DEL MONTE, Cornelio (detto anche Cornelio da Nizza o il Nizza)
Nacque a Nizza nella seconda metà del Cinquecento da una nobile famiglia presente nella storia della città fin dal 1300. Diverse fonti affermano che già prima di entrare nell'Ordine dei predicatori aveva conseguito la laurea in legge e che per le sue notevoli doti di oratore e di poeta era stato nominato professore in teologia appena entrato a far parte della famiglia domenicana.
Il D. fu un personaggio ampiamente discusso. Il Rua lo definisce "uno dei molti frati che nascondevano entro la cocolla gravi segreti di stato e li portavano di corte in corte, industri tessitori di trattati e di intrighi". Tommaso Campanella, una delle vittime più illustri di questi suoi intrighi, nella "memoria scritta per la liberazione da castelli di Napoli" del 1620, scrisse che il D. aveva fatto professione solo nel 1618 in S. Brigida e che era stato portato in convento a forza in punto di morte dal padre provinc lale Serafino di Nocera perché non spirasse fuori dal tetto domenicano. Il Campanella sosteneva addirittura che il D. fosse un millantatore che dopo quaranta anni di "habito creduto professo della provincia di Lombardia dei cui conventi non si trovando alcun esser suo originale" morì senza voler prendere i sacramenti e senza confessione. Ma al di là delle affermazioni del Campanella, direttamente interessato a screditare l'immagine del frate, dati certi sulla gioventù e sull'inizio della carriera ecclesiastica del D. non sono reperibili neanche presso il ricco archivio dei domenicani e le notizie sulla sua attività, proprio a causa della natura segreta dei suoi maneggi, sono spesso frammentarie e con scarsi supporti documentari.
La prima notizia certa sull'attività del D. è relativa ai primi mesi del 1599, quando fu inviato a Napoli dal maestro generale dei domenicani, padre Ippolito Maria Beccaria, in qualità di commissario per il convento di S. Caterina a Formello, insieme al padre Girolamo Mosozo. Queste commissioni erano state istituite nell'ambito della riforma domenicana, dopo il concilio di Trento, e il D. fu chiamato a farne parte in diverse occasioni. Nell'estate dello stesso anno 1599 egli passò da Napoli in Calabria quale compagno del visitatore della provincia, padre Marco Marcianise, un severo domenicano votato alla causa della piena osservanza della regola religiosa.
Il Marcianise, che viene descritto come l'incarnazione vivente della Riforma, era stato mandato in diversi conventi per ristabilirvi la perfetta osservanza della rigida regola domenicana. In quell'epoca però, in cui la rilassatezza dei costumi tra i religiosi era diventata una radicata abitudine, gli interventi dei commissari non erano certo ben accolti e lo stesso Marcianise a Napoli'. in una sua missione precedente, aveva rischiato di essere ucciso da un frate ribelle. Partendo per la Calabria fu avvertito che sarebbe andato incontro a gravi pericoli. In effetti nella provincia calabrese già era stato ucciso da un converso il padre provinciale Pietro Ponzio a causa della sua severità.
L'arrivo del Marcianise e dei D. coincise con la scoperta della congiura insurrezionale, capeggiata da alcuni domenicani, in cui venne coinvolto Tommaso Campanella. Il Marcianise, responsabile diretto di fronte al generale dell'Ordine, forse intimorito dai precedenti eventi o forse ingannato dal D., come più tardi avrebbe sostenuto Campanella, lasciò ampia facoltà di intervento al suo accompagnatore. Il D. assunse quindi un ruolo di primaria importanza nella preparazione del processo che fu celebrato contro Campanella e gli altri congiurati, non solo come inquisitore per l'accusa di eresia, ma anche come informatore delle autorità spagnole per la sospetta congiura di ribellione.
Una delle sue prime mosse, infatti, fu quella di informare sui fatti calabresi non solo il padre generale Beccaria e il cardinal di Santa Severina G. A. Santorio, sommo inquisitore in Roma dell'eresia di Campanella, ma anche di riferire dettagliatamente alle autorità regie - precedentemente informate da due congiurati - dei progetto di congiura contro la Spagna. Il D. giunse addirittura a collaborare attivamente con i magistrati regi nella fase istruttoria del processo.
