CONFRATERNITA (dal lat. confraternitas)
Associazione di fedeli eretta per l'esercizio di opere di pietà e di carità con una regolare organizzazione, e avente per scopo anche l'incremento del culto pubblico. A differenza delle congregazioni, i loro membri non emettono voti, né vivono in comune. Esse vengono istituite in una chiesa a mezzo di un formale decreto (erezione canonica) dell'autorità ecclesiastica e solo da questa possono essere modificate o soppresse. Debbono avere uno statuto che fissa lo scopo dell'associazione e i rapporti sociali interni, un titolo e un nome, una foggia speciale di abito per i confratelli e insegne che vengono portate quando la confraternita si presenta come corporazione.
Per l'erezione canonica la confraternita acquista una personalità giuridica distinta da quella dei singoli componenti. Ma non può essere persona giuridica secondo il diritto civile, se non sia come tale riconosciuta dal potere dello stato.
Le confraternite odierne non hanno l'importanza di quelle di una volta, specialmente medievali. Varie denominazioni esse assunsero e sotto l'appellativo fraternitates furono comprese associazioni pie di laici, militari e religiose, ordini monastici, terzi ordini di frati mendicanti, confraternite di preti aventi talvolta giurisdizione e s'indicò anche il vincolo di affratellamento a monasteri e a chiese.
Difficile è rintracciare le origini storiche di tali sodalizî. Essi si fondavano sul sentimento di fratellanza, non ignoto alle corporazioni (collegia) pagane, ma sviluppato specialmente dal cristianesimo (Matteo, XVIII, 20), e sull'amore di Dio; fratellanza e amore di Dio sono alla base del monachismo cristiano. Tracce di confraternite si trovano in Francia nel secolo VII; i capitoli di Incmaro di Reims (852), c. 16, esortano i parroci a reprimere gli abusi delle confraternite e delle gildonie. In Italia alcuni le fanno risalire al 1260; altri al 1144; autori più recenti dànno per sicura la loro esistenza al sec. X; dal sec. XII in poi molte confraternite furono erette. Molti di tali enti derivarono dal movimento mistico dei flagellanti, dei battuti, dei disciplinati che, per pacificare guelfi e ghibellini, passavano di terra in terra vestiti di sacco, predicando concordia e penitenza, chiamati, a seconda delle fogge di vestito, bianchi, capuciati, ecc. Molti si appoggiarono ai nuovi ordini mendicanti. Tali sodalizî apportarono bene alla società, provocando la fusione delle varie classi, l'affratellarsi degli uomini per la tutela e gli aiuti reciproci, promovendo opere di carità e di assistenza, specialmente ospedaliera, e favorendo anche l'opera di assistenza verso gli stranieri. La confraternita, associazione laica sotto forma religiosa, contribuì a ridestare la religione, quando questa era per affievolirsi, e tenne vivo il sentimento di carità fraterna.
Lo Stato, tranne in alcuni casi, non metteva alcun limite alla loro attività e la Chiesa se ne serviva, perché rappresentavano un contrasto all'eresia invadente.
Dal sec. XV non pochi sodalizî s'introdussero: fra questi le confraternite del Rosario, del Sacramento (1539), e altre molte solo dipendenti dall'autorità ecclesiastica, con statuto da questa approvato e con scopo puramente di culto. Il concilio di Trento richiamò le confraternite sotto la vigilanza dei vescovi, e quindi passarono sotto la giurisdizione della Chiesa. Il clero s'intromise nel governo di esse, perché o avevano uno scopo di culto, o uno scopo misto spirituale e temporale. In seguito alle lotte giurisdizionali alcune di esse furono richiamate sotto la sorveglianza del potere civile o per il fine a cui erano preordinate (beneficenza), o perché sprovviste di erezione canonica (enti laicali). E talvolta si richiese l'assenso sovrano alle regole per conferire all'ente la personalità giuridica, limitando i poteri dei vescovi quoad spiritualia tantum. Nel sec. XVIII Giuseppe II in Austria e la rivoluzione francese le abolirono. In seguito furono ripristinate; ma le legislazioni civili le hanno sottoposte a limiti e freni, considerandole o come associazioni di fedeli a scopo religioso, o come pubbliche istituzioni di beneficenza e assistenza. Dato il duplice loro scopo, esse sono soggette al diritto della Chiesa e a quello dello Stato.
