CONTESTAZIONE
. La parola, che in origine designava la notifica di un addebito, l'impugnazione formale di un fatto e, quindi, per estensione un contrasto di opinioni su base giuridica, ha conservato a lungo anche nel linguaggio corrente il suo significato antico di attestazione, testimonianza, opposizione, ricorso contro qualcosa. A partire dal 1962-63 la parola c. riceve una connotazione politico-culturale precisa e passa a significare "negazione e rifiuto di qualcosa che esiste, impugnare la legittimità di un'istituzione, di un'idea per rovesciarla" insomma "combattere, lottare, opporsi, contraddire qualcosa o qualcuno". Con la c. il contestatore si oppone, protesta, combatte, tenta di distruggere istituzioni ritenute desuete, manifestazioni culturali o sociali reputate aberranti, al fine di rovinare, abbattere e annientare il sistema sociale e politico di cui quelle fanno parte, il modo con cui la vita sociale attuale, l'ordine politico presente, il complesso economico d'oggi sono organizzati e ordinati.
Alla base della c. c'è, dunque, il rifiuto globale del sistema, della società qual essa è e come attualmente funziona, reputati oppressivi, tirannici, ingiusti, violenti. L'essenza del sistema sarebbe la violenza, reale e simbolica, con la quale si coarta la libertà degl'individui, si opprimono le classi lavoratrici, si preclude alla verità di palesarsi, al reale di manifestarsi nella pienezza di tutte le sue forze. Perciò l'esistenza stessa, il modo d'essere stesso del sistema sono naturalmente repressivi e oppressivi, sempre, anche quando pretendono d'essere tolleranti. Il rifiuto assoluto del sistema la sua c. globale diventa allora una necessità. Riducendo la realtà a una condizione d'esistenza inaccettabile, a un ordine al quale risulta impossibile prestare il proprio consenso, il sistema violenterebbe le volontà individuali, costringerebbe gl'individui a subire un ordine esteriore, delle norme estrinseche alle singole capacità di volere e di potere. La rivoluzione, realizzata dalla c., può distruggere il sistema, e così affrancare gli uomini, condurli verso la liberazione. La c. prepara la rivoluzione, e questa diventa speranza d'un futuro migliore. C. e speranza vengono, in ultima analisi, a fondersi in un unico schema d'azione. Gli attori della c., quelli che possono fare la rivoluzione, sono gli esclusi e gli emarginati dalla società opulenta e tecnocratica, sono ad un tempo gli studenti universitari e i negri dei ghetti, gli affamati dell'Africa e dell'Asia e dei paesi sottosviluppati, e più generalmente i giovani, vero e proprio proletariato delle società moderne. Essi soltanto possono impedire al sistema di prevaricare, possono opporsi alla malvagità intrinseca di ogni forma di potere sull'uomo, giacché non sono ancora contaminati o recuperati. I movimenti studenteschi, che hanno effettivamente bloccato per alcuni anni il funzionamento delle università, sembravano avvalorare tale diagnosi. Senonché, verificatosi il reflusso, è allora apparsa chiaramente la fragilità della tesi che faceva dei giovani come tali una "classe" rivoluzionaria. Il problema della c. giovanile è diventato allora il problema della condizione dei giovani, della socializzazione delle nuove generazioni, delle scarse possibilità d'integrazione spirituale e funzionale che le società moderne, relativiste, senza valori e prive di senso, offrono loro.
