Chiese Cristiane
di Giuseppe Alberigo
Il contesto mondiale nel quale operano le C. c. appare all'inizio del nuovo millennio profondamente mutato. La modificazione politico-ideologica più vistosa riguarda la caduta del muro di Berlino (1989) con la conseguente disgregazione dell'Unione Sovietica e il tramonto dell'ideologia marxista e comunista. Ciò ha innescato o accelerato immense conseguenze in tutto il pianeta: dall'incontrastata egemonia degli Stati Uniti alla globalizzazione economica, scientifica e tecnologica, dalla comparsa del terrorismo politico al progresso della secolarizzazione, accompagnato tuttavia da una ripresa di sensibilità religiosa, con venature mistiche. La modernizzazione culturale e lo sviluppo industriale e tecnologico asiatico - soprattutto in Cina e in India - hanno aperto scenari nuovi, anche dal punto di vista culturale e spirituale. A sua volta l'incalzante processo dell'Unione Europea ha fatto passi decisivi, intensificando gli scambi tra il centro del continente e le aree orientali, mentre la Gran Bretagna oscilla tra l'isolamento, attratta più che mai dagli Stati Uniti, e una maggiore integrazione continentale.
Al contrario, la situazione sociale in America Latina e, soprattutto, in Africa sembra stagnare o è caratterizzata da minor dinamismo. Il contesto della società globale ha accentuato l'egemonia del modello statunitense e dell'economia di mercato, aggravando gli squilibri, resi più acuti dall'inatteso protagonismo del terrorismo, usato da ambienti di islamismo estremo come strumento ideologico su scala mondiale. I processi di trasformazione delle società, che da monoreligiose sono divenute multireligiose, si sono generalizzati e accelerati. Si delinea un 'euroislam' di considerevoli proporzioni quasi completamente inedito, mentre la religione civile appare in declino proprio nella sua patria: il continente europeo.
I temi di maggiore interesse pubblico appaiono quelli delle difficili e dibattute relazioni tra morale e bioetica, quello della legittimità dell'immolazione e del martirio volontari, che le culture orientali prima e l'Islam poi hanno introdotto in tutto il globo. Il tramonto delle ideologie ha smitizzato il confronto tra povertà e ricchezza, che tuttavia non ha perso di drammaticità, determinando immense migrazioni umane.
Da un punto di vista propriamente religioso sembra farsi strada un apprezzamento della preghiera come incontro comune e atteggiamento neutrale tra attitudini di fede diverse, quando non in conflitto. All'inizio del millennio il quadro complessivo delle C. c., prevalentemente ricco di elementi di continuità, presenta anche alcune significative novità. La maggiore attiene al tipo di relazioni che intercorrono tra le grandi confessioni (cattolico-romana, ortodossa, protestante, anglicana): la secolare ostilità che le contrapponeva appare in via di superamento come effetto del movimento ecumenico, che dal 19° sec. ha promosso un rapporto di fraternità ('Chiese sorelle') piuttosto che di opposizione. Vi sono inoltre alcune novità assolute: la fine dell'eurocentrismo e la scomparsa dei regimi sovietici. Tutte le Chiese sono presenti in ogni continente e, soprattutto, quelle europee e occidentali non godono più di egemonia culturale né organizzativa, né i loro fedeli numericamente costituiscono la maggioranza degli aderenti. Gli effetti di questa dimensione inedita della globalizzazione sono ancora di difficile discernimento, ma non è avventato prevedere la formazione di equilibri nuovi sia dal punto di vista dottrinale sia per quanto riguarda gli assetti strutturali delle Chiese stesse, nonché gli orientamenti spirituali. Un dibattito singolare - di ispirazione prevalentemente nostalgica - ha riguardato le radici cristiane dell'Europa in vista della loro menzione o meno nella nuova carta costituzionale continentale. Un aspetto che sembra anticipare questa fisionomia globale è costituito dall'alleanza con la modernità (cultura, scienza, tecnologia, sviluppo ecc.), che - sotto l'impulso prevalente delle Chiese extraeuropee - ha portato all'abbandono della diffidenza e dell'ostilità del cristianesimo nei confronti dei fattori tipici della cultura moderna: scienze, organizzazione democratica, diffusione generalizzata dei beni e delle conoscenze.
