GRIMALDI, Costantino
Nacque a Napoli il 30 genn. 1667 da Francesco Antonio e Antonia Cacace. Ebbe come maestro per le belle lettere e l'oratoria Matteo Taurini. Spinto dallo zio Scipione, sacerdote secolare, a frequentare le Scuole pie di largo dello Spirito Santo, vi strinse amicizia con il padre Tommaso di S. Tommaso d'Aquino, dal quale apprese la filosofia aristotelica. Dopo l'anno di logica, al termine del quale sostenne alcune pubbliche conclusioni, proseguì gli studi non di metafisica, come avrebbe voluto, bensì, per volere paterno, di legge, sotto Domenico Radesca e Matteo De Lellis. Lesse poi, per proprio conto, E. Tesauro, F. Piccolomini e, per i casi di coscienza, la summa di A. Diana e l'opera di M. Bonacina. A sedici anni, con la dispensa del Collaterale per la giovane età, ottenne la laurea.
Prese quindi a frequentare il foro, senza tralasciare, tuttavia, lo studio delle belle lettere sotto la guida del leccese Luca Giordano che lo avviò alla lettura dei moderni: L. Di Capua, T. Cornelio, R. Boyle, P. Gassendi, R. Descartes. Non trascurò i classici, Cicerone e Quintiliano sopra tutti, studiò lo spagnolo e il francese, i rudimenti della geometria su Euclide e la medicina sotto la guida di Tommaso Donzelli. Di lì a poco prese a frequentare il circolo di Giuseppe Valletta e strinse amicizia con diversi personaggi illustri: Francesco Billio, Filippo Anastasio, Giuseppe Lucina, Giacomo Grazini, Domenico Greco, Antonio Monforte, Giacinto Di Cristofaro, Niccolò Capasso, Niccolò Cirillo, Matteo Egizio, Ottavio Ignazio Vitagliano, Amato Danio, Felice Stocchetti.
È di questi anni l'idea, cara all'ambiente vallettiano, di una storia universale della filosofia, che il G. concepì in contrapposizione al gesuita Giovan Battista De Benedictis. Questi nel 1694, sotto lo pseudonimo di Benedetto Aletino, aveva dato alle stampe a Napoli le Lettere apologetiche in difesa della teologia scolastica e della filosofia peripatetica: cinque lettere indirizzate a personaggi fittizi (ma facilmente identificabili) e reali dell'ambiente investigante. La necessità di una risposta al gesuita fu immediata; lo stesso G. fornisce l'elenco di quanti risposero o manifestarono l'intenzione di rispondere: Giuseppe Lucina, Filippo Anastasio, Francesco D'Andrea, Domenico Greco e Giuseppe Magrino. Da parte sua il G. in un primo momento (è lui stesso a ricordarlo) pensò di rispondere indirettamente, compilando la sopra ricordata storia, che avrebbe dovuto seguire lo sviluppo della filosofia nelle singole nazioni, soprattutto nel suo sorgere presso i Greci, nel passaggio ai Romani, quindi agli Arabi e infine ai moderni.
Quando apparve chiaro che le risposte attese o annunciate non avevano raggiunto lo scopo o che addirittura erano destinate a restare allo stato di progetto, mentre peraltro l'Aletino e i suoi sostenitori continuavano nell'offensiva contro i moderni, il G. si accinse a rispondere al gesuita.
Le tre risposte del G. videro la luce tra il 1699 e il 1703. Nella prima (Risposta alla lettera apologetica in difesa della teologia scolastica di Benedetto Aletino. Opera nella quale si dimostra esser quanto necessaria ed utile la teologia dogmatica e metodica, tanto inutile, e vana la volgar teologia scolastica, stampata a Ginevra per l'interessamento di C. Musitano, presso Tournes, ma datata da Colonia presso S. Hecht), pubblicata anonima, il G. muove dalla distinzione (già in Valletta) tra una buona e una cattiva (volgare) scolastica: la prima che non si discosta dalla Sacra Scrittura, dalla tradizione, dai Padri, dai concili, dall'autorità, la seconda che, al contrario, non fa debitamente ricorso alla tradizione e pretende di provare le verità di fede con la sola ragione umana, muovendo dalla filosofia. Descartes, che secondo uno schema consueto ai novatores napoletani viene accomunato spesso a Gassendi, è presentato come estremamente rispettoso nei confronti della sacra dottrina, in contrapposizione a quei filosofi che dialettizzavano la teologia.
