CHIARA da Montefalco (Chiara della Croce), santa
Figlia di Damiano e Iacopa, nacque a Montefalco (Perugia) nel 1268. La famiglia, che pare sia stata tra le più agiate della cittadina umbra, era profondamente religiosa. Un fratello di C., Francesco, entrò nell'Ordine dei minori e fu poi provinciale e inquisitore; quanto alla sorella maggiore, Giovanna, fu maestra di vita spirituale per C. e prima badessa del monastero della Croce.
Secondo le testimonianze di chi l'aveva conosciuta bambina, sin dalla più tenera età C. avrebbe mostrato di essere destinata ad una esistenza eccezionale; e, del resto, nella sua vita non è possibile individuare una vera e propria "conversione", a differenza di quanto invece ci è attestato per molti santi anche suoi contemporanei. A quattro anni, infatti, C. avrebbe già avuto l'abitudine di chiudersi in una stanza isolata per dedicarsi in solitudine alla preghiera. A sei anni chiese, ed ottenne, il permesso dei genitori di seguire la sorella Giovanna nell'eremitorio di S. Leonardo.
Quella fondata da Giovanna pare sia stata, ai suoi inizi, non molto dissimile dalle tante comunità di recluse che fiorivano in quel periodo nell'Italia centrale. Chi vi entrava si impegnava a vivere in povertà, castità, ubbidienza e umiltà, ad osservare il digiuno, nei tempi prescritti dalla Chiesa, ed il silenzio. Non pare che, in questo periodo, vi si seguisse una regola precisa, né che Giovanna avesse nei confronti delle compagne una posizione gerarchicamente ben definita: certo, quale promotrice della comunità, dirigeva la vita materiale e spirituale delle sue "sorores". Nelle fonti coeve, del resto, Giovanna viene indicata semplicemente come "rectrix" di S. Leonardo.
Nella comunità fondata dalla sorella la giovanissima C. poté realizzare il suo desiderio di penitenza e di mortificazione. Le virtù che le sono attribuite da chi la conobbe non si discostano dal modello di santità femminile proprio del periodo: castità rigorosa - affermò che avrebbe preferito subire i tormenti dell'Inferno per tutta la sua esistenza terrena piuttosto che perdere la verginità (Proc., f. 146v) -, austerità quasi disumana della vita, rifiuto totale di quanto poteva procurarle piacere, povertà assoluta e raccoglimento totale nella preghiera che, spesso, giungeva fino all'annullamento mistico in Dio, con conseguente perdita di ogni sensibilità. Inoltre C. usava spesso fustigarsi a sangue e indossava il cilicio. La rigidezza dell'ascesi di C. è tale che uno dei biografi della santa, il Mosconi, la definì "magis admiranda quam imitanda".
Dopo una quindicina d'anni, Giovanna decise di trasferire la sua comunità nel nuovo reclusorio di S. Croce, benché i lavori di costruzione non fossero ancora ultimati e mancasse una parte del tetto. In questo periodo, l'ultimo in cui la comunità visse "sine regula", si tentò anche di assicurare i mezzi per la sopravvivenza delle pie donne e per l'ultimazione dei lavori mediante la questua: C. vi partecipò con entusiasmo, desiderando offrire, in questo modo, un'ulteriore prova di umiltà (Proc., ff. 48 e 192r), anche se il suo zelo eccessivo costrinse la sorella a esonerarla dall'incarico. Nel 1290 Giovanna chiese all'autorità ecclesiastica di poter professare una regola monastica e, nel giugno di quell'anno, Gerardo, vescovo di Spoleto, concesse alla comunità di seguire la regola di s. Agostino. Giovanna mantenne la guida delle sue monache col titolo di badessa.
C. fu dunque senza alcun dubbio - dal punto di vista disciplinare - una monaca di S. Agostino. Lo stesso Giovanni XXII quando, nel 1317, autorizzò l'apertura di un'inchiesta sulla vita e i miracoli, in vista di un'eventuale canonizzazione, la dice "ordinis sancti Augustini". Ciò non vuol dire, però, che il monastero fosse legato all'Ordine mendicante maschile degli eremiti agostiniani, come a lungo si è creduto: dagli atti del processo di canonizzazione non è possibile, infatti, trarre alcuna prova in tal senso - e lo stesso si può dire per ciò che si può dedurre dagli scritti del primo biografo di C., Berengario di Sant'Africano. Non mancano invece nelle fonti accenni relativi al ruolo di guida spirituale esercitato dai minori. Del resto, l'ambiente religioso umbro era più o meno monopolizzato dai francescani i quali, anche a Montefalco, avevano un loro convento. È degno di nota, in ogni caso, che la canonizzazione di C. non sia stata richiesta da nessuno degli Ordini mendicanti, anche se poi, per alcuni secoli, la reclusa di Montefalco fu al centro di un'aspra polemica fra agostiniani e francescani.