Con la caduta del muro di Berlino, prima, e poi con lo sgretolamento dell'Unione Sovietica e dei regimi satelliti dell'Europa orientale (non senza conseguenze anche in altri continenti e soprattutto in Cina) la condizione delle C. c. in quei Paesi ha subito una drastica modificazione. È scomparso, dopo decenni, l'ateismo di Stato e la condizione giuridica come quella culturale del cristianesimo è profondamente mutata. Corrispondentemente, il ruolo centrale giocato durante il 20° sec. dall'aspro confronto ideologico e, soprattutto, dall'anticomunismo è bruscamente tramontato, liberando alcuni e lasciando altri, invece, privi di un'efficace arma polemica. Le Chiese e i credenti hanno ottenuto libertà, dignità, restituzione dei beni confiscati e, spesso, una condizione privilegiata soprattutto nelle relazioni con i poteri politici, riallacciandosi all'antica precedente tradizione. Pertanto nel nuovo millennio il cristianesimo ortodosso si presenta come la matrice culturale fondamentale di gran parte delle società dell'Europa centro-orientale e balcanica. La novità emersa tra la fine del 20° sec. e l'inizio del 21°, in concomitanza con la transizione di quelle società all'epoca postcomunista, è il ritorno prepotente della tradizione religiosa e culturale ortodossa nel dibattito pubblico, sia nei Paesi europei orientali sia a livello internazionale. Dopo decenni di netta e sofferta marginalizzazione, le stesse Chiese ortodosse tramite i loro rappresentanti - patriarchi, vescovi, preti, teologi - riscoprono un ruolo culturale e sociale che in molti casi le porta a intervenire in modo diretto e significativo nelle dinamiche socioculturali e anche politiche in atto nelle rispettive società, seppure con toni ed esiti differenziati a seconda dei Paesi. La fine dei governi comunisti in Unione Sovietica e negli altri Paesi dell'Europa orientale ha infatti avuto almeno due grandi conseguenze sul piano culturale, che incideranno sul lungo periodo: da un lato la ripresa di molteplici contatti e relazioni con i Paesi dell'Europa occidentale e con il resto del mondo, dall'altro la necessità e la volontà di recuperare la propria tradizione culturale, che decenni di politica di ispirazione marxista avevano cercato di sradicare. Il comune denominatore di entrambe queste nuove dinamiche è costituito dall'urgenza di gestire la transizione postcomunista in termini culturali, ricollocandosi in una prospettiva europea.
Appare, comunque, comune a tutte le C. c. una crisi del personale sacerdotale, che si è ridotto drasticamente di numero, mettendo in discussione il secolare assetto parrocchiale basato sull'autonomia di comunità territoriali relativamente piccole di fedeli con la guida di un parroco/pastore. Tale crisi ha l'effetto di promuovere una crescente responsabilizzazione dei credenti comuni (laici). Ciò ha diretta connessione con una problematica che attraversa tutte le Chiese, sia pure con accenti, tempi ed esiti diversi: la necessità di una riconsiderazione approfondita della sinodalità/conciliarità, intesa come riconoscimento di rilievo formale a momenti assembleari delle comunità che siano, pertanto, la sede propria per adottare orientamenti e decisioni di portata generale, secondo l'antico principio per cui ciò che riguarda tutti, deve essere deciso da tutti.
È ancora forte anche l'interesse delle Chiese per i problemi sociali, che genera elaborazioni rinnovate della dottrina sociale, malgrado il tramonto delle ideologie. Direttamente connessa con tale attenzione appare l'intensa insistenza delle stesse Chiese sulle problematiche morali (morale sessuale, eugenetica, biologia ecc.), mentre restano in secondo piano i problemi dottrinali o spirituali.
Dopo il tramonto della secolare stagione coloniale, anche l'attività missionaria delle C. c. ha subito un ridimensionamento, accelerando l''indigenizzazione' dello stile e del personale impegnato nella presentazione del messaggio cristiano. Superando progressivamente gli assetti provvisori (prefetture apostoliche) utilizzati durante il regime coloniale, si sono moltiplicate nel Terzo mondo le diocesi cristiane, analogamente a quanto avveniva da secoli in Europa, come anche le istituzioni culturali che in Africa e in India provvedono alla formazione degli ecclesiastici. La Chiesa cattolico-romana ha ampliato la composizione del Collegio cardinalizio, comprendendovi numerosi esponenti di questi continenti, così come il Consiglio Ecumenico delle Chiese (World Council of Churches, WCC) di Ginevra ha eletto alle massime responsabilità ecclesiastici di tale provenienza.