Nel diritto canonico si parla in genere della soggezione delle opere pie al vescovo (c. 3, X, III, 36; c. 2, in Clem., III, 15). Il concilio di Trento le sottopose alla visita vescovile, tranne che se fossero sotto l'immediata protezione regia (c. 8, sess. XXII, de reform.), ed emanò altre disposizioni per affermare la loro dipendenza dall'autorità ecclesiastica.
Oggi le confraternite sono sottoposte alle disposizioni del codice di diritto canonico, che detta norme circa l'erezione e l'aggregazione di esse, gli statuti, il loro trasferimento (per cui basta il consenso dell'ordinario), l'estinzione e la restaurazione (c. 707-719).
I confratelli si riuniscono per scopo di culto e partecipano all'assemblea della confraternita, dove, sotto la presidenza dell'ordinario o di un suo delegato e con l'approvazione dell'ordinario stesso, si pongono le norme relative alla costituzione e all'attività del sodalizio, si eleggono gli ufficiali che debbono essere confermati dall'ordinario, e si provvede ai singoli atti dell'ente. Il cappellano o padre spirituale, nei casi di cui al c. 698, è nominato dall'ordinario. Esse non dipendono dal parroco per l'esercizio delle loro funzioni, ma non debbono mai arrecare pregiudizio al ministero parrocchiale.
Dalle confraternite si distinguono le arciconfraternite, che hanno il diritto di aggregarsi altre associazioni della stessa specie (enti dello stesso titolo e scopo). L'aggregazione, per la quale occorre un indulto pontificio, porta seco di regola comunicazione di tutte le indulgenze, dei privilegi, ecc. dell'ente aggregante, ma non conferisce a questo alcun diritto sull'associazione aggregata (c.720-724). Solo la S. sede può trasferire da un luogo a un altro un'arciconfraternita e conferire il titolo, anche puramente onorifico, di arciconfraternita (c. 725).
Secondo il diritto italiano le confraternite erette dall'autorità ecclesiastica, ma senza il riconoscimento di persona giuridica da parte dello stato, possono vivere come private associazioni e coi contributi dei confratelli, sottoposte per altro agli articoli 214 segg. testo unico legge di P.S. 6 novembre 1926, n. 1848.
Le confraternite già esistenti come enti morali, furono richiamate sotto la sorveglianza del potere civile (art.1, n. 5 legge 15 agosto 1867). Esse potevano essere istituzioni di pubblica beneficenza e assistenza o erano a queste equiparate, e solo come enti di beneficenza potevano essere riconosciute come persone giuridiche. E alle norme in vigore per le istituzioni pubbliche di beneficenza esse sono soggette per quanto riguarda gli acquisti, le alienazioni, l'amministrazione dei loro beni, ecc. Sono per altro sempre sottoposte all'autorità ecclesiastica per quanto riguarda lo spirituale.
Le confraternite obbligate a concorrere al mantenimento degli indigenti inabili al lavoro (legge 20 giugno 1889, n. 6144, art. 81), furono con la legge 17 luglio 1890 soggette a trasformazione al fine di destinare i beni a scopi di beneficenza più consentanei agli attuali bisogni sociali. Il provvedimento di trasformazione era adottato con decreto reale, sentito il consiglio di stato, e tanto contro le confraternite e altri consimili istituti con fini di beneficenza, quanto contro quelle con fini di culto, fatta eccezione per quelle che provvedessero al culto necessario a una popolazione o agli edifici necessarî al culto o degni di essere conservati (articoli 91 e 70 legge 17 luglio 1890, n. 6972).
