CHIODO (dal lat. clavus; fr. clou; sp. clavo; ted. Nagel; ingl. nail)
Asticciola per lo più in ferro, di forma allungata, appuntita ad un'estremità e con un ingrossamento, o testa, all'altra estremità.
Fabbricazione. - Esistono molte varietà di chiodi: la maggior parte di esse, nel linguaggio corrente, ha assunto nomi diversi, come punte, semenze, broccame, ribattini, ecc. Il nome generico di chiodo è rimasto a distinguere soltanto pochi tipi, come chiodi fucinati, chiodi da cavallo, chiodi a ribadire.
Chiodi fucinati. - Il tipo classico del chiodo antico corrisponde all'attuale chiodo quadro fucinato o da cantiere, impiegato principalmente nella carpenteria navale ed edilizia. Ha forma di piramide molto allungata a sezione quadrata, con testa variamente faccettata, colore grigio-bruno-azzurrastro caratteristico del ferro fucinato.
Il procedimento di fabbricazione a mano di questo chiodo è rimasto quale si svolgeva nei tempi antichi. L'operaio pone in una fucina un fascio di barrette di diametro leggermente superiore a quello dei chiodi da produrre, che anticamente erano di ferro pudellato (v. acciaio), poi di ferro comune o di "rimpasto" o da "pacchetto", e oggi d'acciaio dolce, cioè con un basso tenore di carbonio. Scaldate le barrette al calor rosso chiaro, l'operaio le preleva una alla volta e sull'incudine con rapidissimi colpi di martello foggia il gambo e la punta del chiodo. Valendosi quindi di un tagliolo o scalpello infisso sull'incudine, taglia il chiodo sbozzato, lasciandolo però attaccato al resto della barretta per un sottile lembo che gli consenta ancora di sostenerlo. Lo infila quindi in uno dei fori di un apposito stampo forato (chiodaia) lasciandone sporgere superiormente una piccola porzione. Stacca allora con qualche piegatura la barretta e con pochi colpi sulla parte sporgente del chiodo forma la testa. L'operazione viene compiuta con grande rapidità prima che il ferro si sia potuto raffreddare.
La fabbricazione a macchina si svolge a freddo, in due fasi, con due macchine distinte, l'una sbozzatrice, l'altra finitrice. La materia prima è quella che serve generalmente per tutti gli altri tipi di chiodi a macchina: acciaio dolce, detto comunemente "ferro omogeneo", con resistenza di rottura di circa 33 a 38 kg., per mmq. che contiene generalmente: carbonio 0.06%; manganese 0.45 circa; fosforo 0.03; zolfo 0.03; silicio tracce. È posta in commercio in rotoli di tondino del diametro di mm. 5 a 6¾ col nome di vergella e di tondo del diametro da 7 mm. a 12 col nome di bordione.
Il filo, introdotto nella prima delle due macchine citate, passa fra alcuni rulli (in genere cinque) sfalsati, che lo raddrizzano togliendogli la curva dell'arrotolatura. Un morsetto azionato automaticamente afferra il filo e lo fa avanzare della lunghezza voluta introducendolo nel vano di una matrice. Questa, serrandosi, trattiene il filo nell'istante in cui una massa battente, recante uno stampo con l'impronta della testa, avanza scorrendo orizzontalmente, spinta da una balestra di legno, e con un sol colpo imprime alla porzione di chiodo sporgente dalla matrice, la forma di piramide schiacciata a 4 facce, detta anche "a 4 colpi" perché nella fucinatura a mano veniva ottenuta con 4 colpi di martello. Vi sono anche altre forme di testa (tonda, piana, ad ali di mosca, ecc.) ma sono meno comuni.
Il chiodo prodotto dalla macchina sbozzatrice, ancora tozzo e privo di punta, viene introdotto nella seconda macchina dove prende posto in un distributore rotante. Per mezzo di speciali rulli o cilindri scanalati viene sottoposto a una specie di laminazione a freddo, che provoca l'allungamento di metà del chiodo determinandone la punta. Nella stessa macchina il chiodo viene contemporaneamente sottoposto all'azione di altri utensili che operano la sbavatura, eliminano cioè il materiale eccedente negli spigoli e completano l'aguzzamento della punta stessa. La coppia di macchine ora descritte produce chiodi di lunghezza da cm. 3 a 15 circa.