La c., il rifiuto di ciò che esiste, il rigetto della frustrazione e dell'oppressione, è dunque il prodotto delle difficoltà incontrate dalle nostre società ad acculturare quelli che vivono fondendo l'immaginario e il reale, quelli a cui, in nome del calcolo, dell'esattezza e della razionalità, dell'ordine e dell'organizzazione, si rifiuta spontaneità esplosiva e creatività. Le nostre società sono praticamente incapaci di far fronte ai bisogni immediati rivelati dalla maturazione giovanile, non forniscono ideali e ragioni di vita, grandi finalità generatrici di speranze. I giovani ne sono impauriti e perciò le rifiutano, senza tuttavia poterne immaginare altre, poiché la rivolta e la c. sono vissute - come rovesciamento - in funzione di queste stesse società senza virtù, superorganizzate e prive di senso. Gli scarsi risultati ottenuti dai movimenti contestatari in settori diversi da quello universitario, dipendono essenzialmente dall'inesistenza di progetti specifici. La c. delle regole di condotta, delle costrizioni, del funzionamento di certe istituzioni, l'anti-autoritarismo veniva a infrangersi, alla lunga, contro un fatto: che le società non possono vivere in uno stato di festa perenne e che le attività sociali presuppongono regole, norme e leggi, vale a dire delle costrizioni. Che queste debbano essere il prodotto, il punto d'equilibrio fra i desideri e le preferenze e i rapporti di forza, non elimina il fatto che la vita in comune è fondata sulle regole. La c. non è riuscita a risolvere quest'aporia, senonché ha messo in rilievo una modificazione importante avvenuta nel corpo sociale. Il punto d'equilibrio nel processo d'elaborazione della norma è divenuto oggi più difficilmente realizzabile, perché l'equilibrio fra le forze è considerevolmente cambiato. I progressi dell'ideologia democratica, che condiziona fortemente il modo di produzione socio-economico, hanno consolidato le possibilità di disaccordo, d'opposizione e disobbedienza a tutti i livelli. I poteri dei gruppi di base si sono perciò accresciuti. L'organizzazione è diventata, in conseguenza, più vulnerabile, mentre i suoi membri hanno preso coscienza d'essere meno vulnerabili rispetto ad essa. Un tale sentimento d'accresciuto potere ha spinto nuovi attori a entrare sulla scena, e a prendere parte al confronto. Di fronte alla sproporzione esistente fra l'azione di rifiuto e la sanzione di ritorsione, di fronte alla pratica impossibilità di reagire in modo proporzionale in presenza d'azioni contestatorie, la tolleranza e l'impotenza diventano inevitabili. Ovviamente ciò accresce le possibilità d'azione e d'intervento della c., e ne allarga il raggio d'influenza.
La "crisi della morale" e il conseguente minor ricorso alla razionalità, che lascia più posto all'evasione, alla tolleranza, all'indulgenza nei confronti delle devianze, porta con sé l'impossibilità a ricorrere a troppe costrizioni o sanzioni. E i giovani, come sempre, hanno presentito i cambiamenti, e ne hanno largamente usufruito per accelerare l'avvento delle novità. In questo senso, la c. non ha distrutto né stabilmente modificato il sistema. Ha solamente preannunciato le modificazioni che in profondità stavano operandosi, la nuova distribuzione del potere nelle società industriali, l'accesso delle minoranze nell'area decisionale. Gruppi finora in margine o assenti sono diventati coscienti dei loro poteri, e ne fanno uso. Donde la molteplicità dei conflitti, la diversità degli schieramenti e delle coalizioni, la dispersione dei problemi, la disparità delle ideologie. Al di là di queste cose, del rifiuto di qualsiasi forma d'autorità, della rivendicazione d'un mondo diverso ancora non ben definito, d'una vita personale vissuta pienamente, un fenomeno appare ormai chiaro: l'estensione del pluralismo, l'entrata di nuove forze nel sistema politico democratico.
La c. ha rivelato questa mutazione. Ha messo a soqquadro regole e istituzioni, ha turbato cerimonie e liturgie che sembravano eterne, ha sconvolto buone e cattive abitudini. Il nuovo equilibrio non è stato ancora raggiunto. E il nuovo pluralismo, come succede sempre quando s'introducono in un sistema di poteri quelli che prima ne erano esclusi e non ne conoscevano le regole, continua a ricorrere all'impazienza senza realismo, talvolta al furore senza oggetto, sempre speranzoso nelle virtù della contestazione.
Bibl.: R. Gombin, Le projet révolutionnaire, L'Aia 1968; M. Moreno, Psicodinamica della contestazione, Roma 1969; J. Ziegler, Sociologie et contestation. Essai sur la société mytique, Parigi 1969; R. Gombin, Les origines du gauchisme, ivi 1971; G. Spitaels, Les conflits sociaux en Europe, Bruxelles 1971; G. Statera, Storia di una utopia. Ascesa e declino dei movimenti studenteschi europei, Milano 1973; J. Ziegler, Les vivants et la mort, Parigi 1975; G. Busino, Sociologia e storia. Elementi per un dibattito, Napoli 1975.