Le informazioni fornite dal D. alle autorità regie rappresentarono materia ampiamente utilizzata dagli Spagnoli per il processo di ribellione. Queste informazioni'non furono però tollerate a Roma e, quando il D. giunse a Napoli insieme con centocinquanta prigionieri accusati di congiura, l'8 nov. 1599, fu immediatamente richiamato a Roma. Partì il 12 novembre e fu a lungo interrogato al S. Uffizio, ma le sue deposizioni furono sufficientemente abili da permettergli di uscirne assolto. Rientrò immediatamente a Napoli dove si trattenne per tutto l'anno 1600 fornendo ulteriori testimonianze al processo in corso. Accumulò in questo modo crediti verso il governo spagnolo.
I frutti di questo comportamento non dovevano tardare a venire. Nel marzo 1601, infatti, il D. partiva all'improvviso per la Spagna senza darne neanche avviso ai suoi superiori. La ragione del suo viaggio era duplice: da un lato è probabile che volesse riferire personalmente a corte sull'andamento del processo, dall'altro mirava ad assicurarsi la pensione che gli era stata promessa in cambio dei suoi servigi. Grazie anche alle lettere commendatizie di Carlo Spinelli, uno dei processanti che, insieme all'auditore fiscale Luis de Xarava, aveva condotto il processo in Calabria in rappresentanza del viceré Fernando Ruiz de Castro conte di Lemos, il D. raggiunse il suo scopo: Filippo III gli concesse una pensione di 400 ducati annui per i grandi servigi resi alla Corona.
Tornato in Italia, nel giorno di Pentecoste del 1605, il D. fu abilitato al baccellierato. Questo requisito, secondo la regola dell'Ordine, dava diritto dopo un certo numero di anni di insegnamento e superato un esame, al titolo di Maestro. Il D. continuò comunque a intrigare in affari non troppo consoni alla sua missione religiosa: in una lettera del 1609 di monsignor Marcello Filonardi, procuratore fiscale e poi assessore al S. Uffizio, si accenna ad un affare, non specificato ma evidentemente condotto dal frate, sulla cui persona papa Paolo V aveva chiesto informazioni. Il Filonardi affermava: "Non par che ci sia cosa relevante per impedirlo, se non che sia un frate, che attenda pur alli fatti d'altri, che non conviene a un religioso, et che s'ingerisca in negotii secolari".
Nel 1613 lo si ritrova a Napoli in ottimi rapporti con il nuovo viceré, Pietro Ruiz de Castro conte di Lemos. succeduto nel luglio del 1610 a G. A. Pimentel Herrera conte di Benavente. Per procacciarsi il favore di casa Savoia, il D. elaborò un progetto di matrimonio tra Maria di Savoia, terza figlia del duca Carlo Emanuele, e Filippo III di Spagna.
Il D. si impegnò a fondo nella faccenda e nel giugno 1613 con lettere commendatizie del cardinale Aldobrandini ebbe un incontro con l'agente a Napoli di Carlo Emanuele, Melchiorre Reviglione. Attraverso quest'ultimo riuscì a far fare la proposta al conte di Lemos, mostrandosi anche disposto ad andar egli stesso in Spagna per caldeggiare il progetto. La guerra del Monferrato, scoppiata dopo la morte di Francesco IV Gonzaga duca di Mantova, impegnò il duca di Savoia in altri affari e tutta la questione fu lasciata cadere. Ma il D. desideroso di mantenere i contatti con la Spagna e i Savoia riprese l'iniziativa nel novembre del 1616. La nuova proposta avanzata dal D. fu quella di recarsi egli stesso a Madrid da Filippo III per informarlo direttamente sui gravi danni che la politica del suo primo ministro duca di Lerma e dei suoi fedeli in Italia poteva arrecare all'immagine della Spagna. Il D. avrebbe dovuto consigliare il re Cattolico a trovare accordi pacifici con il Ducato di Savoia e Venezia. C'era anche un motivo personale che lo spingeva ad insistere per recarsi in Spagna: il suo influente protettore a Napoli, il viceré di Lemos, era stato richiamato in patria, e la sua pensione era messa in serio pericolo dall'atteggiamento poco amichevole del nuovo viceré, Pietro Tellez de Giron y Guzinan duca diOssuna.