Un altro tipo di macchina dà il chiodo con una sola operazione, partendo da vergella (o bordione) trafilata e disossidata in bagno acido (decappaggio). Dopo raddrizzatura, ottenuta con le solite coppie di rulli, il tondo viene fatto avanzare, trascinato da un morsetto, entro una matrice composta di 4 elementi disposti in croce. Questi, serrandosi concentricamente a colpi graduali e progressivi, provocano uno stiramento del gambo del chiodo, imprimendogli la forma di piramide quadra allungata. Un colpo della massa battente orizzontale ricalca l'estremo del chiodo formando la testa. Due coltelli sagomati avanzano lateralmente e staccano il chiodo, dando nello stesso tempo la forma aguzza all'estremità della punta. Queste macchine producono circa da 30 a 60 chiodi al minuto, del diametro di mm. 3 a 6, in lunghezza da mm. 25 a 125 circa.
I chiodi finiti vengono lucidati e sbavati, ponendoli con segatura di legno, in una pulitrice o buratto, costituita da un recipiente a tamburo, di sezione esagonale o ottagonale, rotante intorno al proprio asse orizzontale. Col rotolamento si produce un mutuo sfregamento che stacca le sbavature e rende lucida la superficie dei chiodi. La segatura assorbe l'olio rimasto sui chiodi per l'abbondante lubrificazione delle macchine produttrici.
I chiodi vengono quindi collocati in caldaie di ricottura o muffole e ricotti in forni di riscaldo a circa 800-900° per togliere alla superficie la tinta scura propria dei chiodi fucinati a mano.
Oltre questi, esistono anche chiodi quadri da mm. 150 fino a 400 circa denominati caviglie (termine usato anche per le grosse viti adoperate per assicurare le rotaie alle traversine). Essi sono prodotti esclusivamente con fucinatura a mano per mezzo di piccoli magli.
Analoghi per fabbricazione sono pure i cancani, chiodi aventi anch'essi una sezione quadra piramidale affusolata, ma terminanti, dal lato della testa, con una ripiegatura ad angolo retto, così da formare un gancio. L'estremo del gancio può essere aguzzo, a paletta, o quadro (cancani mozzi). In luogo della punta taluni presentano una breve allargatura ripiegata (zanca).
Chiodi da cavallo. - Sono adoperati per assicurare i ferri agli zoccoli dei cavalli, buoi ed altri animali. Hanno lunghezza da mm. 40 a 80 e testa a piramide tronca di dimensioni molto precise per potersi adattare con precisione al corrispondentf foro piramidale del ferro da cavallo. Il gambo, a sezione rettangolare, termina con una punta smussata da un sol lato, allo scopo di deviare il corso del chiodo nella massa cornea dell'unghia e provocare l'uscita lateralmente, permettendone così la ripiegatura all'esterno. La fabbricazione a mano, ora scomparsa, si effettuava come la fucinatura a caldo dei chiodi quadri. Si adoperava ferro svedese, molto puro e malleabile.
La fabbricazione meccanica ebbe inizio nella Svezia e solo nell'ultimo decennio del secolo scorso i chiodi di questa fabbricazione cominciarono a essere introdotti in Italia.
La lavorazione si compie in due fasi, ad opera di due macchine distinte, l'una preparatrice del chiodo sbozzato, la seconda finitrice. In alcune fabbriche la macchina sbozzatrice ricava il chiodo a freddo, partendo da un laminato di acciaio dolce, di sezione rettangolare, preventivamente trafilato e ricotto. Il filo raddrizzato riceve, dagli elementi della matrice che lo serrano progressivamente, la forma rettangolare allungata del gambo del chiodo. Quindi a pressione uno stampo ricalca l'estremo del chiodo imprimendovi la forma della testa. I chiodi così sbozzati vengono lucidati come è stato descritto, e poi introdotti nella macchina finitrice che, sempre a freddo, completa l'affusolamento del gambo e forma la punta aguzza con smusso da un solo lato. In altre fabbriche invece la macchina sbozzatrice compie la lavorazione a caldo. Il bordione di acciaio dolce introdotto nella macchina viene raddrizzato, quindi, riscaldato elettricamente, viene serrato tra speciali cilindri sagomati che gl'imprimono forma prossima a quella definitiva. I chiodi sbozzati vengono sbavati nel buratto e finiti a freddo con la macchina finitrice. Sono poi sottoposti a un'accurata scelta per eliminare quelli difettosi, nuovamente abburattati per togliere ogni traccia d'olio e renderli lucenti, e quindi confezionati in astucci da kg. 5.