La Risposta, di cui ben presto si conobbe il nome dell'autore, procurò al G. notevole fama e apprezzamento anche fuori del Regno e lo mise in contatto con letterati illustri, tra cui G.V. Gravina, L.A. Muratori, A. Magliabechi, J. Mabillon. Nella seconda risposta (Risposta alla seconda lettera apologeticadi Benedetto Aletino. Opera utilissima a' professori della filosofia, in cui fassi vedere quanto manchevole sia la peripatetica dottrina, 1702), non più anonima, data la favorevole accoglienza della prima, e stampata realmente a Colonia "perché trovò le stamperie occupate in Ginevra", sono affrontati più direttamente i problemi della filosofia aristotelica e del suo rapporto con la fede e con la dottrina cristiana.
Con abile mossa il G. trasforma questa seconda risposta in un serrato attacco ad Aristotele, proprio sul terreno più caro all'Aletino, l'affidabilità teologica dello Stagirita. Sulla base di un sapiente incastro di testi (F. Patrizi, P. Ramo, P. Gassendi, ma anche gesuiti come Juan Maldonado, Antonio Possevino, Michel Elizade o domenicani come Melchior Cano) e di abili argomentazioni, il G. dimostra come alla luce dei principî aristotelici diventino insostenibili i cardini della fede cristiana: la provvidenza, la creazione, l'immortalità dell'anima; e, sul versante della scienza, la corruttibilità dei cieli. Diversamente, i moderni, Descartes sopra tutti, hanno professato dottrine non in contrasto con le Scritture: ne è esempio l'impegno del filosofo francese per conciliare la dottrina eucaristica con la sua concezione della res extensa.
Alla terza risposta (Risposta alla terza lettera apologetica contra il Cartesio creduto da più d'Aristotele di Benedetto Aletino. Opera in cui dimostrasi quanto salda e pia sia la filosofia di Renato delle Carte e perché questa si debba stimare più d'Aristotele, 1703), stampata questa volta in Napoli da G. Rosselli, ma sempre con l'indicazione di Colonia (perché senza la licenza dell'arcivescovo), è affidata la difesa di Descartes dagli attacchi dell'Aletino.
Questa risposta, più ancora delle prime due, rappresenta uno fra i più importanti documenti nella diffusione del pensiero e delle opere di Descartes in ambiente napoletano. Il G. appare, anzi, come uno dei più attenti, se non il più attento interprete partenopeo del filosofo francese, sia per la conoscenza pressoché integrale del corpus cartesiano allora disponibile, comprese le lettere e gli Opuscula postuma, sia per l'acume interpretativo. Descartes, "il miglior filosofante di ogni tempo", viene visto soprattutto muovendo dalla sua metafisica: "È ben noto che non solamente il metafisico sistema cartesiano s'aggiri tutto intorno alla cognizione d'Iddio […] ma il sistema ancor fisico tutto quanto è, suppone necessariamente per fabro, e regolatore il supremo facitore" sicché "togliendosi per ipotesi il darsi Iddio, caderebbe e si ridurrebbe a nulla la macchina del Cartesiano sistema" (pp. 186-188). Questa piegatura metafisica, nuova rispetto a pensatori come Valletta e D'Andrea e più in generale all'ambiente investigante e a quello dell'Accademia di Medina Coeli, permise al G. di allontanare da Descartes la pericolosa accusa di collusione con l'atomismo antico, e di inserirlo nell'alveo della tradizione di Platone e di Agostino, di cui, in particolare, Cartesio è detto "fido seguace". Tutti i temi e i testi della metafisica cartesiana, in un discorso che