Carlo Emanuele comunque approvò la missione ed elargì 300 ducati per il viaggio. Nel marzo 1617 il D. era a Roma dove prese contatti con l'ambasciatore dei Savoia, l'abate Scaglia, e dove riuscì ad entrare nelle grazie del cardinal G. Borgia, uno dei più influenti sostenitori della Spagna. Per raggiungere il suo scopo scrisse una lettera al papa che, approvata dal Borgia, venne spedita anche a Carlo Emanuele per ottenerne l'approvazione.
Il D. vi riassumeva i motivi drella contesa, sottolineava la necessità che Carlo Emanuele conservasse le piazze del Monferrato conquistate con le armi e suggeriva che, se la Spagna avesse assunto un atteggiamento pacifico nei confronti del duca, si sarebbe compromessa l'intesa tra la Francia e la Savoia. Nello stesso anno da Civitavecchia, mentre era in attesa dell'imbarco, scrisse al cardinal Borgia un discorso "che doveva far evidente la ruina della monarqhia spagnuola, se non si preoccupava Carlo Emanuele con la pace et bona compagnia" [G. Rua]. Poco prima aveva scritto "un giudicio fatto in latino sotto il nome d'un accademico di Cornelio Tacito" e sempre nel 1617 compose un o discorso per doppo seguita la pace", incentrato sempre sulla politica spagnola in Italia.
Sembra che al suo ritorno in Italia Carlo Emanuele gli offrisse l'arcivescovato di Aosta che però il D., orinai vecchio e malato, avrebbe rifiutato. Secondo lo scritto del Campanella nel 1618, tornato a Napoli, egli fece professione in S. Brigida.
Morì a Napoli il 25 febbr. 1620.
Oltre agli scritti citati le fonti ricordano altre opere del D. tutte inedite e di difficile reperimento: Ragioni di stato cavate dalla SacraScrittura; Compassione della Beata Vergine, dedicata alla contessa di Lemos; Divota consideratione sopra le parole dette da Christo nostro redentore su la Cruce, dedicata al cardinale Federico Borromeo.
Fonti e Bibl.: Roma, S. Sabina, Archivum generale Ordinis praedicatorum, s. 4, 46 (1589-1599), f. 31;Arch. segr. Vaticano, Fondo Borghese, s.1, 60, p. 351-364; Monumenta Ordinis praedicatorum historica, XI, Romae 1902, p. 77;T. Valle, Breve compendio dei più illustri padri nella santità della vita, dignità, ufficie lettere che ha prodotto la provincia del Regno di Napoli dell'Ordine dei predicatori, Napoli 1651, pp. 612 s.; J. Quétif-J. Echard, Scriptores ordinis praedicatorum, Lutetiae Parisiorum 1719, II, p. 415;L. Amabile, Fra Tommaso Campanella, la sua congiura, i suoi processi e la sua pazzia, Napoli 1882, I, pp. 196 s., 257-271; II, pp. 116 s.; III, pp. 446-457; J.-B. Toselli, Biographie niçoise ancienne et moderne, Nice 1886, I, p. 215;L. Amabile, Fra Tommaso Campanella ne' castelli di Napoli, in Roma ed in Parigi, Napoli 1887, I, pp. 212 s.; II, pp. 123-137;G. Rua, Per la libertà d'Italia, Torino 1905, pp. 240 ss.; L. Firpo, Ricerche campanelliane, Firenze 1947, pp. 33-36;M. Miele, La riforma domenicana a Napoli nel periodo post-tridentino (1583-1725), Roma 1963, pp. 146, 181 s.