COLONNA, Stefano, il Vecchio
Appartenente al ramo di Palestrina dell'antica famiglia romana, nacque - come ci permettono di stabilire la data del suo matrimonio e quelle dei suoi primi incarichi ufficiali - intorno al 1265 da Giovanni di Oddone e da una Orsini di cui ignoriamo il nome. Tra i suoi numerosi fratelli ricordiamo qui Pietro, che fu cardinale, Agapito, e Giacomo soprannominato Sciarra. Nel novembre del 1285, alla presenza del vescovo di Tolosa, si fidanzò con Gaucerande, figlia di Giordano (IV) signore di Isle-Jourdain (dip. del Gers), e nel febbraio dell'anno successivo la sposò per procura: la cerimonia si svolse nel palazzo dello zio, il potente card. Giacomo Colonna, a Roma.
Gaucerande apparteneva ad una ricca ed influente famiglia della Francia meridionale: sua sorella aveva sposato il visconte di Narbona Amaury (II). L'alleanza con i signori di Isle-Jourdain, che il matrimonio del C. con Gaucerande presupponeva, era molto importante per i Colonna, perché offriva ad essi, di antica tradizione ghibellina, l'appoggio di una famiglia imparentata con la casa d'Angiò sia nel Tolosano sia nel Regno. La sposa portò in dote al C. la cospicua somma di 3.000 lire tornesi e feudi nella Sila, la baronia di Corigliano, che comprendeva Acri e San Mauro e dava una rendita annua di 2.000 fiorini. Nel 1294 Carlo II d'Angiò avrebbe investito il C. - insieme con due suoi fratelli - della contea di Monupello e di altre terre in Puglia. Tuttavia, nel corso delle lotte che seguirono la condanna pontificia dei Colonna (1297), il C. perdette la maggior parte dei feudi che egli aveva acquistato nel Regno: tali rovesci furono però compensati dalla consistente eredità di cui entrò in possesso Gaucerande nel 1309, alla morte del padre.
Le fonti a noi note ricordano il C. come titolare di una carica pubblica per la prima volta nel 1288, quando era vicario del podestà di Ascoli Piceno, sotto il pontificato di Niccolò IV, il quale, per il governo delle terre di dominio pontificio, si basò essenzialmente sull'appoggio della famiglia Colonna. Successivamente al C. venne affidato un ufficio più importante e più impegnativo: nell'agosto del 1289 fu nominato rettore di Romagna, provincia che non era ancora stata completamente sottomessa all'autorità pontificia. In un primo momento il C. governò per il tramite di un suo vicario, ma nel dicembre raggiunse la provincia. Nell'assumere ufficialmente l'incarico, egli convocò a Forlì il tradizionale Parlamento (29 dic. 1289) e subito cercò di riportare la pace tra le diverse fazioni della città di Rimini, dove però la sua azione venne ostacolata dal podestà, Orsello Orsini. Il C. ottenne infatti che i Malatesta fossero riammessi in città (marzo 1290): ma la pace fu di breve durata. Il 6 nov. 1290 egli mosse verso Ravenna per ottenere dai da Polenta il riconoscimento del suo rettorato: ma nella notte tra il 10 e l'11 novembre fu assalito improvvisamente e catturato, insieme con i suoi "familiari" da Ostasio e Lamberto da Polenta. Le trattative per il rilascio del C. furono concluse dal nuovo rettore di Romagna, Aldobrandino, il 24 genn. 1291: appena liberato, il C. lasciò la provincia. Nella primavera successiva, per il tramite dei Canigiani di Firenze, rientrò in possesso della maggior parte dei beni che gli erano stati allora sottratti, ma ancora nel 1316 Lamberto da Polenta era in possesso di parte della armatura del Colonna. Dopo questo episodio disastroso, il C. divenne senatore di Roma insieme con Matteo Orsini (maggio 1292); il ruolo da lui svolto nella stipula dell'alleanza con i conti di Vico e nell'acquisto di Nepi da parte dei Colonna costituì un ulteriore segno del suo affermarsi quale importante membro del ramo di Palestrina della famiglia.