La trasformazione non operava che sul patrimonio; non importava estinzione della personalità giuridica. Le confraternite con scopo di culto trasformate continuavano a possedere la loro chiesa, i locali annessi necessarî al culto, gli arredi sacri e un congruo assegno di manutenzione. Il concordato fra l'Italia e la S. Sede 11 febbraio 1929, reso esecutivo con legge 27 maggio 1929, ha modificato la precedente legislazione, in quanto ha disposto che le confraternite aventi scopo esclusivo o prevalente di culto non sono più soggette a ulteriori trasformazioni nei fini, e dipendono dall'autorità ecclesiastica per quanto riguarda il funzionamento e l'amministrazione (art. 29, lett. c). La legge 27 maggio 1929, n. 848, ha stabilito che le attribuzioni ora spettanti allo stato rispetto alle confraternite, rimangano limitate alle confraternite che non abbiano scopo esclusivo o prevalente di culto, e sono devolute al Ministero per la giustizia e gli affari di culto, salvo l'ingerenza dell'autorità ecclesiastica per quanto riguarda gli scopi di culto (articolo 17). Vedi decr. 2 dicembre 1929, n. 2262, articoli 52 a 55.
Bibl.: L. A. Muratori, De piis laicorum confraternitatibus etc., dissertatio LXXV, in Antiquitates Italicae Medii Aevi, Milano 1742, VI, pp. 447-482; L. Ferraris, Prompta Bibliotheca canonica, Parigi 1861, II, s. v. Confraternitas; F. Scaduto, art. Confraternita, in Digesto italiano, VIII, i, Torino 1896, pp. 1021-46; A. Solmi, Le associazioni in Italia avanti le origini del comune, Modena 1898; D. Schiappoli, Le confr. eccl., in Giurisprudenza italiana (1900); A. Pironti, Le riforme nell'amministraz. e le riforme nel fine delle istituzioni pubbliche di beneficenza, Roma 1906, p. 372 segg.
Letteratura. - Le confraternite hanno una notevole importanza nella storia letteraria, soprattutto perché valsero a promuovere la composizione di poesie liriche e di più o meno ampie e complesse rappresentazioni drammatiche; ché certo minor valore letterario esse ebbero per i sermoni volgari che alcune volte vi si recitavano o per i loro statuti, per quanto talora questi fossero antichi esempî di volgare o fiori di lingua.
Poiché l'azione riformatrice della Chiesa nel sec. XIII si manifestò anche con la sostituzione progressiva del linguaggio popolare al latino pur nelle preghiere e negl'inni, e il frutto migliore che l'azione ecclesiastica ebbe sulle masse dei laici fu la creazione di nuove confraternite (se pur giuridicamente affini alle antiche, religiosamente di ben diverso valore), fu appunto in esse che si ebbero i primi frutti del bisogno popolare di esprimere in volgare i proprî sentimenti religiosi, e che ignoti verseggiatori tradussero o imitarono inni latini in poesie volgari.
Le cerimonie religiose delle confraternite si divisero allora in due parti; delle quali una, strettamente legata alla liturgia, si mantenne ligia all'uso del latino, e l'altra si svolse tutta in volgare. Cosi ci spieghiamo come negli offici di disciplina, accanto alle laude volgari, si recitassero gli Oremus, i Pater, le Ave Marie in latino; come nei rituali di ricevimento dei novizî, accanto alle laude, fosse cantato il Veni Creator Spiritus; come lo stesso accadesse nei funerali dei confratelli. Naturale quindi che le poesie volgari, oltre a prendere il nome dalle laudes latine, ne traessero e forme metriche e immagini. Infatti, il canto proprio e caratteristico di tutte le confraternite dei secoli XIII-XV (solo più tardi, specie dal periodo della Controriforma in poi, si ritornò agl'inni latini) nelle loro adunanze, nelle processioni, nelle esequie dei consoci, furono le laude, tanto che talune di esse ebbero anche l'appellativo di laudesi.