è al tempo stesso giustificazione e ricostruzione del moto rinnovatore napoletano che da quei testi aveva tratto alimento, sono passati in rassegna: il dubbio, il cogito ergo sum, il criterio dell'evidenza (ove grande importanza è data al momento dell'intuitus, il "guardo"), le dimostrazioni dell'esistenza di Dio. Esaminata e così difesa la metafisica, la fisica cartesiana, di cui il G. discute il ruolo delle ipotesi (diverse dalle supposizioni dei poeti e degli astronomi, spesso impossibili), appare se non più agevole, certo più sicura. Il G., che difende al tempo stesso Descartes e Leonardo Di Capua, polemizza non solo con l'Aletino ma anche con talune sue fonti come il padre G. Daniel e soprattutto l'astronomo Pierre Petit, che l'Aletino aveva indicato come propria guida. Vengono così discusse, cogliendone precisamente i nessi, le principali concezioni fisiche del filosofo francese: il corpuscolarismo legato al rifiuto delle forme sostanziali (concetto applicabile solo all'anima "ragionevole"); la riduzione della materia a estensione e negazione del vuoto; l'universo indefinito (non infinito come gli attribuiva l'Aletino), costituito dal moto che Dio ha impresso alla materia; l'accettazione del principio inerziale, da cui discende che il cosmo è retto dalle leggi del moto e liberato da ogni visione antropomorfica e finalistica. Con questo cosmo materiale l'uomo, non più centro dell'universo, intrattiene un rapporto grazie alle sensazioni e alle passioni, che sono in vista della conservazione e della salvaguardia del composto anima e corpo.
Nel 1703 uscì una replica dell'Aletino alla terza Risposta del G., la Difesa della scolastica teologia, ed ebbe inizio anche lo scambio di accuse tra i due presso il Sant'Uffizio, che diede il via a una serie di relazioni e controrelazioni. Nonostante ciò, il G. trovò a Roma un clima non del tutto sfavorevole, soprattutto tra i prelati filogiansenisti, e l'opera poté liberamente circolare; anzi, grazie soprattutto all'interessamento di A. Magliabechi (cfr. lettera del G. a Magliabechi del 13 marzo 1703, Firenze, Biblioteca nazionale, Magl., VIII.671), ebbe una notevole diffusione in Italia e fuori. Tra il 1703 e il 1704 il G. abbozzò le risposte contro la IV e la V lettera del gesuita. Nel 1704 venne colto da un colpo apoplettico e l'anno dopo l'Aletino (insinuando che il 28 febbr. 1704 s. Ignazio avesse colpito il G. perché aveva osato "malmenar" la sua Compagnia) intervenne nuovamente con una Difesa della terza lettera apologetica di Benedetto Aletino. La morte improvvisa del gesuita, l'anno successivo (il G. non mancò qualche anno più tardi di vendicarsi delle insinuazioni dell'Aletino, collegando la sua morte a una punizione celeste), la sua stessa malattia, la denuncia alla congregazione romana delle tre risposte, il fatto che altri avessero risposto alla replica dell'Aletino (Filippo Anastasio diede fuori uno scritto, che non venne pubblicato, ma il G. ebbe modo di leggerlo), sono tra i motivi per cui il G. non volle dar seguito allora alla polemica; nello stesso periodo, tuttavia, mise mano a un'Analisi del modo di teologare, il cui bersaglio era pur sempre la teologia scolastica, che l'autore non portò a termine perché chiamato (direttamente dalla corte di Barcellona, su consiglio di Nicolò Caravita) a difendere gli editti regi in materia di benefici ecclesiastici nel Regno di Napoli contro la Curia romana.
