveravano anche di nominare nei dittici della messa, oltre al papa, Giovanni vescovo di Ravenna, che come i suoi predecessori non aveva mai seguito lo scisma dei Tre Capitoli. C. poté facilmente risolvere questo problema decidendo, anche su consiglio di Gregorio, di non nominare più, durante la messa, Giovanni, poiché questi non lo ricordava a sua volta. Ma non poté, con uguale facilità, abbandonare l'esempio di Lorenzo, che aveva accettato l'ex militare Fortunato alla sua mensa dandogli una serie di onori, senza aver prima spiegato a Gregorio più chiaramente e dettagliatamente i motivi per cui intendeva privarlo di quanto gli era stato concesso.
A questa già difficile situazione si aggiungeva il contrasto tra il vescovo Giovanni e il vescovo Ursicino che C., usando tutta la sua influenza, cercò di far recedere da qualsiasi azione contro Giovanni. Sull'identificazione di questi due vescovi i pareri sono discordi. Se in Ursicino si può riconoscere il vescovo di Torino, in Giovanni l'Ewald e l'Hartmann vedono il vescovo di Ravenna, mentre per il Savio l'identificazione è improbabile sia per la lontananza delle due diocesi, sia perché Gregorio parlando lungamente, in questa stessa lettera, del vescovo di Ravenna non aveva accennato minimamente a un tale problema. L'impossibilità di identificare le diocesi alle quali Ursicino e Giovanni sono preposti, non permette di valutare appieno il senso di questa azione. Non è infatti possibile decidere se questa opera di pacificazione rientrava nei normali compiti che C. doveva assolvere come metropolita della provincia milanese, oppure se competesse a lui, come colui che nella penisola era secondo per importanza solo al pontefice, risolvere le più delicate questioni sorte, anche al di fuori della sua diocesi, nell'Italia settentrionale.
Nel novembre dello stesso 594 C. aveva portato a termine l'esame della situazione disciplinare della diocesi di Luni. Lo si deduce da due lettere che in questo stesso mese, e una di seguito all'altra nel registro, sono inviate l'una al vescovo Venanzio l'altra a Costanzo. In esse vi è una parte in comune che riguarda le più gravi sanzioni disciplinari da prendere contro Iobino, diacono e abate di Portovenere che doveva essere deposto dalla sua carica e sostituito, contro tre suddiaconi che dovevano essere ridotti alla comunione laica e privati del loro ufficio, e contro Saturo che, deposto dal sacerdozio, non poteva riprendere il suo ministero ma doveva rimanere nell'isola della Gorgona, ove già si trovava, per la cura dei monasteri. Ma anche all'interno della sua diocesi C. dovette prendere altri provvedimenti disciplinari: contro Vitaliano, che, privato del sacerdozio, doveva essere mandato in Sicilia; contro Amandino, che Lorenzo - se si accetta la correzione del testo proposta dal Savio - aveva privato del sacerdozio e della carica abbaziale e che non doveva essere reintegrato.
Ma la situazione già tanto delicata di C. sembra, proprio in questo momento, divenire ancora più difficile, poiché i suoi buoni rapporti con il pontefice rischiarono di essere incrinati per la sorte di Fortunato. La risposta di C. relativa alla causa di quest'ultimo era stata espressa in termini talmente risentiti che Gregorio poté solo pensare che non fosse lui l'estensore della lettera. Per chiarire questo triste malinteso C. dovette inviare a Roma una persona ben informata, in modo che la questione fosse risolta con una sentenza che non potesse ritenersi dettata da odio e vendetta, essendosi lamentato Fortunato che non gli era stato concesso neanche un difensore.
Due anni più tardi, nel novembre del 596, i rapporti tra Gregorio e C. erano tornati ottimi, tanto che il papa si affrettò a rincuorarlo, essendo stato oggetto di accuse e pettegolezzi ingiustificati e gli fece conoscere oralmente attraverso Mariano, "defensor" della Chiesa milanese, la sua opinione su alcuni problemi. Anche se non è possibile stabilire di quali colpe C. era accusato, si può facilmente supporre che le sue preoccupazioni siano sempre legate allo scisma dei Tre Capitoli, sia perché Gregorio fa riferimento ad accuse già più volte sentite, sia perché in questo stesso periodo C. era stato costretto a deporre un vescovo.
