CONSUMATORE
Tutela del consumatore. - La genesi della problematica sulla tutela dei c., che ha conosciuto un notevole sviluppo nell'ultimo trentennio in tutti i paesi CEE, è intimamente connessa all'avvento delle società a capitalismo avanzato e all'affermazione di sistemi di concentrazione industriale, finanziaria, commerciale. L'introduzione di modelli di produzione e distribuzione di massa comportò inevitabilmente la crescita dei prodotti presenti sul mercato; tale fenomeno, incrementato dall'apertura dei mercati europei successiva al Trattato di Roma (reso esecutivo con la l. 14 ottobre 1957 n. 1203), provocò un significativo aumento dei rischi di circolazione di merce pericolosa, aggravando le insufficienze dei meccanismi amministrativi di controllo sulla conformità dei prodotti ai parametri normativi. La categoria del cosiddetto ''danno anonimo'' (o da causa ignota), già individuata dalla dottrina degli inizi del 20° secolo, venne con chiarezza delineandosi come frutto naturale del definitivo tramonto della figura del vendeur-fabricant, di colui che costruiva e vendeva personalmente un manufatto, garantendolo a regola d'arte. Il consolidarsi di metodologie produttive in serie − e il progressivo ricorso all'automazione − rese infatti difficoltosa al c. danneggiato l'imputazione del difetto a un comportamento determinato, e pressoché impossibile la dimostrazione di una colpa specifica del produttore. Impossibilità cui conseguiva, in un sistema ancora fondato sul dogma ''nessuna responsabilità senza colpa'' ereditato dalla Rivoluzione francese, un decisivo ostacolo al risarcimento dei danni provocati da prodotti difettosi.
Lo sviluppo dei canali pubblicitari, unico strumento di diversificazione di beni qualitativamente standardizzati, accrebbe il divario tra chi elaborava e chi recepiva l'informazione orientata al consumo. La contrattazione di massa, soprattutto in riferimento a beni e servizi di valore consistente, si realizzò attraverso la predisposizione di modelli contrattuali uniformi da parte delle società produttrici o degli enti pubblici monopolisti, che vennero di fatto imposti a c. e utenti.
Queste riflessioni, cui fece eco − nel settore delle scienze economiche − il superamento del mito liberista del c. re di un mercato in costante equilibrio, hanno costituito il fondamento del cosiddetto consumerism, il cui obiettivo non è quello di sovvertire il sistema capitalistico, ma piuttosto di contemperarne lo sviluppo con i diritti del cittadino. Non è casuale che i movimenti di tutela collettiva abbiano avuto origine nel paese ove per prima si è manifestata la cosiddetta ''società opulenta'': la Consumer Union nacque negli Stati Uniti intorno al 1930 dall'iniziativa di due dipendenti dell'American Bureau of Standard, i quali organizzarono dei test comparativi su prodotti, diffondendone i risultati attraverso mezzi d'informazione. L'attività principale delle associazioni consisteva nell'educazione al consumo e più in generale nell'informazione, diffusa attraverso il ricorso ai mass media e l'organizzazione di convegni aperti al pubblico, nel controllo sui prezzi e sulla qualità dei prodotti, nell'esercizio di pressioni per la formazione di organismi amministrativi finalizzati alla tutela dei consumatori. Intorno agli anni Sessanta le associazioni di tutela si diffusero in Europa, a volte su sollecitazione degli stessi organismi governativi. Tale movimento portò alla creazione di enti pubblici finalizzati alla tutela dei c., specie in Svezia, Olanda, Francia, Inghilterra.
Il dibattito sulla tutela del c. ha preso quota in Italia solo nell'ultimo quindicennio, a seguito del verificarsi di crimini di sofisticazione alimentare di forte presa sulla collettività, anche grazie alla sensibilità con cui una corrente di studiosi del diritto ha seguìto il percorso della tutela dei c. nel settore civile, penale e amministrativo, valorizzando principi sanciti dalla Costituzione che, in via diretta o indiretta, proteggono tali soggetti: così il riconoscimento della tutela della salute "come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività" (art. 32), il divieto di svolgimento dell'iniziativa economica privata "in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana" (art. 41), la previsione di limiti alla proprietà privata "allo scopo di assicurarne la funzione sociale" (art. 42), la "tutela del risparmio in tutte le sue forme" (art. 47). Con qualche ritardo rispetto all'esperienza delle associazioni ambientaliste, la cui ormai indiscussa rappresentatività ha indotto il legislatore al riconoscimento di un ruolo di rilievo delle stesse anche in campo giudiziario (v. artt. 13 e 18 della l. n. 349 del 1986), sono sorti numerosi enti di protezione, talora diffusi sul territorio nazionale. La Consulta dei c. ha il compito di coordinare l'attività delle numerose associazioni aderenti; una di queste (il Comitato difesa c.) fa parte dell'Ufficio europeo delle unioni dei c. (BEUC, Bureau Européen des Unions Consommateurs), la quale rappresenta presso la CEE le varie associazioni di tutela operanti negli stati membri.