Non siamo in grado di conoscere l'attività del C. durante i primi anni del pontificato di Bonifacio VIII; sembra comunque evidente che egli dovette vedere con crescente preoccupazione e sdegno il rapido affermarsi della signoria dei Caetani in Campagna, signoria che costituiva una diretta minaccia per l'antica supremazia colonnese nella regione. E il C. non era uomo da sopportare senza agire. Il 3 maggio 1297 - è questo l'episodio più famoso della sua lunga vita - attaccò un convoglio di cavalli e di muli che trasportava da Anagni a Roma una grande quantità di oro e di argento dei Caetani (secondo un cronista 200.000 fiorini), con la quale si doveva pagare l'acquisto dei castelli degli Annibaldi. L'azione ebbe successo e il C. si impossessò di tutto il tesoro. Il 6 maggio Bonifacio VIII ordinò ai cardinali Pietro e Giacomo Colonna di assicurare la restituzione del danaro trafugato, la costituzione del C. per essere arrestato e la consegna dei suoi feudi più importanti, e cioè Palestrina, Colonna e Zagarolo. I due cardinali riuscirono a persuadere il C. a restituire il denaro, ma non poterono o non vollero farlo obbedire alle altre disposizioni del papa. Con il documento di condanna dei Colonna di Palestrina del 23 maggio, Bonifacio scomunicò il C. e lo privò di tutte le terre e di tutti i diritti. Poiché egli rifiutava di sottomettersi, seguì la crociata contro i Colonna (14 dic. 1297) ed una campagna militare nel corso della quale il C. riuscì a difendere Colonna. Nel settembre dell'anno successivo, tuttavia, cadde Palestrina e il C. fu tra quei Colonna che si recarono a Rieti nel mese di ottobre per fare solenne atto di sottomissione al papa. In questa occasione gli fu ordinato di compiere un pellegrinaggio a Santiago di Compostella.
Per circa cinque anni rimase in esilio; i suoi spostamenti di questo periodo sono difficili da precisare. Sembra che egli non abbia compiuto il pellegrinaggio, ma l'accusa che più tardi i Colonna lanciarono contro Bonifacio, di aver ordinato ai membri dell'Ordine di Santiago di ucciderlo, non appare verisimile. Per un certo periodo visse quasi certamente nel territorio di Narbona e forse fu ad Arles, all'inizio del 1303 incontrò il fratello Giacomo detto Sciarra e Guillaume de Nogaret alla corte francese.
È possibile che egli avesse raggiunto la Francia passando prima per il Regno e la Sicilia; meno probabile, anche se non impossibile, una sua visita in Inghilterra. Petrarca racconta che egli, richiesto ad Arles di dichiarare la propria identità, rispose: "Civis Romanus sum". Nel 1300 il pontefice annullò il fidanzamento (che attesta il perdurare degli interessi italiani del C.) tra una figlia di questo, Giovanna, e Domenico conte d'Anguillara.
È certo che il C. non fu presente all'aggressione contro Bonifacio VIII compiuta in Anagni il 7 sett. 1303: egli rientrò infatti in Italia solo dopo la morte del pontefice, forse sul finire di quello stesso anno. Comunque, vi si trovava già sicuramente nel settembre del 1304, quando divenne capitano del Popolo e podestà di Viterbo, servendosi poi di quella città come di una base per la lotta contro gli Orsini. Negoziati tra i rappresentanti dei Colonna e dei Caetani, svoltisi a Perugia, portarono ad un accordo, garantito dalle autorità romane (22 marzo 1305), secondo il quale il C., insieme con il fratello Sciarra e con il nipote Giordano, doveva ricevere la somma di 100.000 fiorini (o beni per tale valore) come risarcimento per i danni sofferti a Palestrina, a Colonna e nelle altre sue proprietà. Inoltre venivano dichiarati nulli i provvedimenti riguardanti i territori dei Colonna presi da Bonifacio VIII; la famiglia dei Colonna, infine, era riammessa alle cariche comunali in Roma. Le clausole dell'accordo non vennero in genere rispettate dalle due parti contraenti; tuttavia il C. con ogni probabilità divenne senatore (a meno che non si tratti del suo omonimo Stefano Colonna di Genazzano), insieme con Gentile Orsini, forse dal luglio del 1306 e verosimilmente per la durata di sei mesi.