Il G., che aveva già ricoperto cariche in seno all'amministrazione (governatore dell'arrendamento dei ferri in Terra di Lavoro e deputato dell'arrendamento del tabacco), venne chiamato a questo incarico il 20 luglio 1708. La pretesa del re Carlo d'Asburgo, espressa negli editti, di conferire benefici ecclesiastici solo a regnicoli, contro la pretesa della Curia romana, venne dunque sostenuta dal G. nelle Considerazioni teologico-politiche fatte a pro degli editti di s. maestà cattolica intorno alle rendite ecclesiastiche del Regno di Napoli (I-II, Napoli 1708-09), che furono recensite nel IV supplemento degli Acta eruditorum del 1711 (pp. 369 s.). La risposta di Roma non si fece attendere: il 17 febbr. 1710 la Curia emanò una bolla che colpiva, con le opere di Alessandro Riccardi e Gaetano Argento, la prima parte del Trattato delle considerazioni teologico-politiche, mentre la seconda parte veniva raggiunta dalla censura neppure un mese dopo, il 24 marzo. Il G., che nel 1709 era stato nominato consigliere straordinario del tribunale di S. Chiara (diverrà ordinario il 28 febbraio dell'anno successivo), preparò contro il testo della censura (la cui stesura si doveva al benedettino Nicolò Maria Tedeschi) un Avviso critico et apologetico intorno alla bolla, et alla censura fatta a' libri intitulati Considerazioni teologico-politche, che circolò manoscritto negli ambienti anticuriali napoletani.
Morto l'Aletino, la polemica con i gesuiti non cessò: in un processo che li riguardava essi ricusarono il G. come giudice, facendo leva sulla passata polemica con il loro confratello e ottennero poi, con l'appoggio del reggente S. Biscardi, l'esclusione del G. da tutti i processi in cui fosse coinvolta la Compagnia, con una sentenza del Collaterale del 19 dic. 1710. Il G., che cercò inutilmente di ottenere la revoca del decreto (facendo anche intervenire L.A. Muratori presso il viceré Carlo Borromeo Arese, di cui l'abate modenese era amico), ebbe tuttavia dalla sua parte Gaetano Argento e il reggente Gaetano Rubini. Numerosi consulti negli anni successivi testimoniano la sua attività di consigliere. In questi stessi anni il G. riprese in mano le risposte all'Aletino con l'intenzione di pubblicarne una nuova edizione. Le controverse vicende della stampa sono documentate dal G. stesso nelle sue Memorie, ora pubblicate, a cura di V.I. Comparato, con il titolo Memorie di un anticurialista del Settecento, Firenze 1964. Terminata la stesura dell'opera il G., il 29 marzo 1719, chiese la licenza di stampa al Collaterale (non all'arcivescovo, precisa lo stesso G., per l'illegittimità, a suo avviso, della licenza ecclesiastica); si rivolse quindi allo stampatore Nicolò Parrino, che, iniziata la stampa, la sospese di lì a poco su pressione di ambienti curiali. A questo punto il G., secondo una prassi invalsa, ottenuti dallo stesso Parrino i caratteri, continuò la stampa in casa propria. Gli ostacoli e gli equivoci erano, tuttavia, ben lungi dall'essere superati: il cardinale Francesco Pignatelli, arcivescovo di Napoli, cercò, infatti, di far interrompere la stampa, senza però riuscirci; d'altro canto il viceré, cardinale Michail Friedrich d'Althan, che in un primo momento aveva fatto intendere che avrebbe gradito che l'opera gli fosse dedicata - cosa che il G. fece - sollevò mille difficoltà, cui il G. rispose punto per punto, finché "vidde, ed odorò che il signor viceré non facea più da viceré, le cui parti altre certamente sarebbero state, ma da ministro di Roma, e da esecutore delle voglie altrui, non ascoltando altro che gl'impulsi venutigli da colà" (ibid., p. 54). I volumi, già stampati, vennero sequestrati, salvo quelli che il G. aveva fatto circolare tra gli amici. Tre copie vennero inviate a Roma per il tramite del cardinale Àlvaro Cienfuegos, ministro plenipotenziario austriaco. Una di queste venne fatta pervenire direttamente al pontefice. Il 23 sett. 1726 arrivò la condanna della congregazione dell'Indice, che colpiva sia la prima sia la seconda edizione delle Risposte. Il G. affidò la sua difesa a un memoriale in cui rivendicava il fatto che la prima edizione delle Risposte fosse passata immune per ben tre volte all'esame del Sant'Uffizio.