Chiesa cattolico-romana
Dato il rilievo del papato, la Chiesa cattolica entra nel 21° sec. con l'elezione a vescovo di Roma nell'aprile 2005 di Benedetto XVI, il cardinale tedesco J. Ratzinger, a successore del polacco Giovanni Paolo II, confermando il superamento della secolare tradizione italiana nella scelta dei successori di Pietro, pur senza uscire dall'area europea. Anche questo nuovo pontificato si apre nel quadro della applicazione/ricezione da parte del cattolicesimo degli orientamenti (aggiornamento, pastoralità) espressi dal Concilio Vaticano ii (1962-1965) e delle decisioni conciliari. Il processo di lungo periodo dell'assimilazione di tali orientamenti da parte delle comunità cattoliche è necessariamente differenziato, condizionato dalle diversità dei contesti sociali, culturali e spirituali nei quali vivono le varie parti del cattolicesimo stesso. Il cattolicesimo europeo, che nella versione franco-tedesca aveva giocato un ruolo trainante durante il 20° sec. e soprattutto nel Concilio Vaticano ii, appare appannato, forse anche come conseguenza del lungo pontificato polacco. La Chiesa statunitense è stata scossa dalle fondamenta dalla 'bufera pedofila', che ha coinvolto tanta parte del clero e ha traumatizzato milioni di fedeli. L'episcopato, da parte sua, è rimasto incapace di una reazione sana e forte, lasciando incancrenire la crisi con devastanti conseguenze, anche di natura economica. Nel continente latino-americano i fenomeni imponenti delle comunità di base e della teologia della liberazione, prima elaborazione dottrinale autoctona di quelle culture, hanno svolto una funzione di adeguamento di quel cattolicesimo allo spirito del Concilio Vaticano ii, frenato tuttavia dagli interventi romani e dalla politica di nomine episcopali normalizzatrici. In Asia e in Oceania le indicazioni del Concilio Vaticano ii sono filtrate in modi meno vistosi, ma non meno in profondità. L'evoluzione politica cinese sembra orientare quel Paese a una graduale normalizzazione dei rapporti con la Chiesa cattolica e ad avviare relazioni diplomatiche con la Santa Sede. In Africa, malgrado la drammatica condizione economico-sociale, la Chiesa affronta con coraggio e creatività il confronto con le culture locali e con il fenomeno delle Chiese libere. I Sinodi continentali promossi dalla Santa Sede per ciascun continente nel momento del passaggio al nuovo millennio si collocano anch'essi nella scia del Concilio Vaticano ii, anche se hanno avuto impatti ancora difficili da decifrare.
Un elemento ricorrente di questa ricezione degli impulsi espressi dal Concilio Vaticano ii è l'importanza assunta dalla conoscenza della Bibbia nella vita individuale ed ecclesiale dei cattolici, al di là dell'ostracismo secolare determinato dalla reazione tridentina al sola Scriptura di origine luterana. Nella spiritualità personale, nell'approfondimento dottrinale, nella predicazione la sovranità della Sacra Scrittura (Parola di Dio) sulla Chiesa appare come la maggiore novità del cattolicesimo; un processo in atto le cui conseguenze sono ancora incerte. Considerevoli novità riguardano anche le celebrazioni liturgiche, a cominciare dall'introduzione generalizzata delle lingue materne in luogo del latino, che ha suscitato, soprattutto nelle generazioni meno giovani, perplessità e reazioni. Di ciò si è fatto interprete il vescovo francese M. Lefebvre, il quale ha impostato sul rifiuto della riforma liturgica una più ampia polemica nei confronti del Concilio Vaticano ii, incorrendo nella scomunica romana.
Dal punto di vista delle strutture ecclesiastiche la Chiesa cattolica ha conosciuto nella seconda metà del 20° sec. un inedito protagonismo papale veicolato dai media, utilizzati con grande spregiudicatezza. Facendo leva sulla notorietà e il prestigio così acquistati, papa Wojtyla ha introdotto alcune novità significative nel cattolicesimo. Anzitutto ha realizzato una mobilità prima sconosciuta, mediante una serie ininterrotta di viaggi presso le Chiese nei diversi continenti. Ciò ha avviato, almeno embrionalmente, il ridimensionamento della centralità di Roma, ma al tempo stesso ha ridotto drasticamente l'impegno del papa nel governo ecclesiastico, fatalmente sempre più delegato alla Curia. Un'altra novità è stata costituita dal solenne riconoscimento da parte di Giovanni Paolo ii del peccato della Chiesa o, quanto meno, di esponenti ecclesiastici, superando l'atavica 'irresponsabilità' dell'universo ecclesiastico. Ancora, con incontri presieduti personalmente dal pontefice, le relazioni interreligiose sono state normalizzate, rispetto all'abituale attitudine polemica, anzi sono state valorizzate, malgrado serpeggianti sintomi di intolleranza. In particolare ha avuto sviluppi positivi il rapporto del cattolicesimo con l'ebraismo ('fratelli maggiori'), soprattutto come conseguenza della posizione presa dal Concilio Vaticano ii. Infine, riprendendo un accenno di Paolo vi, Giovanni Paolo ii ha enunciato formalmente la disponibilità del papato romano a considerare la possibilità di modifiche nelle modalità di esercizio delle responsabilità centrali del cattolicesimo (primato del papa), secondo una nota istanza ecumenica, disponibilità confermata solennemente da Benedetto xvi. Nel 1999 l'Accordo sulla dottrina della giustificazione, sottoscritto ad Augusta tra cattolici e protestanti, ha composto una lacerante controversia postridentina, lasciando peraltro immutata - almeno immediatamente - la preesistente impermeabilità reciproca delle confessioni. Nel maggio 2000, con la presidenza del responsabile del Consiglio romano per l'unità dei cristiani - cardinale E. Cassidy - e dell'arcivescovo anglicano di Canterbury - sua grazia G. Carey -, la tenace quanto intelligente sollecitazione di uno dei protagonisti dell'ecumenismo - il domenicano J.