In commercio i chiodi da cavallo vengono distinti con speciali marche (di origine svedese), che precisano il tipo e la forma, e con una scala di numerazione per le lunghezze.
Bullettame o broccame. - I chiodi che vengono applicati sotto le suole e i tacchi delle scarpe son chiamati bullette o brocche; il loro complesso bulletame o broccame. A seconda della diversa forma della testa, le bullette assumono una particolare denominazione: bomberine, bombati, tedeschine, dapoccioni, tacconi, coronati, rigati, 4 colpi, 6 colpi, vittoria, diamantine, zappette, ecc. Secondo la forma del gambo le brocche si distinguono in: a gambo tondo, o quadro ridotto, ottenute per riduzione o forgiatura a freddo del filo (tipo francese, lussemburghese); a gambo tagliato, o tagliente, uso fenice, ottenute per tranciatura del filo (tipo svizzero); a gambo quadro conico uso forgiato, particolarmente adoperate per i tacchi. Le bullette per suola hanno gambo di lunghezza da mm. 7 a 18 circa, quelle per tacco da mm. 12 a 26 circa. Le bullette a zappetta possono raggiungere i mm. 32 circa.
La fabbricazione a mano del bullettame è ormai quasi interamente sostituita dalla fabbricazione meccanica a freddo, salvo che per alcuni tipi di forma speciale, come le zappette o brocche a T.
Le macchine più comunemente usate sono quelle a percussione, a massa battente orizzontale. Viene impiegata la vergella o bordione d'acciaio dolce spesso ricotta, decappata e trafilata (talvolta nuovamente ricotta) ridotta al diametro di mm. 3,5 a 7 circa, a seconda del tipo di brocche da ottenere. Il filo, dopo passaggio fra i rulli raddrizzatori, è trascinato da un morsetto alimentatore (tira-filo) entro la matrice. Questa, serrandosi in due riprese, comprime ed assottiglia il filo riducendolo di spessore fino a ottenere la forma allungata del gambo della brocca (sistema lussemburghese e francese). Una massa battente (martello), spinta orizzontalmente da una balestra di legno, ricalca la testa del chiodo stampandola nella forma voluta. Subito dopo la brocca avanza e due coltelli laterali tranciano la punta. La produzione di tali macchine si aggira fra 60 e 110 brocche al minuto, a seconda del tipo.
Vi sono pure altre macchine, basate sullo stesso concetto ma aventi una massa battente verticale, spinta anch'essa da balestra di legno, che dà il gambo per tranciatura del filo (sistema svizzero).
Un altro tipo di macchine completamente diverso è costituito dalle presse rapide orizzontali che ottengono il ricalcamento della testa delle bullette senza percussione, ma con la sola pressione, sempre a freddo, dello stampo azionato da un eccentrico o da un albero a gomito rotante. Tali presse hanno produzione superiore dal 20 al 40% a quello delle macchine a percussione.
Appena fabbricato, il bullettame viene posto nelle pulitrici con segatura di legno e ritagli di cuoio e vi è lasciato per circa mezz'ora. Per i tipi uso forgiato si ottiene l'abbrunitura sottoponendo le brocche a riscaldamento in appositi fornetti, dopo averle racchiuse in cassette metalliche con riscaldamento. Il bullettame è posto in commercio in pacchi da kg. 5.
Punte di Parigi o di Francia. - I chiodi lucidi, aventi per lo più gambo cilindrico liscio terminante con una breve punta conica, sono denominati punte di Parigi o di Francia o più comunemente punte, talvolta anche punte milanesi. Hanno testa di diverse forme: piana, piana fresata, bombata, conica, a gruppino o a spillo (cioè cilindrica tozza), ecc. La larghezza della testa varia da una volta e mezza a due volte il diametro del gambo nei tipi correnti, per raggiungere le cinque volte circa nei tipi di punte a testa larghissima, destinate ad assicurare le coperture in cartone o tela incatramata o lamiera. Il diametro del gambo varia da mm. 0,5 a mm. 10, la sua lunghezza da mm. 7 a mm. 320 circa.