La nuova edizione, intitolata Discussioni istoriche, teologiche, e filosofiche di Costantino Grimaldi fatte per occasione della risposta alle lettere apologetiche di Benedetto Aletino (I-III, Lucca 1725), contiene, in realtà, alcune importanti aggiunte, che danno conto soprattutto delle letture che in quegli anni il G. andava facendo e di nuovi legami maturati anche al di fuori dell'ambiente napoletano: in particolare Mabillon e Muratori, Jean Le Clerc e Noël Alexandre. Gli interventi più significativi sono nella prima risposta, con una più convinta difesa del giansenismo, che è al tempo stesso presa di posizione per un cristianesimo nutrito delle Sacre Scritture. Ciò significava anche, nel momento in cui veniva tolta alla ragione la giurisdizione sulla fede, liberare il campo della filosofia dalle intrusioni teologiche e difendere quella libertas philosophandi che era stata e continuava a essere la bandiera dei novatores. Le risposte alla quarta e alla quinta lettera, rimaste manoscritte e ora conservate presso la Biblioteca nazionale di Napoli, furono redatte in un lasso di tempo che presumibilmente va dagli anni immediatamente successivi alla pubblicazione della terza risposta a dopo il 1724. Nella quarta risposta il G. attinge a pensatori come Pierre Bayle e Richard Simon, a libertini come François de La Mothe Le Vayer e Gabriel Naudé, alla cultura investigante, sempre a Descartes, ma anche a Nicolas Malebranche. E, tuttavia, è soprattutto il Muratori, con le sue Riflessioni sopra il buon gusto, a rappresentare in questa fase, in cui la polemica con l'Aletino è ormai piuttosto un pretesto, un punto di riferimento. La scolastica è attaccata sia nel suo interprete più ortodosso, Tommaso d'Aquino, la cui valorizzazione di Aristotele non può servire ai sostenitori del filosofo greco perché filologicamente non sorretta dalla conoscenza del greco, sia nel suo ispiratore principe e cioè Aristotele stesso, di cui il G. passa in rassegna gli errori nelle varie scienze. A essi, tuttavia, il G. non contrappone un nuovo corpus dottrinale, bensì, con un atteggiamento caro ai moderni, il metodo, aprendosi a una vera e propria apologia della ricerca.
Non mancano altresì affermazioni che nella sostanza suonano anticartesiane, soprattutto nella direzione di un certo vitalismo della tradizione naturalistica meridionale. Nella quinta risposta, Per la scelta d'Aristotele in maestro contro a' libertini ed atomisti, il G. affronta il tema dell'ateo virtuoso e, per spezzare la relazione tra atomismo e ateismo, cavallo di battaglia dell'Aletino, ribalta l'accusa di ateismo su Aristotele, che per di più è giunto in Occidente attraverso la mediazione irreligiosa di Averroè ed è all'origine sia degli errori di P. Pomponazzi sia, ancor più, di B. Spinoza. La fortuna della filosofia aristotelica, d'altro canto, era nata, secondo il G., dalla crisi della cultura nel Medio Evo e ora era in declino proprio per l'avanzamento della verità, grazie, soprattutto, alle scienze sperimentali.
L'opera, che si conclude con un'apologia della ragione e dell'esperienza, contiene anche i germi di quel riformismo cattolico che troverà in Muratori più compiuta maturazione: diminuzione delle feste religiose, superamento della condanna sull'usura, rifiuto del magico e del diabolico. Rinnovamento che passa - ciò è una costante nelle opere del G. - attraverso la comprensione critica della storia ecclesiastica, meglio, attraverso la storia ecclesiastica quale strumento critico della disciplina se non della dottrina.