Le laude si cantavano o nelle cappelle delle confraternite, a candele e lampade accese dinnanzi le immagini di Gesù, della Madonna o dei santi, oppure sulla strada; ma era proibito cantarle presso i monasteri e di notte e, qualche volta, durante le processioni. In alcuni sodalizî v'erano degli officiali appositi, detti governatori delle laude, che tenevano scuola alla domenica per insegnarle ai confratelli o a fanciulli. Gli statuti dei Disciplinati disponevano che i fratelli cantassero le laude mentre si sferzavano con la disciplina, quasi a testimoniare che il dolore della sferza a gloria di Dio era per loro dolce, sì che potevano ben cantare nello stesso tempo le lodi al Signore. Altrove, invece, si fa cenno solo di una lauda rammemorante la passione di Gesù, la quale si intrammezzava alla penitenza e all'ufficio latino, oppure di una lauda da recitarsi a modo di orazione dopo il pranzo.
Quanto poi al modo di cantare le laude, si aveva in alcune regioni l'uso di cantori salariati, come in Umbria e a Ragusa, si che le compagnie più ricche ne avevano anche due o più; in tal caso, quindi, non i fratelli a coro, ma un solo individuo era incaricato del canto e le laude si cantavano non continuamente ma strofa per strofa, interponendo fra l'una e l'altra la disciplina. In Toscana, invece, nella Campania, in Emilia e nella maggior parte d'Italia, le laude erano cantate a coro o di seguito, su d'una aria che si ripeteva di strofa in strofa; alcune volte erano cantate all'unisono; altre volte alcuni iniziavano la cantilena e tutti gli altri a ogni strofa ripetevano la ripresa o alcuni versi.
Ma non solo laude liriche furono accolte dalle confraternite, sibbene anche laude drammatiche e più tardi le Devozioni, che si rappresentavano in chiesa e dovevano spiegare al popolo le parole che il sacerdote diceva all'altare o dal pulpito. Dalla metà del sec. XV, infine, prima a Firenze e dopo nelle altre città italiane, si hanno le sacre rappresentazioni, su argomenti tolti dalla Sacra Scrittura o dalla leggenda dei santi, ma con scene assai realistiche: rappresentazioni che non hanno luogo in chiesa, ma all'aperto. Basterà ricordare quelle recitate dalle compagnie fiorentine del vangelista e della Scala, fra cui una dovuta allo stesso Lorenzo il Magnifico, e soprattutto il dramma della Passione recitato al Colosseo il venerdì santo dall'arciconfraternita romana del Gonfalone a notte inoltrata, alla luce di fiaccole e di lanterne.
Bibl.: D'Ancona, Le origini del teatro in Italia, 2ª ed., Torino 1891; Galli, I Disciplinati dell'Umbria e le loro laudi, Torino 1906; Ippoliti, Dalle sequenze alle laudi, Osimo 1914; Landini, Appunti... per la vita delle Fraternite laicali in Italia, Perugia 1915; G. M. Monti, Bibliografia della laude, Firenze 1925; id., Le confraternite medievali dell'Alta e Media Italia, Venezia 1927.
Le confraternite religiose musulmane.
Si designano con questo nome, o anche con quello meno proprio di ordini religiosi, raggruppamenti, a base gerarchica e con regolare ordinamento amministrativo, di musulmani di sesso maschile (le donne essendo rarissimamente ammesse), i quali si propongono una vita religiosa molto intensa col riunirsi almeno una volta alla settimana per pratiche di devozione in comune al di fuori e in di più delle pratiche cultuali obbligatorie, seguendo le regole stabilite dal fondatore della confraternita o dal mistico dei cui insegnamenti la confraternita presume d'essere la conservatrice. Le confraternite musulmane sono un istituto ignoto all'islamismo antico e avente le sue basi nell'ascetico-mistica o ṣūfismo (v.); infatti le prime confraternite nel senso ora indicato appaiono soltanto nella seconda metà del sec. XII nella Mesopotamia centrale e meridionale, cioè nel ‛Irāq (al-Qādiriyyah e ar-Rifā iyyah), donde poi si diffusero in tutto il mondo musulmano sunnita (eccettuata l'Arabia centrale, orientale e meridionale). Invece esse sono avversate dagli Sciiti e dagli Ibāditi (v.).
