COSTANTINI, Giovanni Battista (Jean Baptiste), detto Cinzio e poi Ottavio (Octave)
Nacque a Verona da Domenica e Costantino, dopo il 1654, presumibile data di nascita del fratello maggiore Angelo. Fu con i genitori e la moglie, Teresa Corona Sabolini, nella compagnia del duca di Modena, primo "amoroso" con il nome di Cintio, certamente durante il corso di recite al teatro degli Obizzi di Padova nel 1686 come risulta dall'elenco delle maschere. Comunque doveva far parte di questa troupe già nel 1681, dato che al punto sesto della "copia dei capitoli da osservarsi dalla Compagnia de' Comici di S.A.S.", inviata nell'aprile di quell'anno al conte Antonio Alberto Conti a Padova da parte del duca, si menziona espressamente Cintio come figlio di Gradellino, avente diritto a due terzi di parte.
Da una lettera di Orazio, l'"amoroso" Bernardo Narici, sappiamo che il C. era della compagnia nel 1684 e che si trovava a Verona accanto alla madre gravemente inferma, in attesa dell'arrivo in quella città della moglie, senza la quale "si protesta non voler uscir fuori".
Lo ritroviamo poi a Parigi nella Troupe Italienne: con essa esordi il 2 nov. 1688 nella Follia d'Ottavio (Folie d'Octave), ancora in un ruolo di "amoroso" che ben si adattava alla sua figura benfatta e abile nella danza. Buon musicista come il padre Costantino, il C. era in grado di eseguire arie "sur la flûte, sur le théorbe, le psaltérion, le cymbale, la guitare, le hautbois et l'orgue". Ormai ribattezzato Octave, nel 1689 sostituì il "secondo amoroso" della troupe, Bartolomeo Ranieri, detto Aurelio, esiliato, pare, per certi incauti giudizi sulla situazione politica, e mantenne questo ruolo fino al 1694. In quell'anno il C. sostituì come "primo amoroso" Marc'Antonio Romagnesi, detto Cintio, che passò al ruolo di "dottore". Non pare che la questione si risolvesse in termini cordiali, se il 19 ottobre il C. querela il Romagnesi per essere stato da lui minacciato.
Ma le testimonianze sul carattere violento e collerico del C. sono numerose: il 13 luglio 1682 il podestà di Modena Giulio Rossi e il giudice Ottavio Cortesini riferiscono al duca di una contesa di "Cintio comico" con gli sbirri. Risale invece al 17 ag. 1692 il violento alterco con Evaristo Gherardi, testimoniato da alcuni componenti la troupe, Fracanzani, Romagnesi, Lolli, Geratoni e Tortoriti, e ad una data imprecisata una rissa a bastonate e colpi di spada con Tiberio Fiorilli, il celebre Scaramouche, conclusasi con ferite gravi.
Dopo la chiusura della Comédie Italienne (1697), il C. fu di nuovo a Verona e non tornò a Parigi che nel 1708 a svolgere le funzioni di "inspecteur des barrières", esattore dei diritti di entrata alle porte della città: pare che tale incarico gli fosse affidato come indennizzo dei danni subiti in seguito all'attività da lui svolta in favore dei Francesi durante la guerra di successione di Spagna. Nel 1712 (secondo l'Attinger nel 1711) divenne impresario di spettacoli al Théâtre delle Foires Saint-Laurent e Saint-Germain, con una propria compagnia e poi (1713) con due, probabilmente grazie ai guadagni ottenuti con il suo lavoro di "inspecteur". Per allestire i suoi spettacoli, il C. scelse i migliori soggetti della troupe d'Alard e Lalouze, attiva nel 1711, e ve ne aggiunse altri: debuttò nella nuova veste di impresario con una pièce che era stata rappresentata nel 1684 dagli Anciens Comédiens Italiens, Arlequin empereur dans la lune, ridotta in couplets con l'aggiunta di molte nuove scene, da Remi e Chaillot, e fu subito un grande successo.