Tra il 1729 e il 1733, cioè dall'uscita di scena del viceré d'Althan all'avvento degli Austriaci, il G. trascorse uno dei periodi più tranquilli della sua vita e al tempo stesso più intensi per la sua attività politica: insieme con Biagio Garofalo compilò la lista delle "proposizioni ingiuriose alla potestà de' principi" nelle Riflessioni morali e teologiche, scritte dal gesuita G. Sanfelice contro P. Giannone, prese parte al progetto di riforma dell'Università di Napoli, appoggiò la candidatura di Biagio Garofalo a teologo del Collaterale e di Celestino Galiani alla cappellania maggiore del Regno. Il ritorno a Napoli degli Spagnoli con l'avvento di Carlo di Borbone segnò una nuova svolta negativa nella vita del G., nei cui confronti venne aperta un'inchiesta, ancora una volta in base alle accuse della corte di Roma e dei gesuiti, in seguito alla quale, nel 1735, perse la carica di consigliere, non senza, tuttavia, che il re riconoscesse il suo valore: gli venne, infatti, concesso "l'onor della toga e l'intiero soldo".
È in questo momento che il G. pose mano all'Istoria de' libri di Costantino Grimaldi scritta da lui medesimo, con l'intento di difendere il suo operato; fonte preziosa che permette di seguire la genesi delle sue opere e delle polemiche in cui fu impegnato. Per ottenere il passaggio delle sue opere censurate dalla prima alla seconda categoria dell'Indice dovette adoperarsi con tutte le forze, ricorrendo agli amici, facendo appello a tutta la Curia romana e giungendo, infine, a una ritrattazione (1736) che, a sua insaputa e con suo disappunto, venne pubblicata l'anno successivo nelle Novelle letterarie di Venezia.
Negli anni successivi visse appartato, continuando a intrattenere rapporti epistolari con vari rappresentanti della repubblica letteraria, in particolare G.M. Mazzuchelli. A questo invierà l'Elogium che gli aveva dedicato il padre Casto Innocente Ansaldi, insieme con le Discussioni storiche e una versione abbreviata dell'Istoria de' libri, scritta nel 1735, cui aggiunse le notizie relative agli anni successivi al 1734 e cenni sulla sua giovinezza, materiali questi che Mazzuchelli utilizzerà per le Notizie storiche e critiche intorno alla vita e agli scritti di C. G., pubblicate l'anno dopo della morte del G. nella Raccolta d'opuscoli scientifici e filologici di A. Calogerà.
Il 17 febbr. 1744 il G. fu arrestato, con l'accusa di intrattenere corrispondenza con gli Austriaci, insieme con il figlio Gregorio, che fu poi relegato nell'isola di Pantelleria. Il G. restò in carcere quaranta giorni (Vat. lat., 9281, cc. 130-140). Dello stesso anno è una Lettera apologetica indirizzata al padre Sebastiano Paoli sull'involuzione della liturgia nel Medioevo (tema ripreso il 23 maggio dello stesso anno e il 30 nov. 1745 in due lettere a Mazzuchelli). Polemiche attardate, come quella durante la crisi napoletana del Sant'Uffizio nel 1746-47 allorché il G. compose il trattato Sciagura maggiore…, rimasto manoscritto, in cui riproponeva la lotta anticuriale a favore del sovrano e contro l'intrusione del potere di Roma. L'ultimo scritto del G., pubblicato postumo (Roma 1751; rist. anast. Milano 1974) a cura del figlio Ginesio, è una Dissertazione in cui si investiga quali sieno le operazioni che dependono dalla magia diabolica e quali quelle che derivano dalle magie artificiale e naturale.
Il G. morì a Napoli il 16 ott. 1750.
Dei tredici figli avuti dal matrimonio (1692) con Giovanna de' Marzi, morta durante la sua prigionia, gli sopravvissero Gregorio e Ginesio, Bernardo, chierico e abate di S. Maria della Misericordia a Itri, Aniceto e Teodosio, monaci olivetani, e tre femmine.
Il G. intrattenne un'ampia corrispondenza: in particolare le sue lettere al Magliabechi sono conservate nella Biblioteca nazionale di Firenze, quelle al Muratori nell'Archivio Muratoriano di Modena, quelle al Bottari, infine, presso la Biblioteca Corsiniana di Roma.