-M. Tillard - ha portato all'incontro di Toronto in Canada. Dopo le dolorose disavventure più che decennali della Anglican-Roman Catholic International Commission (ARCIC), si è realizzato un incontro ecumenico tra vescovi e non più solo tra teologi. Così l'ecumenismo usciva dall'ambito teorico, puramente dottrinale, per divenire elemento della Chiesa. Vi è stata approvata non solo una Dichiarazione, ma anche un Piano d'azione: entrambi ispirati dalla proposta di prevedere una koinonia intermedia. Tuttavia anche questo progetto è stato disapprovato e respinto dalla romana Congregazione per la dottrina della fede. In rapporto alle relazioni intercristiane, vi sono stati inoltre atti contraddittori: alcuni interessanti come l'incontro, il 7 maggio 2001, tra Giovanni Paolo ii e il patriarca Gregorio iii a Damasco, altri sconcertanti come la nomina di vescovi cattolico-romani per aree russe che fanno parte di diocesi ortodosse, suscitando grave disappunto nella Chiesa ortodossa russa. Infine, periodicamente si torna a parlare della creazione da parte di Roma di un Patriarcato ucraino uniate. Il Segretariato per l'unità è stato riassorbito nell'ex Sant'Uffizio - sia pure ridenominato Congregazione per la dottrina della fede - contraddicendo lo stesso significato originario dell'atto con il quale Giovanni xxiii l'aveva creato nel 1960, introducendo il cattolicesimo nel processo di riunificazione dei cristiani.
Soprattutto a partire dalla seconda metà del 20° sec., in seno al cattolicesimo si sono sviluppati movimenti spirituali (Opus Dei, Focolarini, Comunione e liberazione, Sant'Egidio ecc.) che hanno conosciuto una grande diffusione. Questi movimenti, a composizione prevalentemente giovanile, si sono dati una struttura internazionale, intorno a un fondatore o a un capo. Essi sono stati favoriti da simpatie romane, malgrado diffidenze e ostilità da parte della struttura ecclesiastica tradizionale (vescovi e parroci). Di queste iniziative hanno sofferto l'Azione cattolica e le altre analoghe tradizionali espressioni organizzate del laicato cattolico.
Il governo ordinario della Chiesa cattolica è stato caratterizzato dalla inconsueta durata del pontificato di Giovanni Paolo ii (1978-2005), durante il quale si sono consolidate alcune linee guida destinate a influenzare il cattolicesimo, anche al di là della conclusione dello stesso pontificato. Anzitutto i criteri di scelta dell'episcopato - segnato anche da una considerevole crescita numerica - appaiono guidati dalla ricerca di profili spirituali e culturali piuttosto bassi, con una preferenza per ecclesiastici di modesta personalità, ma disponibili ad atteggiamenti di incondizionata adeguazione alle direttive della Curia romana. Questo orientamento sembra suggerito dalla preoccupazione di controllare e spegnere i sintomi di iniziative personali, che si erano manifestati tra i vescovi dopo la ricca esperienza conciliare. La fisionomia organizzativa dell'episcopato è stata considerevolmente modificata dalla formazione generalizzata delle Conferenze episcopali che raccolgono tutti i vescovi di un medesimo territorio (regione, nazione, continente) favorendo il coordinamento pastorale. I nuovi orientamenti nelle nomine hanno avuto come conseguenza anche un diverso equilibrio all'interno delle Conferenze episcopali nazionali, limitandone l'indipendenza e le iniziative. È stata significativa l'esperienza della Conferenza episcopale nord-americana che negli anni Ottanta del 20° sec. di fronte alle iniziative belliche degli Stati Uniti ha preso posizioni pacifiste di grande risonanza, mentre quindici anni più tardi la stessa Conferenza è stata incapace di reagire adeguatamente alla imbarazzante deriva pedofila. Analogamente alla composizione dell'episcopato, il pontificato di Wojtyla ha inciso sul Collegio cardinalizio, aumentandone il numero e dilatandone la composizione universale, ma mortificandone la qualità umana e lo spessore spirituale e, perciò, l'impatto istituzionale. Proprio il Collegio cardinalizio è stato ripetutamente attivato negli anni Ottanta da Giovanni Paolo ii in relazione ad alcune imbarazzanti emergenze finanziarie vaticane, ma senza ottenere risultati apprezzabili. Similmente i cardinali si sono mostrati sordi quando il papa ha presentato in Concistoro il proprio progetto sui peccati della Chiesa, evitando di esprimere un consenso.