Il 2 febbraio del 1306 Clemente V annullò tutte le sentenze di condanna emesse contro il C. e gli altri suoi familiari e li restaurò nei loro precedenti domini, permettendo loro di ricostruire Palestrina. Seguì allora in Campagna e Marittima un lungo periodo di conflitti tra i Colonna e i Caetani, nel corso dei quali i Caetani impiegarono un grosso contingente di mercenari catalani. Il C. partecipò con i suoi vassalli ad una campagna contro Anagni che durò più di otto mesi, e per un certo periodo mantenne il controllo di una parte della città. In una delle udienze giudiziarie che si svolsero presso una corte franco-pontificia a Vienne nel 1312 i Colonna lamentarono di aver subito durante quel conflitto la distruzione di diciannove castra e palazzi, mentre i Caetani avrebbero denunciato che l'azione del C. e del fratello Sciarra era loro costata 940.000 fiorini in capitale e la perdita di una rendita annua di 3.000 fiorini. Sembra comunque che in questi anni i Colonna abbiano goduto del favore di Clemente V, il quale concesse a familiari e alleati del C. numerosi feudi e benefici.
La politica colonnese volta a recuperare le terre familiari e a riconquistare la passata autorità in Campagna e nel Patrimonio fu interrotta dalla discesa di Enrico VII in Italia. Il C. si recò, insieme con il senatore di Roma Ludovico di Savoia a Torino per salutare Enrico, che era ancora alleato del papa (novembre 1310) e poi con ogni probabilità comandò un piccolo corpo di soldati romani nell'esercito imperiale davanti a Brescia. Accompagnò Enrico a Genova e lo precedette a Pisa. Nel febbraio 1312 giunse a Roma, ma riuscì a imporre il suo controllo solo su una parte della città. Il 7 maggio, con il fratello Sciarra, scortò Enrico attraverso ponte Milvio, e da allora egli fu ai servizi dell'imperatore con una forza di 500 uomini. Nelle settimane successive tale corpo di armati fu impegnato in numerosi scontri all'interno della città, nel corso dei quali il C. stesso fu ferito. Dopo l'incoronazione imperiale di Enrico (29 giugno), il C. seguì l'esercito imperiale a Tivoli. Qui rifiutò l'investitura di un feudo imperiale, adducendo come scusa la necessità di avere il consenso preventivo dei cardinali della sua famiglia; successivamente abbandonò la corte di Enrico (dopo il 6 agosto). Il suo apparente abbandono della causa imperiale può aver contribuito alla successiva pacificazione della città di Roma, anche se probabilmente il C. fu tra coloro che furono colpiti dal provvedimento di esilio.
Dopo questo intervallo "imperiale" il C. poté dedicarsi di nuovo a problemi territoriali e romani. La guerra contro gli Orsini per il recupero di Nepi continuava. Nel 1315 il C. divenne podestà e capitano di Narni. Nello stesso periodo operò come amministratore del patrimonio dello zio cardinale Giacomo (morto nel 1318). Nel 1320 tenne prigioniero a Palestrina Benedetto Caetani, pronipote di papa Bonifacio, il quale era stato catturato da un viterbese durante il viaggio di ritorno in Toscana da Anagni. Allora il C. aveva ormai abbandonato la causa ghibellina e aveva aderito al partito angioino. Nel 1323 partecipò alla campagna di Roberto d'Angiò contro suo fratello Sciarra e alcuni Orsini; nello stesso anno fu vicario regio in Roma insieme con Poncello Orsini. I Romani li avevano eletti infatti "sindaci vicariorum" e "defensores populi"; l'elezione venne tuttavia annullata da Roberto d'Angiò e da Giovanni XXII. L'anno successivo (1325) il C. e Poncello Orsini disputarono la carica di senatore a Giacomo Savelli; probabilmente in questa occasione i Buonomini di Roma conferirono al C. il titolo di cavaliere del Popolo che egli asserì poi avere accettato con riluttanza ("quasi quadam necessitate compulsum"). Una successiva cerimonia con cui il re Roberto lo creò cavaliere a Napoli ebbe forse lo scopo di cancellare il ricordo dell'imbarazzante onorificenza romana.
Il riaprirsi della questione imperiale non dovette sorprendere il C., il quale sin dal 1315 aveva ricevuto un privilegio da Ludovico il Bavaro che gli conferiva, tra l'altro, il diritto di batter moneta. L'avvento di Ludovico trovò il C. in carica a Roma come sindacus, ma ora in decisa posizione filoangioina; così che egli fu allontanato dalla città prima che Ludovico vi entrasse. A Narni, ove rivestì per un certo periodo una carica pubblica, egli contribuì a organizzare una spedizione contro Roma, ora nelle mani del fratello del C., Sciarra, sostenitore di Ludovico: l'attacco (27-28 sett. 1327) portò alla conquista di una parte della città, ma in seguito il partito filoimperiale ebbe il sopravvento e Ludovico poté fare il suo ingresso a Roma.