Infatti, il C. mise a frutto la sua lunga esperienza di uomo di teatro e la sua attività foraine fu caratterizzata da un tentativo di svecchiamento dei vecchi moduli (per cui dal 1715 non rappresentò più pièces à écriteaux, dove con procedimento tipico del Théâtre de la Foire alcune parti non venivano recitate ma scritte su appositi cartelli, gli écriteaux appunto, e illustrate dal gioco mimico degli attori) e dall'introduzione di elementi nuovi. Il C. escogitò delle decorazioni che, poggiando su dei pivots, secondo un meccanismo che ricorda i periaktoi, con un semplice movimento manuale permettevano mutamenti di scena "qui jettoient parmi les Spectateurs une espèce de surprise, par la promptitude de leurs changemens"; curò particolarmente i costumi e la preparazione degli attori e dello spettacolo e l'addestramento dei manovratori delle macchine. Sempre per la Foire del 1712, il C. introdusse l'uso di far scendere gli écriteaux dal soffitto, sorretti da due giovani vestiti da "Amori": ogni couplet era stampato su una tela che un bastone teneva sempre tesa, in modo che gli spettatori leggessero più agevolmente e gli attori potessero liberamente eseguire i loro jeux de théâtre per esprimere il senso del couplet. Nella troupe del C. fu presente, per tutta la durata della sua attività, fino al 1716 dunque, Jean-Antoine Romagnesi, con la cui famiglia il C. si era imparentato tramite la figlia, il quale recitò nel ruolo di "amante".
Il C. preparò, per la Foire Saint-Laurent del 1712, spettacoli ancora più accurati, ma pare che non potesse farli rappresentare poiché, accusato di essersi espresso in modo poco riguardoso verso la corte e il ministro, fu colpito da una lettre de cachet e dall'ordine di sospendere "son jeu". Il C. trovò appoggio presso il duca di Orléans e rifugio al Palais-Royal: grazie alle intercessioni presso il ministro, in breve tempo il C., costituitosi nel frattempo, fu sollevato dall'accusa e si vide revocare la lettre de cachet e l'ordine di chiusura del suo teatro, anche se ormai il suo lavoro per quella Foire era stato irrimediabilmente compromesso.
Del resto, il C. riguadagnò brillantemente il tempo perduto: prese in affitto dall'abate di Saint-Germain des Prés tutto il Préau della Foire per 40.000 lire, obbligando tutti coloro che vi avevano costruito logge o a cedergliele in affitto o ad abbatterle, e gli stessi Saint-Edme e la veuve Baron, impresari di primo piano, furono costretti a trattare a prezzi esosissimi un posto al Préau. Il C. assunse inoltre Dolet e La Place come gagistes, sorta di aiuto impresari alle sue dipendenze, e a loro nome organizzò uno spettacolo con la pièce diLe Tellier Le Festin de Pierre in tre atti e divertissements. Questa rappresentazione ebbe sempre molto successo, anche nelle successive "riprese", ma causò anche delle difficoltà al suo impresario: infatti, "on fit quelque chicane à Octave, au sujet d'un divertissement, dans lequel on répresentoit l'Enfer", sebbene l'ordine di espungerlo dallo spettacolo fosse ben presto revocato.
Nel secondo teatro che il C. si era riservato nella Foire, si rappresentò Arlequin au Sabat, tre atti composti dal Romagnesi, con musiche di La Croix e balletti di Froment. Il terzo teatro forain era quello occupato dai Saint-Edme con il nome di Dominique, e il quarto era quello della veuve Baron detto di Baxter e de Saurin.
Nella Foire Saint-Laurent del 1713 il C. riuscì a mantenere la privilegiata posizione che si era conquistata e i suoi due teatri gli fruttarono più di 20.000 lire, con la "ripresa" di Arlequin Grand Visir che invece nella versione dei Saint-Edme aveva avuto poco successo. Nella Foire Saint-Germain dell'anno dopo, 1714, nel teatro del C. si rappresentò Arlequin favori de la Fortune, tre atti di Duvivier de Saint-Bon, e in quello a nome Dolet-la Place si riprese il Festin e poi andò in scena Les Pèlerins de Cythère ou Les aventures d'Arlequin à Cythère.