Durante tutto il pontificato di Giovanni Paolo ii è stato convocato periodicamente il Synodus episcoporum, istituito da Paolo vi. Tuttavia l'impossibilità di giungere a conclusioni operative, a causa della sua natura puramente consultiva, ne ha minato considerevolmente il prestigio. I ripetuti progetti di vitalizzazione sono rimasti inascoltati. Altrettanto è accaduto per le ipotesi di formazione, accanto al papa, di un organo ristretto che lo coadiuvasse nella guida della Chiesa e alleggerisse il peso delle responsabilità che gravano sulla persona del vescovo di Roma.
Un altro aspetto emergente del pontificato di Wojtyla è stata la moltiplicazione, crescente negli anni, delle beatificazioni e delle canonizzazioni. Moltiplicazione che è stata ottenuta sia portando a conclusione molti processi giacenti da tempo, come quello del papa Pio ix, sia contraendo la durata delle nuove cause, come è stato per padre Pio da Pietrelcina (2002), per il fondatore dell'Opus Dei J. Escrivá de Balaguer (2002) e per madre Teresa di Calcutta (2003). La pietà popolare ha mantenuto viva attenzione per la dimensione mariana sia nelle forme tradizionali (Lourdes) sia in quelle più nuove (Medjugorje). Considerevole importanza ha assunto padre Pio da Pietrelcina, soprattutto dopo la beatificazione. Continua a essere viva la problematica della condizione delle donne nella Chiesa, tanto più in considerazione della crescente prevalenza femminile tra i fedeli. L'intransigente presa di posizione romana contro la concessione degli ordini alle donne non ha spento il dibattito.
Un fenomeno nuovo, che ha acquistato considerevole rilievo, è quello del volontariato, che ha coinvolto grandi numeri di credenti in attività organizzate - ma libere - di assistenza ai bisognosi (disabili, ammalati, indigenti) o di intervento sociale.
Chiese ortodosse
L'universo del cristianesimo ortodosso si presenta all'inizio del nuovo millennio con rinnovato vigore e con una presenza frastagliata, ma significativa nei vari continenti.
Patriarcato di Costantinopoli
Il Patriarcato di Costantinopoli ('seconda Roma', Istanbul) gode di un grande prestigio in tutta la comunità ortodossa e promuove tenacemente da anni studi e incontri in vista della convocazione di un sinodo panortodosso, che tuttavia trova considerevoli remore. La sua condizione di debolezza dipende dal piccolo gruppo di fedeli ancora presenti nella città a seguito della politica turca di sfavore verso i cristiani. Mentre le aree della Macedonia, della Tracia e dell'Epiro sono, in parte, soggette alla Chiesa greca, le diocesi di Creta e del Dodecaneso sono tuttora interamente dipendenti dal Patriarcato, guidato dal patriarca ecumenico Bartolomeo i, al pari di tre monasteri situati nella Grecia continentale (Patmos, Santa Anastasia e Vlatades), delle comunità monastiche del Monte Athos e di dieci arcivescovadi e metropolie della diaspora (gli emigrati in continenti diversi da quello europeo), ai quali si aggiungono le Chiese autonome della Repubblica Ceca, della Slovacchia e della Finlandia.
Nel 1989 è stato concluso tra le Chiese ortodosse orientali di tradizione greca e le Chiese monofisite un accordo dottrinale sulla umanità e la divinità del Cristo, mettendo fine a una separazione che durava dal Concilio di Calcedonia del 451.