Fonti e Bibl.: Biblioteca apost. Vaticana, Vat. lat., 9281, cc. 130-140: Viri clarissimi Costantini Grimaldi senatoris Neapolitani elogium authore P. C.I. A. O.P. [C.I. Ansaldi]; G. Grimaldi, Lettera di Claristo Licenteo [Licunteo] scritta al signor Rodolfo Grandini, in cui si essaminan due luoghi del signor Francesco Maradei in persona del regio consiglier d. C. G., s.l. 1716; Lettere dal Regno ad Antonio Magliabechi, a cura di A. Quondam - M. Rak, Napoli 1978; G.G. Scarfò, Opuscoli, III, Napoli 1727, pp. 56 s.; G.M. Mazzuchelli, Notizie storiche e critiche intorno a C. G., in A. Calogerà, Raccolta d'opuscoli scientifici e filologici, XLV, Venezia 1751; Index librorum prohibitorum, Roma 1758, p. 17; M. Delfico, Elogio di C. G., Napoli 1784; L. Giustiniani, Memorie istoriche degli scrittori legali del Regno di Napoli, III, Napoli 1787, s.v.; M. Schipa, Il Muratori e la coltura napoletana, in Arch. stor. per la provincie napoletane, XXVI (1901), pp. 553-649; P. Sposato, Le "Lettere provinciali" di Biagio Pascal e la loro diffusione a Napoli durante la "rivoluzione intellettuale" della seconda metà del secolo XVII, Tivoli 1960, pp. 27-47, 72-100; N. Badaloni, Introduzione a G.B. Vico, Milano 1961, passim; E. Boscherini Giancotti, Nota sulla diffusione della filosofia di Spinoza in Italia, in Giorn. critico della filosofia italiana, XLII (1963), pp. 339-362; R. Ajello, Il preilluminismo giuridico, Napoli 1965, pp. 146 s.; V.I. Comparato, Ragione e fede nelle discussioni istoriche, teologiche e filosofiche di C. G., in Id., Saggi e ricerche sul Settecento, Napoli 1968, pp. 48-93; B. De Giovanni, "De nostri temporis studiorum ratione" nella cultura napoletana del primo Settecento, in A. Corsano et al., Omaggio a Vico, Napoli 1968, pp. 141-191; B. De Giovanni, Il ceto intellettuale a Napoli fra la metà del '600 e la restaurazione del Regno, Napoli 1968, pp. 35, 37 s., 43, 83 s.; F. Venturi, Settecento riformatore. Da Muratori a Beccaria, Torino 1969, pp. 31-33, 83, 87, 322, 375, 388, 532; V.I. Comparato, Giuseppe Valletta e le sue opere. Un intellettuale napoletano alla fine del Seicento, Napoli 1970, ad ind.; G. Ricuperati, L'esperienza civile e religiosa di Pietro Giannone, Milano-Napoli 1970, pp. 266-271; A. Lauro, Il giurisdizionalismo pregiannoniano nel Regno di Napoli. Problema e bibliografia, Roma 1974, ad ind.; L. Osbat, L'Inquisizione a Napoli: il processo agli ateisti 1688-1697, Roma 1974, pp. 51, 54; G. Ricuperati, C. G., Nota introduttiva, in Dal Muratori al Cesarotti. Politici ed economisti del primo Settecento, V, Milano-Napoli 1978, pp. 741-774; E. Garin, Storia della filosofia italiana, Torino 1978, pp. 874-876, 882, 907; V. Ferrone, Scienza natura religione. Mondo newtoniano e cultura italiana nel primo Settecento, Napoli 1982, pp. 478-481; M. Torrini, La discussione sullo statuto della scienza tra la fine del '600 e l'inizio del '700, in Galileo a Napoli, a cura di F. Lomonaco - M. Torrini, Napoli 1987, pp. 357-383; F. Cacciapuoti, Il processo agli ateisti: dalle discussioni teologiche al giusnaturalismo, in Dalla scienza mirabile alla scienza nuova. Cartesio e Napoli, Napoli 1997, pp. 149-174; G. Belgioioso, La variata immagine di Descartes. Gli itinerari della metafisica tra Parigi e Napoli (1690-1733), Lecce 1999, pp. 29-62; E. Lojacono, Immagini di Descartes a Napoli: da Valletta a C. G., II, in Nouvelles de la république des lettres, 2000, n. 2, pp. 45-65.