Rilievo fondamentale ha assunto dagli anni Settanta l'opera del Consiglio d'Europa e della Comunità economica europea, che ha emanato importanti direttive e regolamenti, specie nel settore dei prodotti alimentari. Con la risoluzione n. 543 del 1973 l'Assemblea consultiva del Consiglio d'Europa ha approvato il testo definitivo della Carta europea di protezione dei c., enucleando una serie di interessi che ogni ordinamento dovrebbe assicurare a tali soggetti, definiti come "ogni persona fisica o morale, alla quale siano venduti beni o forniti servizi per uso privato" (art. A 1). I punti salienti, ribaditi nell'importante risoluzione del 24 aprile 1975, volta ad armonizzare gli interventi a tutela dei c. nei vari stati membri, riguardano: a) la realizzazione di un'efficace tutela contro i rischi per la salute e la sicurezza; b) l'assicurazione di una corretta informazione ed educazione; c) la protezione degli interessi economici, e dunque il diritto al risarcimento dei danni provocati da prodotti difettosi o da messaggi pubblicitari ingannevoli; d) la predisposizione di adeguati strumenti di consulenza e assistenza giudiziaria; e) il diritto alla partecipazione delle associazioni esponenti degli interessi dei c. a organismi amministrativi con funzione consultiva e alla rappresentazione in seno ai consigli di amministrazione delle società che gestiscono servizi pubblici.
Molti di questi principi non sono stati ancora recepiti nell'ordinamento italiano. Nessuna disciplina è stata ancora apprestata al fine di favorire il ricorso alla giustizia per danni di modesta entità; il problema dei costi di causa, sovente esorbitanti lo stesso importo del danno cagionato, è aggravato dalla sostanziale inesistenza di un sistema di gratuito patrocinio dei non abbienti e dalla mancata previsione di un rito atto a garantire una rapida ed efficace risposta giudiziale. Carente appare inoltre, a opinione della dottrina prevalente, la disciplina delle condizioni generali di contratto e delle clausole vessatorie (art. 1341 ss. cod. civ.), idonea ad assicurare una tutela meramente formale al diritto dei c. acquirenti alla conoscenza del contenuto del contratto e alla conduzione di trattative su un piano di parità con l'impresa produttrice o fornitrice (v. contratto, XI, p. 253); ancora inattuata è la direttiva in materia di credito al consumo. Relativamente modesto risulta il ruolo delle associazioni di c. nel processo, anche se una recente legge, varata in prossimità della tragedia del cosiddetto ''vino al metanolo'', ha consentito agli enti rappresentativi di costituirsi parte civile nei procedimenti penali fondati su reati di sofisticazione alimentare (art. 8 bis D.L. 18 giugno 1986).
Il codice di procedura penale recentemente entrato i vigore (d.P.R. 22 settembre 1988, n. 447) prevede inoltre la facoltà, per le associazioni cui siano state riconosciute in forza di legge finalità di tutela degli interessi dei c., d'intervenire in giudizio con i poteri della persona offesa dal reato, sul presupposto del consenso del singolo c. danneggiato (art. 90 ss.). Del tutto marginale è ancora il ruolo delle associazioni nei giudizi civili, nonostante parte della dottrina abbia convincentemente teorizzato la configurabilità di un'azione inibitoria di natura collettiva.
Il legislatore italiano non ha ancora dato attuazione alla direttiva CEE del 10 settembre 1984 in materia di pubblicità ingannevole; direttiva finalizzata, tra l'altro, all'obiettivo di proteggere il diritto dei c. a una scelta libera e consapevole dei prodotti.
Al momento l'unica norma del codice civile che consente di sottoporre al controllo del giudice la correttezza di un messaggio pubblicitario è l'art. 2598, n. 3, che qualifica atto di concorrenza sleale il comportamento di chi diffonda notizie e apprezzamenti sull'attività di un concorrente. Il ricorso a tale strumento è peraltro precluso alle associazioni di c., come di recente ribadito dalla Corte Costituzionale (anche se si registrano significative eccezioni nella giurisprudenza di merito). L'unico controllo effettivo sulla pubblicità commerciale, considerata la scarsa applicazione delle poche norme di natura penale esistenti, è rappresentato dal sistema dell'autodisciplina pubblicitaria, cui volontariamente si assoggettano utenti, agenzie, consulenti di pubblicità e gestori di veicoli pubblicitari in via diretta o mediante la sottoscrizione di un contratto di pubblicità contenente la clausola di accettazione del Codice di autodisciplina. La dottrina prevalente è ormai quasi concorde nel riconoscere al sistema autodisciplinare un ruolo importante nel colmare l'evidente lacuna normativa. Da più parti si rileva peraltro l'esigenza di un intervento legislativo in materia, in considerazione della natura privata del giurì − e dunque della sua strutturale inidoneità a tutelare interessi estranei alla stessa impresa −, della debolezza delle sanzioni che lo stesso può irrogare e del crescente rilievo che il fenomeno pubblicitario va assumendo sotto il profilo economico e sociale.