Chiesa greca
La forza delle trasformazioni che hanno investito le realtà contemporanee ha indotto la dottrina greca ortodossa - teologica, giuridica e canonica - a prendere le distanze dalla ormai irrealizzabile sinfonia della Chiesa con lo Stato di matrice bizantina, optando per una separazione positiva o amichevole. Anche in seno alla Chiesa si inizia a vedere la possibilità, pur con la riserva mentale che il nuovo accordo debba essere il più vicino possibile alla sinfonia, tuttora considerata il sistema ideale. L'autentica dottrina dovrebbe elaborare un nuovo e più accettabile sistema di rapporti che non sia estraneo allo spirito delle autentiche tradizioni orientali. Nel contesto delle difficoltà politiche, economiche, sociali e culturali e della posizione e della grande importanza storica e sentimentale della Chiesa ortodossa il cammino da percorrere è ancora lungo. La Costituzione greca attualmente in vigore contiene, tuttavia, già le premesse per una separazione latente, in germe oppure in potenza. Infatti, secondo il dettato costituzionale, la religione cristiana ortodossa conserva il carattere di religione dominante, il che ne fa implicitamente la religione ufficiale dello Stato. Inoltre nella Costituzione greca esiste una sezione speciale che è dedicata alla comunità del Monte Athos e alla sua autonomia amministrativa in seno allo Stato greco. La stessa Costituzione si dichiara consacrata "al nome della Santa Trinità, consustanziale e indivisibile" e vi si fa riferimento al Cristo come capo della Chiesa di Grecia, cioè come nostro Signore Gesù Cristo. Tuttavia la dottrina costituzionale greca è unanime nel riconoscere che quelle formule hanno, al pari di altri elementi (per es. la presenza della croce sullo stendardo nazionale), la funzione di conferire alla Costituzione greca un sapore particolare, ma non ne fanno necessariamente uno Stato credente.
Chiesa russa. Con la fine della persecuzione e del regime sovietico la Chiesa russa ha ripreso vigore sotto la guida del Patriarcato di Mosca ('terza Roma'). La ripresa dell'ortodossia russa è agevolata dal potere politico postsovietico, anche con l'effetto di riattualizzare ombre di neocostantinianesimo. I prodotti del progetto di ateizzazione coatta del periodo precedente sono tuttavia assai visibili, in rapporto sia al sistema dei valori sia alle pratiche concrete della vita sociale, inclusa la dimensione familiare. Tali effetti sono particolarmente evidenti nella società russa, che ha subito questo processo di ateizzazione in forme più estreme e per un periodo più lungo. La complessità di questa situazione suggerisce pertanto una doverosa cautela nel censire i credenti ortodossi e nell'interpretare le statistiche sull'appartenenza religiosa nei Paesi dell'Europa centro-orientale, il che d'altronde è vero anche per i Paesi dell'Europa occidentale, essi pure soggetti al fenomeno della secolarizzazione.
La fine del comunismo ha messo in luce la forza della tradizione spirituale ortodossa che è sopravvissuta a una dura persecuzione pluridecennale. Ciò ha permesso il ritorno alla libera espressione della vita religiosa - in termini certamente più pluralisti di quanto avvenisse nella Russia prerivoluzionaria o nel periodo precedente all'entrata nell'orbita sovietica dei vari Paesi dell'Europa centro-orientale - ma ha anche spinto le élites politiche e culturali dell'Europa orientale al recupero della tradizione culturale antecedente. Recupero che si è reso necessario per gestire in termini di valori e di simboli la transizione postcomunista, e riformulare a partire da tale tradizione l'identità delle varie società coinvolte nel mutamento. La fede cristiana ortodossa è infatti uno degli elementi determinanti della tradizione culturale precedente all'epoca comunista, certamente quello più facilmente comprensibile alla maggioranza della popolazione in quanto di grande significato simbolico. Segno evidente di questo processo di rielaborazione identitaria sul piano culturale è il ritorno della tradizione ortodossa nella sfera del dibattito pubblico.
La presenza in un mondo non più cristiano, ma anche non più anticristiano, obbliga la Chiesa a ripensare la propria identità nelle nuove società. Si pone un problema di rapporto con la modernità, spesso temuta e interpretata con categorie non più comprensibili dall'uomo contemporaneo. La vicenda dell'introduzione del codice fiscale e dei codici a barre per le merci dapprima in Ucraina e poi in Unione Sovietica è emblematica delle difficoltà che la Chiesa ortodossa affronta nel rapporto con la società moderna. Nei codici binari a barre che i due Stati hanno voluto adottare, secondo gli standard occidentali, è contenuta una triplice sequenza di numeri 6, che da diversi settori della Chiesa russa è stata associata al numero dell'anticristo, secondo quanto riportato nel libro dell'Apocalisse. Il Santo Sinodo del Patriarcato di Mosca nella sessione del 7 marzo 2000 ha pubblicato una dichiarazione concernente tale questione. Dopo avere rilevato che, secondo gli esperti, l'utilizzo della sequenza di 6 non è indispensabile, il documento sottolinea che nell'istituzione del sistema globale a barre è stato adottato un simbolo offensivo per i cristiani. Il Sinodo invita il governo russo e quello degli altri Paesi della Confederazione russa a maggioranza ortodossa a sollevare nelle sedi internazionali la questione di una definizione del sistema internazionale di codificazione binaria, per eliminare il simbolo contestato, oppure, in caso d'impossibilità di tale soluzione, a creare un sistema alternativo nazionale.