Nel novembre del 597 C. risiedeva ancora a Genova, e come tutti i vescovi che si trovano nei territori bizantini, dovette far rispettare una legge dell'imperatore Maurizio che impediva agli ufficiali dell'Impero di seguire la vita ecclesiastica o monastica lasciando il loro ufficio. Nel gennaio del 599 Giovanni, vicario del prefetto del Pretorio, dovendo recarsi a riscuotere i tributi, chiese a Gregorio una lettera di presentazione per Costanzo. Ma il pontefice si affrettò a rassicurare C. che la sua missiva voleva solo agevolare, nei limiti del possibile, l'azione di Giovanni. Soprattutto desiderava che non si ripetesse quanto era avvenuto con Vigilio, il predecessore di questo, che aveva approfittato della sua carica e delle credenziali del pontefice per esigere da C. del denaro che non gli spettava. Nel maggio dello stesso anno C. venne scelto da Gregorio per un nuovo delicato compito. Si doveva recare a Ravenna per coadiuvare, in piena parità, il vescovo Mariniano a cui era affidato il giudizio di Massimo "Salonitanae ecclesiae prevaricator", nel caso che questi avesse in sospetto la persona di Mariniano. Questo processo era l'ultimo atto di una lunga disputa tra il pontefice e gli esarchi bizantini, che si trascinava dal 593-594, quando l'allora esarca Romano aveva appoggiato per il vescovato di Salona, sulla base di un ordine imperiale, contro il diacono Onorato, eletto dal popolo e dal clero e approvato da Gregorio, Massimo, alla cui nomina si era opposto il pontefice per indegnità morale. Se nel 599 Gregorio accettava di aprire un processo nei riguardi di Massimo, che aveva compiuto gravi atti contro la Chiesa romana, questo si doveva soltanto alle assidue e importune insistenze del successore di Romano, l'esarca Callinico. Ma questa situazione spiega perché il pontefice ritenesse utile, in caso di necessità, affidare la causa anche ad un uomo fidato come Costanzo.
Nell'estate dello stesso anno C. inviò a Roma il diacono Evenzio per ottenere delle reliquie per la dedicazione di una nuova chiesa e affinché il pontefice raccomandasse ad Anatolio, apocrisario a Costantinopoli, alcuni membri della Chiesa milanese che si dovevano recare in quella città. Tra i motivi che avevano spinto C. a mandare Evenzio vi era anche la questione degli orti della patrizia Italica, il cui possesso era da lui rivendicato alla Chiesa milanese. La missione di Evenzio ebbe pieno successo per la soluzione di tutte le questioni poste. Nel luglio egli partì da Roma con le reliquie dell'apostolo Paolo e dei ss. Giovanni e Pancrazio. Gregorio, in una lettera particolare, che accompagnava l'invio delle reliquie, sottolineò la necessità che la nuova chiesa non venisse consacrata se non disponeva di beni sufficienti alle sue necessità.
Ma soprattutto in una seconda lettera Gregorio, oltre ad inviare a C. la risposta scritta sulle questioni poste, dandogli assicurazione che aveva provveduto a rispondere oralmente a Evenzio su altri problemi, gli fece avere istruzioni per portare avanti le trattative, iniziate con i chierici di Como, sul cui andamento aveva avuto una relazione attraverso lo stesso Evenzio. Infatti nei mesi precedenti C., secondo quella che è una delle costanti di tutta la sua azione episcopale, aveva tentato di convincere i "clerici ecclesiae Comensis" ad abbandonare lo scisma dei Tre Capitoli, che in questa zona, per ragioni storiche e religiose, aveva trovato una adesione particolarmente viva. Proprio questa fedeltà assoluta spiega - come ha osservato il Bognetti - l'assenza in questo momento di un vescovo a capo della Chiesa di Como, che preferì restarne priva finché non ottenne che il suo vescovo venisse consacrato dal patriarca di Aquileia, Giovanni, la cui ortodossia verso i Tre Capitoli era sicura. Questa situazione giustifica facilmente i risultati negativi ottenuti da C. a cui i chierici comensi ribadiscono la loro adesione allo scisma, sottolineando che da parte della Chiesa romana era stata loro sottratta anche una proprietà, la "Villa Auriana", che si trovava in territorio bizantino. Nel luglio Gregorio, nella lettera consegnata a Evenzio, affidò a C. l'inchiesta relativa alla proprietà contestata, comprendendo come la via migliore fosse quella di rendere giustizia ai chierici, restituendo a quelli la proprietà se era loro, anche se non abbandonavano lo scisma. Se invece alla lunga l'azione di C. si fosse mostrata tanto fruttuosa da farli tornare all'ortodossia, la "Villa Auriana" avrebbe potuto allora essere donata ad essi anche se non fosse risultata di loro proprietà. Le difficoltà continue che C. dovette affrontare nel cercare di mantenere il rispetto della disciplina nella sua diocesi sono provate dall'azione del vescovo Teodoro, che, non sopportando la disciplina imposta da C., abbandonò i territori a questo soggetti e si rifugiò presso il vescovo Siagrio di Autun, dove si trovava nel luglio di quell'anno e di cui Gregorio solleciterà il ritorno. Nel maggio del 600 il "defensor" Mariano fu inviato a Roma da C. per avere notizie sulla causa del vescovo Pompeo. Ma Gregorio non si sentì di prendere nessuna decisione, perché Massimiano, vescovo di Siracusa, a cui Pompeo si era rivolto, lo aveva dichiarato innocente e perché la causa non era stata condotta dalla Chiesa milanese con l'accuratezza necessaria. L'unica cosa che il papa poté fare fu di affermare che Pompeo era ancora degno del titolo di vescovo. Tramite Mariano C. fece avere a Gregorio delle notizie, che egli ignorava, sugli Alemanni. Ma questa è l'ultima volta che C. poté essere utile al pontefice: pochi mesi più tardi, nel settembre dello stesso anno Gregorio informò il clero milanese di aver accettato la nomina del diacono Deusdedit alla successione di Costanzo.