Nel dicembre 1327 uno dei figli del C., Giovanni, fu nominato cardinale: tale promozione contrassegnò il definitivo abbandono della causa ghibellina da parte del Colonna. Nel marzo 1328, alla testa di 4.000 soldati angioini, egli rinnovò l'assalto contro Roma; anche questa volta, tuttavia, dopo alcuni successi iniziali, fu respinto. Riuscì ad entrare nella città solo dopo la partenza di Ludovico (4 agosto) e fu subito nominato senatore, insieme con Bertoldo Orsini. La sua carica, con l'approvazione del partito popolare e angioino, durò fino al giugno 1329.
Nel 1332 fu nominato di nuovo, con Niccolò Conti, vicario regio a Roma. Continuò a partecipare alla turbolenta vita della città, anche se aveva oltrepassato i settant'anni. Nell'inverno 1337-38 gli fu intimato, in ottemperanza dei termini di una tregua che si tentava di far osservare, di cedere ai senatori le torri, le fortificazioni e i ponti che egli controllava e dai quali egli combatteva gli Orsini e i Savelli. Nella seconda metà del 1339 fu ancora una volta senatore, insieme con Giordano Orsini, e poi di nuovo nella seconda metà del 1342, avendo come collega Bertoldo Orsini. Né i suoi conflitti si limitavano a Roma. Continuò, infatti, la lotta contro i Caetani, mentre nel 1333 gli Orsini assalivano Giove, e nel 1335 Roma stessa e Castelnuovo di Porto. In questo periodo il C. compì almeno una visita ad Avignone, quale inviato di Roma, e nel 1341 fu presente all'incoronazione poetica del Petrarca in Campidoglio.
L'ultimo avvenimento politico importante cui partecipò il C. è da attribuire ad un periodo in cui egli aveva superato gli ottanta anni. All'avvento di Cola di Rienzo al potere (maggio 1347), il C. operava come capo delle forze romane contro Corneto. Tornato in città, poiché non riuscì ad esercitare alcuna influenza all'interno del nuovo regime, si ritirò a Palestrina. In seguito tornò a Roma e prestò giuramento di fedeltà al governo cittadino; ma successivamente Cola di Rienzo, convocatolo insieme con altri nobili in Campidoglio, lo fece arrestare, lo condannò a morte e lo tenne prigioniero in isolamento. Dopo il suo improvviso rilascio, il C., secondo l'Anonimo romano, (in L. A. Muratori), riunì 700 cavalieri e 4.000 fanti a Palestrina e con questi prese parte ai combattimentì a Roma (19-20 nov. 1347), che portarono poi Cola alla fuga. Nel combattimento perirono uno dei figli del C., Stefano, e altri Colonna. Il C., invece, sopravvisse fino al 1348 o al 1349. La moglie, da cui aveva avuto sette figli e sei figlie, era morta da tempo, certamente prima del luglio 1327.
Il Petrarca, di cui i Colonna erano protettori, lodò il C., secondo i moduli classici, quale "summum militie decus" e quale esempio di forza d'animo in esilio; scrivendo nel 1343, ricordava il suo aspetto maestoso, la sua voce, la sua fronte, il suo abbigliamento, la sua "vis animi" e la sua "corporis robur". L'Anonimo romano ne parla come di un personaggio leggendario del proprio tempo ("Missore Stefano de la Colonna, lo vegliardo, de la cui bontade ditto ene de sopra"). Certamente il C. ebbe una vita straordinaria nella quale si riflettono gli avvenimenti di sessant'anni di storia romana. Pur continuando la tradizione baronale della sua famiglia a Roma e in Campagna, egli abbandonò saggiamente la causa ghibellina in un periodo in cui gli interventi imperiali in Italia si erano ormai fatti scarsi. Era senza dubbio una persona destinata al comando; dopo aver pagato duramente per l'episodio del maggio del 1297, egli riuscì a riconquistare una grandissima autorità e un enorme prestigio.
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