In arabo, e quindi nelle varie lingue musulmane, la confraternita è detta ṭarīqah (al plur. ṭuruq), quando di essa si consideri soprattutto la regola (ṭarīqah) mistica alla quale informa le cerimonie sue proprie; è detta ṭā'ifah (al plur. ṭawā'if), cioè corporazione, quando la si consideri prevalentemente dal punto di vista del complesso dei suoí aderenti.
Tutti gli scrittori europei che hanno trattato di questo argomento confondono a torto le confraternite, ossia gruppi con ordinamento gerarchico e amministrativo, e i seguaci di una data regola o scuola mistica: che si raccolgono insieme per le cerimonie in comune senza vincoli gerarchici né amministrazione di denaro o di beni.
Le confraternite, diffondendosi in paesi lontani, mantengono spesso regolari legami gerarchico-amministrativi con la sede centrale; altre volte invece l'unità si rompe nel campo degl'interessi materiali; altre volte infine, benché assai più di rado, i gruppi lontani si staccano completamente e assumono nome diverso.
L'affiliazione alle confraternite è di tre categorie: a) speciale, per coloro che hanno ferma volontà e sicura capacità di avanzare sino ai gradi elevati della via ascetico-mistica e che quindi si sottopongono a lungo e severo alunnato in qualità di murīd o aspiranti; b) di grado assai più semplice, aperta a tutti i devoti i quali non aspirano alle grandi altezze mistiche e si ascrivono alla confraternita a scopo di averne benedizione; c) di carattere puramente onorifico, a dotti in scienze religiose, ai quali un personaggio eminente della confraternita può, anche di lontano, dare la igiāzah o autorizzazione scritta a trasmettere ad altri le dottrine e i libri della confraternita. Nel caso delle categorie a e b (la quale è di gran lunga la più numerosa e accoglie anche il popolino) l'affiliazione ha luogo con cerimonie varie, delle quali è parte essenziale la consegna del wird scritto, ossia delle formule pie che l'affiliato deve quotidianamente recitare nei modi che gli vengono indicati. Gli affiliati della categoria a, che sono tutti veri sūfī (v. sūfismo), si chiamano, secondo i luoghi e le confraternite, ikhwān "confratelli", o darwīsh (dervisci), o fuqarā' "bisognosi (delle grazie di Dio)".
Soltanto qualche confraternita orientale ammette per alcuni degli affiliati voti perpetui di celibato e dimora in specie di conventi, detti khānqāh oppure takiyyah (al plur. takāyā), in pronunzia turca tekké o tekié; speciale dell'Africa settentrionale è la denominazione di zāwiyah per il luogo ove si tengono le riunioni pie, quando esso non sia una moschea. Salvo l'eccezione suddetta, gli affiliati di qualunque grado alle confraternite vivono in piena libertà come tutti gli altri credenti, sicché non possono in alcun modo essere paragonati ai frati del cattolicesimo, ma soltanto ai terziarî di alcuni nostri ordini religiosi.
Nelle riunioni in comune alcune confraternite ammettono l'uso del canto e della musica per eccitare l'entusiasmo mistico; la confraternita dei Mawlawiyyah, noti al gran pubblico col nome di "dervisci giranti", vi aggiunge anche la danza mistica.