Nel sec. XV a Montefalco la si credeva - o la si voleva credere - francescana, se è vero, come afferma il Nessi (cfr. S. C. da Montefalco e il francescanesimo, pp. 379, 394s., 401), che Benozzo Gozzoli, nei suoi affreschi della chiesa di S. Francesco, eseguiti intorno alla metà del secolo, la inserì tra le sante dell'Ordine e la vestì dell'abito minoritico. Tale abito sarebbe stato sostituito, nel ciclo iconografico, con quello agostiniano solo dopo il 1577, in ottemperanza ad una decisione papale. La controversia sullo status disciplinare di C. si inserì più tardi nei contrasti, apertisi durante il sec. XV, all'interno del convento della Croce tra monache che volevano seguire la regola agostiniana ed altre che chiedevano invece di poter costituire una comunità di clarisse. Queste ultime pare abbiano goduto dell'appoggio degli abitanti di Montefalco, ove, come abbiamo visto, l'influenza francescana era fortissima. La questione fu risolta solo nel 1492 con un provvedimento pontificio: il monastero della Croce fu definitivamente attribuito agli eremiti agostiniani, mentre alle suore desiderose di professare la regola francescana di s. Chiara fu concesso l'eremo di S. Leonardo.Morta Giovanna nel 1291, C. fu eletta badessa, benché avesse, in ogni modo, cercato di evitare un incarico di cui si sentiva indegna e che avvertiva come un peso. La sua vita, comunque, non pare sia mutata. C. fu una superiora severa, ma incapace di imporre ad altri doveri che non fosse ella stessa disposta ad assumersi.
La fama della santità della sua vita, delle sue prerogative taumaturgiche (le si attribuivano, infatti, moltissime guarigioni), delle sue capacità di percezione dei segreti del cuore umano (si diceva che fosse in grado di intuire i peccati dei suoi interlocutori senza che questi glieli rivelassero), e, infine, la fama delle sue visioni profetiche si diffusero tanto rapidamente, che molti erano coloro che esprimevano il desiderio di incontrarla. Fra questi vi furono anche personaggi di grande rilievo nella vita politica e religiosa del tempo. Sappiamo infatti che si incontrò col cardinale Pietro Colonna e con Niccolò Albertini da Prato (Proc., ff. 104v e 106r) e che fu in rapporti epistolari con l'altro cardinale Colonna, Giacomo, che le fece recapitare una grossa somma in oro a titolo di elemosina (ibid., f.61v). Negli atti del processo di canonizzazione si sottolinea che C., pur condannando ogni consuetudine con gli uomini, si dimostrava però disposta ad intrattenersi su argomenti teologici o mistici con "viri spirituales". Questi, persone di cultura, pare apprezzassero in lei, che pure non aveva studiato (è detta più volte "illicterata", anche se ci risulta che era in grado di leggere il breviario e di insegnare a leggere alle sue compagne), la straordinaria capacità di interpretare le Scritture. Questa prerogativa le avrebbe permesso, tra l'altro, di scoprire e denunziare alle competenti autorità (prima agli inquisitori locali, poi, allo stesso cardinal legato Napoleone Orsini) le affermazioni ereticali che ricorrevano nella predicazione di fra' Bentivenga da Gubbio e dei suoi seguaci.
Bentivenga, già seguace di Gerardo Segarelli a Parma, era poi entrato nell'Ordine dei minori e godeva, all'epoca del suo incontro con C., verso il 1306, fama di grande santità. Nei colloqui con Bentivenga e i suoi seguaci, così come sono riportati negli atti del processo di canonizzazione, C. appare dotata di grandi capacità dialettiche di cui si avvale per confutare il "quietismo" del frate, contestandogli soprattutto l'impossibilità che Dio possa volere il male e che a lui vadano perciò attribuiti non solo il bene compiuto dall'uomo ma anche il male e i suoi peccati.