L'opposizione fra globale e particolare è anche opposizione fra una visione razionalista e una spirituale del mondo. La questione, secondo il patriarca moscovita, è di armonizzare "la visione del mondo razionalista e le aspirazioni spirituali delle persone, che non considerano la ragione l'unico criterio della verità". Il pericolo avvertito dal patriarca è il prevalere della civiltà del consumismo, che sembra avere sostituito in Unione Sovietica l'ideologia comunista: "la caduta del regime totalitario in Unione Sovietica ha ispirato un nuovo entusiasmo per l'ideologia del progresso, con il quale più spesso s'intende la massima soddisfazione dei bisogni degli individui. In modo particolarmente primitivo tale ideologia si manifesta nel consumismo [...] Tuttavia il culto del consumo è solo una forma rozza del culto del progresso secolare" (Pacini 2003, p. 281).
I principi della dottrina sociale della Chiesa ortodossa russa, approvati dal recente Concilio dei vescovi trattano, infatti, anche il fenomeno della globalizzazione. La questione del trasferimento di poteri a centri decisionali sovranazionali richiede, secondo il documento, un approccio prudente. Infatti, si esprime il timore che le organizzazioni internazionali divengano uno strumento di dominio di alcuni Stati su tutti gli altri. Una preoccupazione ulteriore, ma non secondaria, dichiarata nel documento approvato dal Concilio dei vescovi della Chiesa russa è quella della difesa dell'originalità culturale e spirituale dei popoli e dei Paesi. In Unione Sovietica sono attive istanze conciliari, che tuttavia si scontrano con le sensibilità regionali (autocefalie), particolarmente forti in Ucraina, tanto più che ricevono conforto e sostegno da parte della Chiesa (uniate) di obbedienza romana. Motivi di tensioni e di conflitti sono suscitati dal proselitismo che altre C. c. - e soprattutto quella romana -svolgono in Unione Sovietica a danno della Chiesa ortodossa.
Autocefalie
L'autocefalia indica l'autonomia canonica di una Chiesa nazionale ortodossa, indipendente per la vita delle comunità (lingua, disciplina, nomine ecc.), ma in piena comunione con tutta l'ortodossia dal punto di vista dottrinale, sacramentale e spirituale. Ai patriarchi di Costantinopoli e di Mosca è riconosciuto solo un primato d'onore. Le stesse Chiese ortodosse, dopo decenni di marginalità imposta e subita, sono in molti casi tornate a essere attori di primo piano nei propri Paesi, come referenti morali autorevoli anche per questioni afferenti la dimensione sociale e politica. In questo senso le Chiese sono accettate - e talora ricercate - come interlocutori dalle élites politiche e culturali. Con la fine del comunismo pertanto è palese una rinnovata presenza e vitalità dell'ortodossia, non solo nella dimensione strettamente legata alla pratica religiosa e spirituale, ma anche nella dimensione più articolata e complessa della sua rilevanza sociale, culturale, perfino politica. La rilevanza e la diffusione di ciò richiede che si consideri come ortodossa - in senso strettamente religioso o più ampiamente culturale - la grande maggioranza dei cittadini dei Paesi dell'Europa orientale di tradizione ortodossa. L'insieme dei cittadini che fanno riferimento all'ortodossia in tali Paesi (tolti gli appartenenti ad altre confessioni) ammonta a circa il 33% del totale dei cittadini dell'Europa. La percentuale si riduce al 30% se si considera che circa il 15% della popolazione russa, ucraina e bielorussa deve essere ritenuto ateo. Il rapporto con l'eredità dei padri della Chiesa, che presenta una sua unitarietà ma è anche articolata ed eterogenea, è complesso e costituisce un passaggio chiave per la comprensione del rapporto di questa cultura con la Tradizione, che "è la coscienza perenne e comune della Chiesa", che "celebra i santi Padri come fedeli interpreti di questa coscienza, autentici testimoni della fede della Chiesa" (così il metropolita Filarete, cit. in Pacini 2003, p. 275). La fedeltà alla Tradizione costituisce infatti un tratto di fondamentale importanza per la coscienza ecclesiale dell'ortodossia russa e, più in generale, delle Chiese ortodosse.