Le punte sono principalmente usate nei lavori di falegnameria. Alcuni tipi speciali a piccola testa conica o senza testa sono adoperati nella fabbricazione delle calzature (tacchi), altri lunghi e sottili si adoperano in fonderia. Le punte piegate a forma di U aguzze alle due estremità prendono il nome di cambrette e servono per lo più ad assicurare la corda spinosa ai paletti di recinti o reticolati. Vi sono inoltre numerosi altri tipi speciali: a doppia punta, a testa tagliata, con risalto, ecc. Un gruppo, nettamente distinto dagli altri, è costituito dalle punte alle quali viene applicata un'ulteriore testa, più grande, generalmente di ottone, lucida o decorata. Tali punte, denominate borchie, vengono adoperate per lo più in lavori da tappezziere.
La materia prima per la fabbricazione delle punte è, per i tipi piccoli il filo (ricavato per trafilatura della vergella di acciaio dolce) e per i tipi più grossi il bordione anch'esso trafilato. La trafilatura e le ricotture devono essere condotte in modo che il materiale risulti sufficientemente rigido perché la punta non abbia a piegarsi troppo facilmente nell'uso, ma di malleabilità sufficiente per consentire la stampatura della testa, specie nei tipi a testa larga.
Le punte vengono fabbricate esclusivamente a macchina e a freddo. Come per alcuni tipi di chiodi già descritti, vi sono due specie di macchine: a percussione e a pressione.
Nelle macchine a percussione il filo proveniente da un aspo, posto presso la macchina, entra nella macchina stessa fra rulli raddrizzatori. Un morsetto tira-filo, mosso a leva, fa avanzare il filo della lunghezza necessaria introducendolo fra le due morse aperte costituenti la matrice. Quindi le morse, azionate da due robuste leve laterali, si chiudono, serrando fortemente il filo nell'apposito incavo. Un massa battente (martello) scorre orizzontalmente spinta da una balestra di legno, percuote l'estremità sporgente del filo e lo ricalca formando la testa. Poscia il chiodo avanza e due coltelli laterali, opportunamente sagomati, si chiudono tranciando la punta. Tanto le leve azionanti le morse, quanto i coltelli e gli altri organi in moto sono comandati da camme calettate sull'albero motore centrale della macchina stessa. Per la formazione di punte a testa piatta molto larga, sono necessarie due percussioni successive, con macchine speciali.
Nelle macchine a pressione, il pattino porta-martello, invece che da una balestra di legno, è spinto da una biella, azionata da un albero a gomito. In tal modo il movimento, specialmente di ritorno, può avvenire più rapidamente e la produzione è notevolmente superiore. Così, mentre le macchine a percussione possono produrre, ad esempio, 110 punte al minuto del diametro di mm. 3,8, quelle a pressione ne producono 200 circa al minuto.
Esistono anche tipi di macchine, meno diffuse, che ricavano le punte tranciandole da strisce di lamiera di ferro, completandole con operazioni analoghe a quelle delle altre macchine già descritte.
Ultimata la fabbricazione, le punte vengono pulite col sistema descritto e quindi confezionate in pacchi da kg. 5, e contraddistinte da una speciale scala di numerazione.
Semenze. - Con tale denominazione sono indicati i piccoli chiodi dal gambo a piramide quadra molto allungata, a testa piatta, che vengono adoperati nella fabbricazione delle calzature (montaggio delle tomaie, ecc.). La lunghezza delle semenze varia da mm. 6 a mm. 22 circa (compresa la testa); la scala di numerazione delle diverse dimensioni è data dalle stesse lunghezze espresse in millimetri. La larghezza della testa della semenza è di circa una volta e mezza il gambo, misurato immediatamente sotto la testa stessa.
Vi sono due tipi di semenza: a mano e a macchina. Il primo si adopera nella fabbricazione a mano delle calzature, ed essendo ricavato dal filo di ferro ramato, conserva anche nella semenza finita, una tinta rame. Il tipo detto a macchina, adoperato nella fabbricazione meccanica delle calzature, si presenta invece di colore bruno-azzurrino (abbrunito o ossidato).