Invece altre confraternite (p. es. Madaniyyah e Sanūsiyyah) ripudiano in modo assoluto questi mezzi esteriori di provocare l'esaltazione mistica. In qualche confraternita poi si ha un netto divario fra le riunioni degli affiliati colti e appartenenti a classi sociali un po' elevate e quelle degli affiliati volgari; tale è, nell'Africa settentrionale, il caso della confraternita dei famosi 'Isāwiyyah o 'Īsāwà (Aissaoua dei Francesi), i cui affiliati colti praticano riti austeri, mentre gli affiliati del popolino si esibiscono al pubblico in processioni e cerimonie di carattere isterico e selvaggio.
Le riunioni in comune portano il nome di maǵlis adh-dhikr o dhikr (v.) o, nell'Africa settentrionale, di ḥaÿrah (v.).
Tra i musulmani sunniti non mancano correnti contrarie alle confraternite, soprattutto a causa degli abusi ai quali esse dànno luogo particolarmente fra il volgo; assolutamente ostili poi sono quei musulmani sunniti, tra cui i Wahhābiti, che considerano il sūfismo come una non lodevole innovazione.
Nell'Impero ottomano le confraternite erano state sottoposte negli ultimi secoli alla vigilanza dello sheikh ul-islām, il quale, fra l'altro, dava il diploma d'investitura ai nuovi capi, eletti, di ciascuna confraternita. In Egitto, nella prima metà del secolo scorso, esse furono poste sotto analoga sorveglianza dello sheikh al-Bakrū (discendente del califfo Abū Bakr), nominato dal sovrano; gli ultimi regolamenti in materia sono quelli del 5 giugno 1903 e del 12 aprile 1912; quest'ultimo proibisce l'affiliazione a più confraternite, il passaggio dall'una all'altra, il ferirsi, il divorare scorpioni e serpenti, ecc. Negli altri paesi musulmani non esistono regolamenti governativi sulle confraternite.
L'importanza delle confraternite è assai grande nel campo religioso e talvolta anche in quello della pubblica beneficenza; in paesi barbari e semibarbari esse hanno avuto e hanno ancora talvolta una funzione d'islamizzamento, di ordine sociale, di colonizzazione; nell'Africa settentrionale, soprattutto in Algeria e nel Marocco, la stessa vita politica risentì e risente l'influenza di alcune di esse. Tipico poi è il caso della confraternita dei Senussi (v.), la quale verso la metà del secolo scorso riuscì a formare un vero e grande stato territoriale nel retroterra della Cirenaica. D'altra parte talora le confraternite decadono moralmente per inettitudine e avidità di capi e di gregarî.
Tra le confraternite più notevoli e tra quelle esistenti nelle colonie italiane sono: Aḥmadiyyah (v.), ′Arūsiyyah, Bektāshī (v.), Idrīsiyyah, Khalwatiyyah, Madaniyyah, Mawlawiyyah, Mīrghaniyyah, Naqshibandiyyah, Qādiriyyah, Rifā iyyah, Sanū-iyyah (Senussia), Tigiāniyyah. Un utile elenco, quasi completo, dà L. Massignon (Annuaire du monde musulman, III, Parigi 1930, pp. 457-461); egli tuttavia confonde le vere confraternite con le regole o scuole mistiche non organizzate in corporazione.
In base alla politica di laicizzamento assoluto, la repubblica di Turchia emanò il 2 settembre 1341 (cioè 1925) un decreto che sopprime le confraternite, chiude le loro tekké, confisca i loro beni e vieta l'uso di abiti e distintivi speciali a quegli affiliati che prima li portavano; v. il testo in Oriente Moderno, V (1925), pp. 515-516.
Bibl.: Non esistono lavori d'insieme soddisfacenti; i libri, pur notevolissimi, che qui indichiamo vanno usati con molta prudenza, soprattutto nelle loro parti dottrinali: L. Rinn, Marabouts et Khouan, Algeri 1884 (khouan è la pronunzia dialettale algerina di ikhwān, su cui v. sopra); O. Depont e X. Coppolani, Les confréries religieuses musulmanes, Algeri 1897; A. Le Châtelier, Les confréries musulmanes du Hédjaz, Prigi 1887.