Con la Foire Saint-Laurent di quell'anno, il 1714, inizia la parabola discendente dell'attività del C., che si limitò a delle "riprese" probabilmente malcurate e affrettate "qui n'attiroient plus le public", tanto che Dolet preferì passare alla troupe dei Saint-Edme. Mentre i suoi rivali ottennero per la Foire Saint-Germain del 1715 concessioni più ampie dall'Académie Royale de musique e si riunirono sotto il nome di Opéra Comique, il C. continuò sulla vecchia strada rinnovando solo in parte il suo repertorio con l'Arlequin sultane favorite di Le Tellier, in tre atti e vaudevilles. Iltrionfo dell'Opéra Comique fu sancito dalla Foire Saint-Laurent dello stesso anno: e benché cogliesse nuovi successi nella Foire Saint-Germain del 1716 grazie ad alcune pièces di d'Orneval (Arlequin gentilhomme malgré lui e soprattutto Arlequin traitant), il C. decise di abbandonare la sua impresa.
Nonostante la vecchia ruggine tra Luigi Riccoboni e la famiglia Costantini, per cui i membri della compagnia di Lélio si erano accordati per non accogliere fra di loro nessun componente di quella dinastia, anche forse per tema della fortuna di cui godeva allora il C., a questo fu affidato, grazie alle sue potenti protezioni, l'incarico di restaurare il teatro dell'Hôtel de Bourgogne, che doveva ospitare la Nouvelle Troupe Italienne, ma egli assolse talmente male questo incarico che ne fu esonerato.
Secondo i Parfaict, il C. sarebbe morto subito dopo, nel 1717: più certa pare, per il suo decesso, avvenuto a La Rochelle, la data del 16 maggio 1720 (per il Riccoboni 1721). Sposato con Teresa Corona Sabolini, il C. ebbe una figlia, Anna Elisabetta.
La moglie Teresa Corona Sabolini, detta Diana, fu "seconda donna", "a vicenda" con Eulalia, nella compagnia del duca di Modena già nel 1681, al teatro degli Obizzi di Padova. Il suo repertorio comprendeva: Equivoci, Improprio carnefice, Regina d'Inghilterra, Don Gaston, Pazzia del dotor, Nerone, Donna Anna, Cit de l'Espagne, Lucretia, Bugia verità;le "comedie bone" Cameriera, Ladro, sbiro e giudici, Medico volante, L'alvarado, Ohimè il core, identificati dal Molinari con drammi di Niccolò Biancolelli, Giacinto Andrea Cicognini e Francesco Stromboli.
Nel 1683 è ancora segnalata nella compagnia del duca di Modena insieme al suocero Costantino; nel 1684 sappiamo che era attesa a Verona, dove il marito si trovava presso la madre inferma, ma che non era certo "quando mai sia per venire".
Non si sa se seguisse la famiglia Costantini nella tournée del 1686 a Vicenza, Padova e Venezia: certamente era a Venezia nel 1688 nella compagnia dell'abate Vincenzo Grimani. È invece probabile che non seguisse il marito in Francia, dove il Campardon sostiene che non mise mai piede: i dissapori tra i due coniugi dovevano già datare da qualche anno, se nel 1686 il C. protestò per una somma prestata alla moglie ma poi richiesta a lui. Infatti, in data 26 apr. 1677 risulta una ricevuta di costei a don Alfonso d'Este per quindici doppie d'Italia.
È probabile che fosse Teresa Corona Sabolini, e non Cecilia Rutti detta la Romana, la Diana che Bartoli decanta come brava commediante tanto da incantare gli spettatori, vivacissima "nelle cose all'improvviso", eccellente musicista dalla dolce voce. Pare che fosse bellissima e di disinvolti costumi: recitava "scene di grande impegno" con Silvio Ferrari, famoso "primo innamorato" "dal di lei nome... cognominato della Diana", che le fu accanto, "più amante che compagno". Ambedue sono presenti nel 1710 al teatro S. Bartolomeo di Napoli, dove recitavano negli intermezzi comici delle opere in musica, e nel carnevale 1714 al teatro Rangoni di Modena. Morì a Palermo verso il 1730.