Nella fabbricazione viene adoperato, come materia prima, il filo d'acciaio dolce, ramato o non, di mm. 0,9 a 1,8 circa, a seconda delle dimensioni delle semenze da ottenere; talvolta anche l'ottone.
La caratteristica principale delle macchine da semenza risiede nel sistema di morse costituenti la matrice (scatola) e comprendente quattro elementi (pressioni) disposti in croce. A differenza delle macchine per punte, il filo subisce, in luogo di uno, tre avanzamenti successivi per ogni chiodino, a cui corrispondono tre schiacciamenti concentrici delle pressioni, che dànno al filo la forma affusolata del gambo della semenza. Il porta-martello che opera il ricalcamento della testa è mosso da molle metalliche o da una biella azionata da albero a gomito. I consueti due coltelli laterali, tranciano la punta delle semenze già finite di testa e di gambo.
La produzione delle macchine s'aggira da kg. 0,5 a kg. 2 all'ora, a seconda delle dimensioni delle semenze.
Le semenze a mano vengono pulite in buratto con segatura di legno, quindi separate per stacciatura. Le semenze a macchina dopo accurata scelta vengono abbrunite mediante riscaldamento in un recipiente chiuso, ruotante.
Oltre che dal filo la semenza può venir fabbricata, mediante speciali macchine, dalle strisce di lamierino o nastro laminato a freddo. In tal caso il gambo presenta la forma quasi conica, (invece che piramidale) e con punta affilatissima.
Le semenze sono messe in commercio confezionate in scatole da kg. 1 (compreso il peso della scatola).
Analoghe per forma alle semenze sono le sellerine; ne differiscono soltanto per le maggiori dimensioni. Esse sono usate in lavori da tappezziere. Hanno lunghezza di mm. 6 a 30 circa e larghezza di testa di 3 volte il diametro del gambo, misurato sotto la testa. Le macchine per la produzione delle sellerine sono del tipo a percussione, in tutto simili a quelle per la semenza, salvo che hanno massa battente azionata da balestra di legno.
Ribattini o rivetti. - Chiodi da ribadire o ribattere (chiodi da caldaia) sono i chiodi con i quali vengono connessi, in modo stabile, gli elementi delle costruzioni metalliche. Hanno testa piana, o tronco-conica, o più comunemente semisferica, larga una volta e mezza a due volte il diametro del gambo, che è cilindrico e privo di punta. I ribattini son fabbricati a freddo fino al diametro (di gambo) di mm. 13 a 15 circa. In diametri superiori vengono fabbricati a caldo e si chiamano generalmente chiodi a ribadire.
Per la fabbricazione dei ribattini a freddo si adoperano vergella o bordione di acciaio dolce, sottoposti a un passaggio almeno di trafila; per i chiodi a caldo, barre diritte di tondo, anch'esse d'acciaio dolce, gregge di laminazione.
La fabbricazione dei ribattini si effettua a mezzo di presse orizzontali analoghe a quelle usate per gli altri tipi di chiodi. In esse il tondo, raddrizzato dal passaggio fra la serie dei consueti appositi rulli, viene fatto avanzare da un morsetto tira-filo oppure, in alcuni tipi, da una coppia di ruote che lo serrano fra di loro. Vi sono macchine in cui il tondo viene spinto direttamente entro la matrice e questa, spostandosi lateralmente, col proprio orlo tagliente stacca il tondo dal resto della barra. In altri tipi invece il taglio avviene prima dell'introduzione nella matrice, ad opera di apposito coltello sagomato che avanza lateralmente. Una pinza unita al coltello afferra la barretta appena tagliata e la introduce nel foro della matrice. Questa può essere di due tipi: chiusa, cioè formata da un sol blocco d'acciaio con foro centrale, oppure aperta, cioè formata da due parti (cuscinetti) che vengono fortemente serrate fra loro a mezzo di due grandi cunei laterali, esterni, mossi dallo stesso albero motore della macchina. Il tipo di matrice chiusa è usato generalmente nella fabbricazione di ribattini che richiedono grande precisione di forma sotto la testa.
I ribattini fabbricati a freddo vengono poi generalmente sottoposti a ricottura, in cassette, lasciandoli raffreddare lentissimamente per evitare ogni rincrudimento, e infine puliti.
