CONCESSIONE AMMINISTRATIVA (fr. concession administrative; sp. concesión administrativa; ted. öffentlichrechtliche Verleihung, öffentlichtle Konzession; ingl. administrative concession, grant)
In senso lato è concessione amministrativa ogni atto di diritto pubblico mediante il quale l'amministrazione costituisce a favore di una persona fisica o giuridica un diritto; in senso stretto si ha tale concessione soltanto quando questo sia un diritto di esercizio di una pubblica attività o uno speciale diritto di uso di beni pubblici. La concessione si distingue dall'autorizzazione, che ha per oggetto la semplice remozione di un limite posto in modo generale dalla legge a comportamenti o azioni che sono esplicazione di una naturale libertà; si distingue altresì dall'ammissione, che, previo riconoscimento di date qualità o requisiti, faculta l'esercizio di un diritto alla partecipazione alla vita pubblica, o all'esplicazione di attività professionali, o a prestazioni della pubblica amministrazione. La concessione, al pari dell'autorizzazione e diversamente dall'ammissione, è di regola atto discrezionale.
Occorre anzitutto eliminare le teorie che si sforzano di racchiudere il rapporto di concessione amministrativa nella cerchia di un rapporto di diritto privato, teorie fiorite quando si aveva ancora una falsa idea della funzione del diritto civile in ordine ai rapporti amministrativi e che evidentemente dimenticano che l'amministrazione, concedendo l'esercizio di servizî pubblici o l'uso particolare di beni demaniali, spiega la sua personalità pubblica, esercita poteri che non competono ai singoli, agisce insomma come autorità. Debbono perciò ritenersi infondate tanto le opinioni che pretendono di riportare sotto il diritto privato il rapporto di concessione nella sua integrità, quanto quelle che cercano di riportarvelo in parte, tanto quelle che riconoscono la struttura privatistica in tutte le concessioni, quanto quelle che la riconoscono soltanto in alcune. Il rapporto di concessione amministrativa è un rapporto di diritto pubblico totalmente e in ogni caso, sia per l'amministrazione che emana l'atto fondamentale, sia per il concessionario che assume obblighi in relazione al medesimo. Ma, dato che ormai, almeno da una parte notevole della dottrina, si ammette l'esistenza di contratti di diritto pubblico fra amministrazione e privati, occorre precisare se l'atto costitutivo del rapporto sia unilaterale o bilaterale. L'opinione prevalente è che si tratti di atto unilaterale. La concessione non sorge che dalla disposizione a favore del concessionario di poteri dell'amministrazione concedente; d'altra parte, gli obblighi e oneri del concessionario non sono concepibili che in relazione all'oggetto della concessione come elementi di determinazione specifica di questa. La volontà del concessionario è normalmente necessaria affinché la concessione serva al fine pratico in considerazione del quale l'amministrazione l'ha emanata, ma non è necessaria per la giuridica sussistenza della concessione stessa. E anche quando, avendo riguardo appunto al fine pratico, l'amministrazione subordina la concessione alla formale assunzione da parte del concessionario degli obblighi e oneri inerenti, la volontà del medesimo non rappresenta che una condizione dell'efficacia dell'atto unilaterale. Né si può addurre in contrario che nel nostro diritto positivo e nella pratica amministrativa si parla talora di "contratto" o "convenzione" di concessione: questo nome, infatti, se corrisponde approssimativamente alla struttura formale di certi atti concessivi che conglobano in unico testo il conferimento della concessione e l'assunzione dei relativi obblighi da parte del concessionario, non corrisponde alla struttura sostanziale e non ha alcuna pretesa di definizione giuridica.
Secondo l'oggetto loro, le concessioni amministrative si distinguono in varie specie e principalmente in concessioni d'uso speciale di beni pubblici e concessioni di servizî pubblici, alle quali la dottrina prevalente aggiunge le concessioni di lavori pubblici e taluno anche le concessioni di cittadinanza e quelle dirette a premiare il merito. Riguardo alle concessioni di lavori, bisogna evitare di confonderle con gli appalti di lavori, veri e proprî contratti regolati dalla legislazione amministrativa e, laddove questa taccia, dal diritto privato e soprattutto dalle disposizioni del codice civile in materia di locazione d'opera (v. appalto). Talora accade peraltro che un rapporto di concessione si colleghi a un rapporto di appalto, come ad es. quando un comune, dopo aver fatto eseguire in appalto i lavori di costruzione di un acquedotto, ne conceda l'esercizio all'appaltatore dietro pagamento di un canone; né l'identità delle parti, né quella dello scopo ultimo per cui l'appalto e la concessione hanno avuto luogo bastano però a unificare i due distinti rapporti giuridici.