In realtà, Teresa dovette essere donna capace ed abile, oltre che una brava attrice e una bella donna: a cavallo tra i due secoli, formò e diresse con successo una compagnia che toccò le principali città italiane e per lei "personaggi di rango e teste coronate profusero... l'immensità de' loro tesori". Il Bartoli cita un sonetto caudato composto "Per la signora Diana bella, ed eccellentissima Comica giunta in Reggio", i cui versi iniziali sono: "Zonta, che me xè stà la niova cara / Che in Rezo si è arivà, bella Diana, / Xè corsa a sbatochiar la gran Campana / De Pindo la mia musa Campanara".
Anna Elisabetta (Anne-Elisabeth), figlia del C., nacque nel 1679 e fu educata con la cugina, figlia di Angelo, nel monastero di Chaumont-en-Vexin. Il 6 genn. 1708 sposò Carlo Virgilio Romagnesi di Belmont, "amoroso" con il nome di Leandro, e con lui recitò in provincia fino al 1725, in ossequio all'ordinanza per cui i comici della disciolta Troupe Italienne non potevano esercitare il loro mestiere a meno di trenta leghe da Parigi. Il suo debutto alla Comédie Italienne avvenne il 23 maggio 1729 come Madame Belmont nella Femme jalouse rielaborata da Joly da uno scenario del Riccoboni, e poi nella Veuve coquette di Desportes. Il 14 luglio dello stesso anno vestì i panni di Mezétin, il personaggio dello zio Angelo, nei Débuts e vi cantò la famosa "Canzone dell'usignolo": sarebbe lei, non lo zio, ad essere ritratta nei panni di Mezzettino nell'incisione di Joulain Soulp riprodotta nell'Histoire del Riccoboni.
A un quarto di parte nel 1730, fu ammessa a parte intera nel 1737; nel 1746 abbandonò le scene, ma già dal 13 maggio 1742 aveva diradato la sua attività. Vedova dal 1731, Anna Elisabetta aveva perso in quell'anno, 1742, il nipote Giovanni Antonio Romagnesi, a cui era molto legata, e che l'aveva introdotta al Nouveau Théâtre Italien per le parti di "madre": nominò allora suo erede universale Carlo Bertinazzi, il famoso Carlin. Naturalizzata francese dal 1745, Anna Elisabetta morì a Parigi il 21 ott. 1754.
Fonti e Bibl.: E. Gherardi, Le Théâtre Italien ou le recueil général de toutes les comédies et scènes françaises jouées par les Comédiens Italiens du Roi, 1-v, Amsterdarn 1701, ad vocem; L.Riccoboni, Histoire du Théâtre Italien, Paris 1728, ad vocem;F. e C. Parfaict, Mémoires pour servir à l'histoire des spectacles de la Foire, par un acteur forain, I, Paris 1743, pp. 127, 132-137, 150-157, 165-168; F. S. Bartoli, Notizie istor. de' comici italiani…, I, Padova 1782, ad vocem; E. Campardon, Les Comédiens du Roi de la Troupe Italienne pendant les deux dernières siècles, Paris 1880, ad vocem;B. Croce, I teatri di Napoli, Napoli 1891, pp. 135 ss.; L. Rasi, I comici italiani, I, Firenze 1897, ad vocem;B. Brunelli, I teatri di Padova, Padova 1921, pp. 108 ss.; Th.-S. Gueullette, Notes et souvenirs sur le Théâtre Italien…, a cura di J.-E. Gueullette, Paris 1938, passim;G. Attinger, L'esprit de la comm. dell'arte dans le théâtre français, Paris 1950, pp. 290, 304, 306; X. de Courville, Lélio premier historien de la Comédie Ital. et premier animateur du théâtre de Marivaux, Paris 1958, pp. 36, 45; F. e C. Parfaict, Dict. des théátres de Paris, I, Genève 1967, ad vocem;M. Spaziani, Don Giovanni dagli scenari dell'arte alla "foire", Roma 1978, pp. 73 ss.; Enc. d. Spett., III, coll.1563-1569.