La fabbricazione a caldo dei chiodi a ribadire viene effettuata a mezzo di presse verticali (bilancieri). Il tondo d'acciaio dolce in barre viene tagliato in tante porzioni della lunghezza del gambo aumentata del tratto da cui verrà ricavata la testa. Tali cilindretti vengono collocati in appositi piccoli forni in modo che una sola estremità venga riscaldata al calore rosso arancio (900°-1000° circa). I fornetti, riscaldati a carbone, a nafta o elettricamente, sono posti in immediaia vicinanza della pressa per evitare il raffreddamento del ferro nel passaggio dal forno alla pressa stessa.
Con pinza a mano le barrette scaldate vengono tolte dal forno e rapidamente introdotte, una per volta, nel foro della matrice (chiusa) lasciando sporgere al disopra la parte calda. Immediatamente lo stampo, o punzone, con l'impronta della testa, viene fatto scendere ed opera il ricalcamento formando la testa stessa. In seguito il pistone si risolleva e dal fondo della matrice sale un estrattore a spina espellendo il chiodo. La matrice viene mantenuta fredda da un opportuno getto d'acqua continuo.
Il chiodo così prodotto presenta generalmente un'eccedenza di materiale (bava) sporgente dall'orlo della testa. Viene allora posto sotto un'altra pressa sbavatrice che, a freddo, trancia esattamente il contorno della testa.
Analoga alla fabbricazione a caldo dei chiodi a ribadire è quella degli arpioni. Vengono così denominati i grossi chiodi, con sezione quadra, testa rettangolare o a becco, punta a scalpello. Erano usati per assicurare le rotaie alle traversine di legno, ma oggi sono stati quasi completamente sostituiti dalle caviglie a vite.
Gli arpioni si fabbricano partendo da barre d'acciaio dolce a sezione quadrata - o da apposito laminato (piatto a nodi) - previamente tagliate su misura, quindi riscaldate in piccoli forni. Una pressa ricalca l'estremità riscaldata delle barrette, formando la testa. Dopo un nuovo riscaldo all'estremità del gambo, con maglietti multipli, è formata la punta piatta a forma di scalpello.
Produzione. - La fabbricazione dei chiodi è diffusissima nei paesi che hanno grande produzione di ferro e acciaio, specialmente negli Stati Uniti, in Germania, Inghilterra, Francia e Belgio. Grandi esportazioni di chiodi fanno gli Stati Uniti, su quasi tutti i mercati sudamericani e asiatici, e la Germania, che rifornisce specialmente l'Inghilterra, alcuni paesi dell'Europa continentale e, per certi tipi, anche gli Stati Uniti.
In Italia la fabbricazione è abbastanza sviluppata e può sopperire largamente al consumo interno per quasi tutti i tipi. Fu iniziata prima manualmente nelle alte valli piemontesi (Val di Lanzo, ecc.), in Liguria, Lombardia, Trentino, Toscana, Lazio, Campania, ed esercitata in piccole officine o addirittura da artigiani isolati nei periodi invernali, durante la sospensione dei lavori di campagna. Fin dalla metà del secolo scorso, fu però gradualmente sostituita dalla lavorazione a macchina, che oggi ha luogo a Figino Serenza, Gardone Valtrompia, Pinerolo, Bricherasio, Vobarno, Abbiategrasso, Colle val d'Elsa, Pisa, Pistoia, S. Giovanni Valdarno, Roma, Napoli. La produzione di chiodi fucinati a mano e a macchina si valuta in tonn. 2000-2500 e ricopre largamente il consumo, che va decrescendo col diminuire della trazione animale dei veicoli. Le fabbriche esistenti, di potenzialità molto superiore al consumo, cercano d'integrare il lavoro con l'esportazione, che è ostacolata però dalla forte concorrenza estera. La produzione di broccame si aggira intorno alle tonn. 3600 annue; è data da una quindicina di fabbriche, di cui le maggiori (11) sono riunite in consorzio di vendita. La produzione di punte si aggira intorno alle tonn. 35.000-40.000; quella di semenza fra 3500 e 4000; di sellerine fra 800 e 1000. La produzione di ribattini e chiodi a ribadire non è valutabile perché oltre la produzione delle fabbriche vi è quella dei cantieri navali e delle officine per il consumo diretto, di cui non si conosce il quantitativo.