Molto dettagliata si presenta la normativa penale e amministrativa in materia di prevenzione dei rischi di circolazione di prodotti pericolosi (basti in questa sede menzionare la l. 30 aprile 1962 n. 283, modificata dalla l. 26 febbraio 1963 n. 441 e dalla l. 6 dicembre 1965 n. 1367, e il regolamento di esecuzione emanato attraverso il d.P.R. 26 marzo 1980 n. 327, che costituiscono il testo base in materia di alimenti), anche se l'attuazione dei precetti legislativi è sovente vanificata dall'inefficienza dei sistemi di controllo.
In ordine alle forme di tutela civilistica dei c., oggetto di attente analisi dottrinali in riferimento alla prospettiva precontrattuale, contrattuale e aquiliana (v. responsabilità, XXIX, p. 123; App. II, ii, p. 696), devono menzionarsi le disposizioni contenute nel d.P.R. n. 224 del 24 maggio 1988, con il quale il legislatore italiano ha dato puntuale − e in molti casi letterale − attuazione alla direttiva n. 374/85 in materia di responsabilità del produttore di beni mobili.
La complessa normativa, strutturata in 16 articoli, è fondata sulla regola secondo cui il fabbricante è responsabile dei danni cagionati dai difetti dei prodotti che abbia messo in circolazione. Per ottenere il risarcimento, il c. danneggiato ha l'onere di dimostrare la difettosità del prodotto − misurata sul grado di sicurezza che è legittimo attendersi (art. 5) −, e il nesso eziologico tra il difetto e il pregiudizio patito. Alcuni dei principi codificati nella nuova disciplina costituivano, anche prima dell'approvazione della legge, diritto giurisprudenziale (per es.: la configurazione di una responsabilità dell'assembler concorrente a quella del produttore della singola componente difettosa, ora espressamente prevista nell'art. 3). L'approvazione della disciplina ha indubbiamente l'effetto di favorire un'applicazione uniforme delle regole sulla responsabilità del produttore, così facilitando una predeterminazione del rischio legato all'esercizio dell'attività d'impresa e la sua traslazione attraverso il ricorso allo strumento assicurativo.
Le acquisizioni giurisprudenziali dell'ultimo ventennio, stimolate dall'attento lavoro della dottrina civilistica, conservano la loro attualità, considerato che la nuova disciplina affianca − e non sostituisce − quella ordinaria (artt. 2043-2059 cod. civ.), e che esistono numerosi settori esclusi dall'operatività del d.P.R. n. 244/1988 (dai prodotti agricoli e di caccia non sottoposti a trasformazione, al danno a cose inferiore a lire 750.000, al danno morale, al pregiudizio cagionato dal cosiddetto ''rischio dello sviluppo'').
Bibl.: Per una completa ricognizione bibliografica della tematica dei consumi e della figura giuridica del consumatore si rinvia a: G. Katona, L'uomo consumatore, Milano 1964, Roma 1968; G. Ghidini, La responsabilità del produttore di beni di consumo, i, Profili precontrattuali, Milano 1970; S. Vitale, Consumismo e società contemporanea, Firenze 1975; J. Baudrillard, La società dei consumi, Bologna 1976; U. Carnevali, La responsabilità del produttore, Milano 1979 (rist. agg.); U. Ruffolo, La tutela individuale e collettiva del consumatore, i, Profili di tutela individuale, ivi 1979; C. Castronovo, Problema e sistema nel danno da prodotto, ivi 1979; G. Alpa, M. Bessone, Danno da prodotti e responsabilità dell'impresa, ivi 1980; C. Correra, Tutela igienico-sanitaria degli alimenti e bevande, ivi 1981; U. Ruffolo, Interessi collettivi o diffusi e tutela del consumatore, ii, ivi 1985; G. Alpa, Il diritto privato dei consumi, Bologna 1986; V. Zeno Zencovich, G. Alpa, s.v. Consumatore (tutela del), i, ii, iii, in Enciclopedia Giuridica, Roma 1988; Th. Bourgoignie, Eléments pour une théorie du droit de la consommation, Bruxelles 1988; G. Alpa, M. Bin, P. Cendon, La responsabilità del produttore, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell'economia, a cura di F. Galgano, Padova 1989; G. Alpa, U. Carnevali, F. Di Giovanni, G. Ghidini, U. Ruffolo, C. M. Verardi, Commentario al d.P.R. n. 224 del 24 maggio 1988, Milano 1990.