L'autocefalia delle Chiese ha generato anche il problema della giurisdizione sui fedeli ortodossi della diaspora. Secondo il Patriarcato di Costantinopoli la giurisdizione canonica è strettamente territoriale, derivante cioè dalla tradizione antica: ogni Chiesa autonoma o autocefala ha giurisdizione solo sul suo territorio di origine. Nella diaspora, dunque nei territori esterni alle Chiese di origine, la giurisdizione dovrebbe competere a Costantinopoli, in quanto Patriarcato ecumenico di respiro universale. In effetti però tutte le Chiese ortodosse hanno istituito proprie diocesi nella diaspora per assistere i propri fedeli emigrati. Ne consegue che nei medesimi territori si interseca una pluralità di giurisdizioni ortodosse: al concetto territoriale di giurisdizione ecclesiastica si sovrappone il concetto di giurisdizione personale, fondato sull'appartenenza nazionale.
Chiesa anglicana
Fedele alla sua presenza soprattutto nell'universo culturale anglosassone, l'anglicanesimo è percorso e scosso negli ultimi anni dalla questione femminile per cui si è giunti prima all'attribuzione del sacerdozio alle donne e poi alla loro ordinazione episcopale. Soprattutto questa seconda decisione ha suscitato forti reazioni all'interno della stessa Comunione anglicana, oltre a complicare gravemente le relazioni tra la Chiesa anglicana e le altre C. c. (cattolico-romana e ortodosse). Sulla base del rilancio della ARCIC si è giunti nel 1981 a una Dichiarazione comune sull'autorità nella Chiesa, seguita e completata nel 1999 da una su Il dono dell'autorità. Così nel 2004 (ma la presentazione pubblica si è avuta solo nel maggio 2005) è stata approvata anche una Dichiarazione di Seattle dedicata a Mary: grace and hope in Christ (trad. it. in Il Regno-Documenti, 2005, 11, pp. 257-70). Con tale documento la Commissione è giunta a un accordo su un argomento cruciale, quello della qualificazione teologica della posizione della vergine Maria. L'accordo si fonda principalmente sui riferimenti a Maria nella Bibbia (con speciale attenzione agli scritti paolini) e nell'antica tradizione cristiana. L'importanza di tale accordo trascende i suoi contenuti specifici in quanto apre una prospettiva nuova nelle relazioni intercristiane, quella di 'consensi differenziati', che ammetterebbe una comunione di fede, malgrado differenze su materie non essenziali.
Chiese della Riforma (luterani, riformati, metodisti)
L'accordo teologico sulla dottrina della giustificazione del 1999 ha avuto echi molto positivi, anche se non è stato seguito da ulteriori sviluppi nelle relazioni ecumeniche. Tuttavia Benedetto xvi l'ha rievocato durante il suo incontro a Colonia nell'agosto 2005 con i rappresentanti delle Chiese della Riforma in Germania, esprimendo l'auspicio di ulteriori progressi nelle relazioni ecumeniche.
L'impegno sviluppato durante tutto il 20° sec. dalle Chiese che si ispirano alla Riforma protestante per stabilire e dilatare relazioni ecumeniche - che ha portato al Consiglio Ecumenico delle Chiese di Ginevra - sembra entrato con il nuovo secolo, malgrado la sua grande diffusione, in una fase meno dinamica, anche per effetto dell'atteggiamento tiepido delle Chiese ortodosse orientali, sia di lingua greca sia russa, preoccupate della insoddisfacente considerazione delle Chiese riformate per la Tradizione. Soprattutto nei continenti latino-americano, africano e asiatico le Chiese di tradizione riformata soffrono gravemente della 'concorrenza' delle sette, che si presentano con una generica ispirazione cristiana, ma con accentuate prospettive palingenetiche e con norme sulla moralità molto semplificate. Il Rapporto (1999-2005) del Gruppo misto di lavoro tra il Consiglio Ecumenico delle Chiese e la Chiesa cattolica-romana, pubblicato all'inizio del 2005, informa sullo sviluppo delle relazioni ecumeniche nei diversi ambiti e si conclude con il paragrafo Prospettive future, dove è sottolineata soprattutto l'importanza dell'ecumenismo spirituale.
In ambito italiano vanno ricordate le intese raggiunte tra il governo e le Chiese di ispirazione riformata, e con la Chiesa valdese in primo luogo, sulla loro partecipazione, accanto alla Chiesa cattolica-romana, alla ripartizione dei fondi previsti dal concordato Craxi-Casaroli (8 per mille).
Bibliografia
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