Bibl.: R. Papier, Étude sur la tréfilerie et ses dérivés, II: Fabrication des pointes, clous, rivets, Parigi 1928; A. Frascio, La lavorazione del filo metallico e la fabbricazione di tutti i prodotti che ne derivano, Milano 1929.
architettura. - Nell'architettura del legno il chiodo deve essere usato con la maggior accuratezza, non solo perché è elemento essenziale della costruzione, ma anche perché nelle chiodature, per la resistenza e per l'economia, conviene sia disposto secondo regolari figure geometriche ed è, pertanto, ben visibile nella maggior parte dei casi.
L'architettura navale dell'antichità presenta grande varietà di tipi: dai chiodi della grossezza di un dito pollice (Cesare, De bello gallico, III, 19 segg.), a quelli di svariatissime e ingegnosissime fogge testé venuti alla luce durante il recupero della nave imperiale di Nemi. È da notare come le chiodature abbiano sovente suggerito eleganti motivi decorativi alle arti minori, nell'oreficeria specialmente. Omero parla esplicitamente di chiodi le cui teste servivano d'ornamento; analoga sicura testimonianza è fornita dalle vestigia dell'arte caldaica, egiziana, etrusca, dalle raccolte del Museo nazionale romano e dagli esempî di porte chiodate custodite nel Museo di Pompei o rinvenute negli scavi di Ercolano.
Durante tutto il Medioevo l'uso del chiodo come elemento decorativo è fiorentissimo. Basti ricordare i chiodi del portale del duomo di Trani cesellati da Barisano; quelli che, opera dello stesso artefice, ornano il portale del duomo di Ravello, o quelli del duomo di Monreale, opera di Bonanno da Pisa: e non mancano fuori d'Italia mirabili analoghi esempî: quali, p. es., le teste dei chiodi, o, per meglio dire le capsule che le coprono, del sec. XII, della cattedrale di Augusta in Baviera.
Dal sec. XIII in poi, la necessità di render più estesa la superficie metallica del chiodo a contatto con la parete genera un'infinita varietà di piastre o rondelle (nel sec. XV se ne trovano anche due o tre per ogni chiodo) che, mentre con la loro curvatura esattissima rappresentano una vera meraviglia di tecnica costruttiva, forniscono complesse figure a raggiera o a fiorami completate nel centro dalla testa sporgente del chiodo. Ma i più celebri fra i chiodi usati come decorazione sono forse quelli dell'epoca romana che ornano il portale del Pantheon, e quelli seicenteschi associati agli ornati antichi della porta di bronzo della Curia Ostilia portata a S. Giovanni in Laterano da Alessandro VII, che - nota il Crescimbeni - sono foggiati a "forma di ghiande e di stelle, parti dell'arma di quel pontefice". Né si può tacere l'importanza che l'arte araba e, quindi, l'arte spagnola annettono ai chiodi come elemento decorativo. I citati portali di Trani, Ravello e Monreale ne costituiscono una prova; ma più evidente esempio fornisce la porta maggiore della moschea di al-Ḥasan (Cairo), i cui chiodi hanno forma di poligoni stellati e di rosoni poligonali inscritti in circoli, emergenti sull'intrico finissimo della decorazione del fondo; e i chiodi grossi e rotondi in foggia di medaglioni o borchie della porta esterna della madrasah di Barqūq (Cairo); e quelli delle porte di Toledo, Segovia, Avila, Salamanca, Barcellona, Guadalajara, quasi tutti formati di due parti distinte: il chiodo vero e proprio e la testa staccata, avente funzione soltanto decorativa.
Maggiore importanza ha il chiodo nella storia dell'architettura. Le gocce pendenti sotto i triglifi dell'architrave dell'ordine dorico, altro non sono se non la stilizzazione dei chiodi, che nei primitivi edifici in legno fissavano i travi longitudinali a quelli inclinati del tetto.
È superfluo aggiungere come anche oggi largo sia l'uso di chiodi ornamentali nelle strutture in legno; basterà ricordare che nei capitolati d'appalto la diversa disposizione dei chiodi nelle porte (a rombi, o a rettangoli o a triangoli) - anche nei casi più modesti - costituisce differenza di valore e di prezzo per l'intero manufatto.