Il catalogo dei vescovi della Chiesa milanese, a proposito di C., riferisce che morì il 3 settembre dopo aver tenuto per diciotto anni la sua carica. Se la data di morte è verosimile, è invece evidente che un errore è incorso negli anni di episcopato che sono otto e neanche completi. Lo stesso discorso vale per la notizia, riferita sempre nel catalogo, che C. sarebbe morto a cento anni. È ormai concordemente accettata l'opinione che nel testo originale doveva trovarsi una L sostituita da C. Il luogo della sua sepoltura è indicato nella chiesa di S. Ambrogio a Genova. Da una lettera del maggio 602 sembra potersi ricavare che C. aveva lasciato parte dei suoi beni alla Chiesa milanese.
Fonti e Bibl.: Anonymi Mediolanensis Libellus de situ civitatis Mediolani, in Rer. Ital. Script., 2 ed., 1, 2, a cura di A. e G. Colombo, p. 99; Gregorii I papae Registrum epistol., in Mon. Germ. Hist., Epistolae, I, a cura di P. Ewald-L. M. Hartmann, Berolini 1887-1891, pp. 99, 186-189, 232-236, 20 s., 272 ss., 286 s., 299 ss., 456 s.; II, a cura di L. M. Hartmann, ibid. 1893-1899, pp. 12 s., 110 s., 150, 155 s., 176, 178 s., 215, 230 s., 245 s., 265 s., 272 s., 361; Landulli Historia Mediolanensis, in Mon. Germ. Historica, Scriptores, VIII, a cura di L. C. Bethmann-W. Wattenbach, Hannoverae 1848, pp. 47 s.; F. Ughelli-N. Coleti, Italia Sacra, IV, Venetiis 1719, coll. 59 s.; J.A. Saxii Archiepiscoporum Mediolanensium series historico-chronol., I, Mediolani 1755, pp. 199-220, B. Oltrocchi, Ecclesiae Mediolanensis hist. ligustica, Mediolani 1795, pp. 400-432; F. Savio, La Lombardia, I, in Gli antichi vescovi d'Italia dalle origini al 1300, Firenze 1913, pp. 251-266; F. Lanzoni, Le diocesi d'Italia dalle origini al principio del secolo VII (an. 604), XXXV, Faenza 1927, pp. 1029 s.; C. G. Mor, Contributo alla storia dei rapporti fra Stato e Chiesa al tempo dei Longobardi. (La politica ecclesiastica di Auteri e di Agilulfo), in Rivista di storia del diritto italiano, III (1930), ora anche in C. G. Mor, Scritti di storia giuridica altomedievale, [Pisa 1977], pp. 550-554, 560 s., 564 s., 569 s., 577-580; G. P. Bognetti, S. Maria Foris Portas di Castelseprio e la storia religiosa dei Longobardi, in G. P. Bognetti-G. Chierici-A. De Capitani D'Arzago, Santa Maria di Castelseprio, Milano 1948, pp. 118 s., 133-135, 138 s., 144 s., 157, 159, ora anche in G. P. Bognetti, L'età longobarda, II, Milano 1966, pp. 201 ss., 223-228, 232 s., 234, 274, 277; E. Cazzani, Vescovi e arcivescovi di Milano, Milano [1955], pp. 52-56; E. Cattaneo, Missionari orientali a Milano nell'età longobarda, in Arch. stor. lomb., XC(1963), pp. 218, 220-225.