Assai meno agevole è distinguere in pratica le concessioni di esercizio di servizî dagli appalti di servizî e all'uopo soltanto in parte possono valere il criterio della fonte immediata dalla quale l'esercente attinge il reddito principale (fonte che nelle concessioni suole essere il gettito delle tasse pagate dagli utenti del servizio, mentre negli appalti è generalmente la corresponsione di un canone da parte dell'amministrazione), il criterio dell'esistenza o meno di una predeterminazione di reddito minimo garantito dall'amministrazione (contenendo la concessione un elemento economico più aleatorio per l'esercente che non l'appalto), ecc. Pertanto non sempre sicura è la configurazione giuridica che si fa di alcune specie di gestione mediata di pubblici servizî come concessioni o come appalti, sebbene di gran lunga prevalga il numero delle concessioni. La gestione per concessione, largamente usata in Italia sino a qualche decennio addietro, subì poi notevoli limitazioni in seguito a un forte sviluppo della gestione diretta da parte dello stato (ad es., quanto al servizio ferroviario), dei comuni e delle provincie, ma in questi ultimi tempi è tornata in onore, più che per la gravità degli inconvenienti dell'esercizio diretto, per il mutamento dei criterî politici circa l'orientamento e i limiti dell'attività degli enti pubblici.
Il concessionario nei rapporti con i terzi agisce in nome proprio, pur esplicando poteri che gli derivano dall'amministrazione: questa tuttavia, quando si tratti di pubblici servizî, detta le norme principali regolatrici dell'esercizio, stabilisce le tasse e i canoni che possono percepirsi dagli utenti, determina gli elementi fondamentali del contratto d'impiego col personale e suole riservarsi il diritto di sostituzione o di provvisoria gestione diretta nel caso in cui non siano rispettati gli obblighi assunti.
Le condizioni e modalità della concessione risultano di solito da un capitolato precostituito che tecnicamente specifica le disposizioni di legge e di regolamento nella materia cui quella si riferisce, aggiungendo quant'altro è praticamente opportuno a tutela del pubblico interesse, o la sopravvenuta incapacità naturale o giuridica del concessionario all'esercizio della concessione, la rinunzia del concessionario, la decadenza di esso, la revoca e il riscatto da parte dell'amministrazione.
Non tutte le concessioni hanno un prestabilito termine di cessazione della loro efficacia, ma di solito lo hanno quelle di esercizio di servizî, sia per naturale prudenza nella delimitazione d'impegni in materia sì grave, sia perché il continuo progresso delle scienze e delle arti induce a ritenere che il modo di svolgimento dei servizî stessi possa dopo un certo numero di anni essere tecnicamente perfezionato. Talora il termine prefisso è operativo di per sé e talora invece non opera che previa denunzia o disdetta di una delle parti, senza la quale la durata della concessione s'intende prorogata. La morte del concessionario e la sopravvenuta sua incapacità naturale o giuridica, generica o specifica, in ordine all'oggetto della concessione valgono come cause di cessazione per le concessioni personali e anche per le altre quando al concessionario manchi un successore o rappresentante diretto, o quando l'uno o l'altro non sia idoneo all'esercizio della concessione; allorché un tale successore o rappresentante idoneo vi sia, la concessione può continuare col riconoscimento di esso da parte dell'amministrazione e in qualche caso anzi la continuazione è, almeno per un certo tempo, obbligatoria. La rinunzia del concessionario è di regola possibile senza indennità quando la concessione non importi obblighi e sia fatta prevalentemente nel di lui interesse; in caso diverso, o è vietata, o è più o meno gravemente condizionata secondo l'oggetto e lo scopo. La semplice desistenza dall'esercizio non costituisce rinunzia ma se, come generalmente nelle concessioni che rispondono a un pubblico interesse, sia infrazione di un obbligo, può dare luogo a cessazione della concessione per decadenza. La decadenza, che va distinta dalla revoca, dà luogo ipso iure alla cessazione della concessione per inadempimento di obblighi essenziali: le modalità e gli effetti patrimoniali sono stabiliti dalle disposizioni che la comminano. La revoca della concessione non è che un'applicazione del principio generale della revocabilità degli atti amministrativi, soggetta alle condizioni e contenuta nei limiti che consentono di contemperare le esigenze del pubblico interesse cui il principio si ispira con quelle dell'equità: non occorre espressa pattuizione per porla in essere, costituendo essa, come è stato rilevato in dottrina, un naturale negotii. Il riscatto è una revoca, o particolarmente ammessa dalla legge, o convenzionale, che ha effetti speciali stabiliti nelle disposizioni regolatrici e può avere luogo anche indipendentemente dalla ricorrenza dei motivi che determinano in generale la revoca degli atti amministrativi, nei termini di tempo fissati da quelle disposizioni e dietro corresponsione di indennità liquidate in base ai criterî nelle medesime enunciati, fra i quali suol essere il calcolo dei profitti medî che il concessionario avrebbe potuto conseguire continuando nella concessione, o per la durata normale di essa, o almeno per un certo numero di anni successivi al riscatto.
Fra le clausole più frequenti degli atti concessivi merita particolare ricordo quella di riserva dei diritti dei terzi, con la quale l'amministrazione intende preservarsi da ogni responsabilità per l'eventuale lesione dei diritti altrui che sia per compiere il concessionario nel valersi della concessione. A tale effetto la clausola deve ritenersi efficace anche nell'ipotesi, in verità assai rara, che qualunque modo e forma di esercizio della concessione sia incompatibile col rispetto dei diritti dei terzi; se però il diritto che verrebbe leso dall'esercizio fosse quello di monopolio attribuito ad un precedente concessionario e non fatto salvo con riserva specifica, potrebbe ritenersi che la nuova concessione lo avesse implicitamente revocato, salvo al titolare di conseguire l'indennità che potesse spettargli.
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