Bibl.: S. Serlio, Tutte l'opere d'architettura, rist. a cura di G. D. Scamozzi, Venezia 1600; G. Viollet-le-Duc, Diction. raisonné de l'architect. franç., Parigi 1854-69; L. Fubini, L'architett. del ferro, L'architett. del legno, Milano 1882; G. Saladin e G. Migeon, Manuel d'art musulman, II, Parigi 1907; G. Giovannoni, Lez. di elem. delle fabbriche, Roma 1921; S. Ortolani, S. Giov. in Laterano, Roma 1924; P. Toesca, St. dell'arte it., I, Torino 1927.
Folklore. - Diffusissime sono nel folklore dei varî popoli le usanze dipendenti dalla credenza che il chiodo possa agire in senso benefico o malefico. In Germania, durante la guerra mondiale, una colossale statua del maresciallo Hindenburg venne coperta di chiodi, con un significato evidentemente propiziatorio; in varie regioni d'Italia (Abruzzi, Campania, Toscana, Piemonte, Sicilia) chiodi di varie fogge sono portati come amuleti; in altri luoghi (Castiglione d'Intelvi; provincia di Perugia) si configgono chiodi a scopo rituale, per esprimere un voto; altrove il chiodo viene confitto per esercitare una malia o fattura, con intenzioni malefiche. Tali usanze costituiscono sopravvivenze di uno stadio di religiosità primitivo, largamente attestato presso popoli selvaggi e nell'antichità classica. Così il chiodo veniva conficcato nella cerimonia della clavifixio o conficcagione del "chiodo annale" (v. sotto). Ma cerimonie di clavifixio venivano compiute anche nel santuario della dea Nortia nell'etrusca Volsinii e in altre località. Della conficcagione del chiodo a scopo malefico sono invece esempio le notissime Tabellae defixionum. È possibile distinguere il momento in cui il chiodo viene usato a scopi puramente magici, per concentrare o allontanare la sacralità, da quello più propriamente religioso, in cui il chiodo stesso diviene uno strumento sacro, atto a essere offerto alla divinità, o usato a scopo di protezione: e da ciò deriva l'uso del chiodo come amuleto, p. es., contro la febbre quartana (Plinio, Nat. Hist., XXVIII, 4).
Bibl.: A. de Montagu, in Atti del I congresso naz. delle trad. popol., Firenze 1930, p. 197 segg., con bibl.
I clavi annales. - Si disse dai Romani clavus annalis il chiodo che si conficcava ogni anno nelle pareti degli edifici sacri allo scopo (Festo, s. v.) di poter calcolare il numero degli anni trascorsi. Apprendiamo da Livio (VII, 3; cfr. VIII, 12 e 18; IX, 28 ecc.) che ogni anno, alle idi di settembre, il pretore massimo configgeva con grande solennità un chiodo sulla parete del lato destro del tempio di Giove Capitolino, della parte dedicata a Minerva. Il costume naturalmente decadde man mano che diveniva comune l'uso della scrittura. Restò però molto a lungo presso i privati illetterati e nelle campagne (cfr. Petronio, Satyr., 59).
L'atto ufficiale del configgere chiodi nelle pareti del tempio di Giove Ottimo Massimo, aveva in realtà, in origine, un valore espiatorio (v. sopra): due volte, secondo Livio, fu creato dal senato un dittatore clavi figendi causa allo scopo di allontanare una grave pestilenza. Altra volta, sempre secondo la tradizione, fu eletto un dittatore per configgere un clavus affinché la divinità riducesse alla ragione alcune matrone che si erano date, più per esaltazione mentale che per scelleratezza, ai venefici.
Bibl.: Th. Mommsen, Röm. Chronologie bis auf Casar, 2ª ed., Berlino 1856, p. 178 segg.; H. Matzab, Röm. Chronologie, Berlino 1993, I, pp. 236-242; A. Bouché-Leclercq, Manuel des instit. rom., Lovanio 1882, p. 87, n. i; I. Beloch, Röm. Gesch., Berlino 1926, p. 36 segg.; Favaro, Il dictator clavi figendi causa, in Atti del I Congr. di studi rom., Ii, Roma 1928, p. 223 seg.