La grande popolarità di cui godeva permise a C., secondo un passo del suo processo di canonizzazione (Proc., f. 262), di esercitare un'azione politica - perfettamente in linea, del resto, con la grande tradizione di "paciari" propria degli Ordini mendicanti - favorendo intorno al 1306 la conclusione di una tregua tra Trevi e Montefalco. In mancanza di altre indicazioni in merito, si può tuttavia segnalare la coincidenza di quest'azione di C. in favore della pace con la presenza, proprio in quella zona e in quello stesso periodo, di Ubertino da Casale, il quale, nella sua veste di cappellano del cardinal legato Napoleone Orsini, svolgeva opera di conciliazione fra le diverse fazioni comunali.
Minata dall'eccessivo rigore della sua vita, C. morì appena quarantenne, il 17 ag. 1308 nel monastero della Croce a Montefalco.
Si diffuse la voce che una suora, predisponendo il corpo alla venerazione dei fedeli, aveva visto nel cuore della defunta i simboli della passione di Cristo. La miracolosa scoperta venne messa in relazione con una frase, più volte ripetuta dalla santa durante la sua agonia, ed esprimente la certezza di portare la croce nel cuore. La notizia, si diffuse rapidamente: il 22 agosto il podestà, seguito dalle autorità laiche ed ecclesiastiche di Montefalco, si recò al monastero di S. Croce, per prendere visione del fatto miracoloso. Tra coloro che più furono impressionati dalla vista del cuore di C. fu Berengario di Sant'Africano, un francese che svolgeva le mansioni di vicario del vescovo di Spoleto, il quale si fece, da quel momento, il più ardente partigiano della santità di Chiara. Raccolto un buon numero di testimonianze, che coordinò secondo una linea biografica, Berengario si recò personalmente ad Avignone per patrocinare la causa di beatificazione di Chiara da Montefalco. Papa Giovanni XXII, ricevuto un primo parere favorevole da parte di Napoleone Orsini, parve voler accedere alla richiesta, tanto che, con una lettera dell'ottobre 1317. indirizzata ai vescovi di Perugia e Orvieto e al rettore del ducato di Spoleto, autorizzò "auctoritate apostolica" l'apertura di un vero processo sulla vita e sui miracoli di Chiara. I lavori, cominciati nel 1318, si protrassero per circa un anno, a causa dell'elevato numero dei testimoni da escutere. Gli atti dell'istruttoria furono sottoposti all'approvazione di una commissione cardinalizia che poté terminare il suo compito solo nel 1331. Tuttavia allora non si arrivò alla canonizzazione di C., probabilmente per l'opposizione di Giovanni XXII, che non volle dare il suo consenso, forse a causa dei legami troppo evidenti che univano la religiosa umbra ai Colonna e, attraverso di loro, agli spirituali italiani, invisi al pontefice. Nell'opposizione papale va vista anche una certa qual diffidenza nei confronti di una spiritualità, mistica e visionaria, sempre al limite dell'ortodossia.
La riapertura del processo venne sollecitata, ma senza migliori risultati, dagli agostiniani nel 1497, al termine della lunga controversia cui abbiamo già accennato. Solo nel 1624 Urbano VIII concesse di recitare l'ufficio e la messa in onore, della beata Chiara. Riaperto nel 1846, il processo si arenò ancora per questioni procedurali; toccò infine a Leone XIII, l'8 dic. 1881, proclamare la santità di C., nell'intento forse di celebrare in lei, insieme all'intrasigente amore della purezza, la speciale devozione a Cristo e agli strumenti della passione. Festa di C., il 17 agosto.
L'immagine di C., spesso raffigurata con un giglio in una mano, o tal'altra con una bilancia, ha avuto una certa fortuna in campo artistico; la si può ammirare dipinta da P. P. Rubens nella chiesa degli agostiniani di Anversa. Nella chiesa di S. Giacomo alla Lungara in Roma è raffigurata con in mano una bilancia, dai piatti in perfetto equilibrio: su uno di essi un sassolino, sull'altro tre (raffigurerebbero tre calcoli rinvenuti nel fegato della santa, i quali avrebbero posseduto la meravigliosa qualità di pesare ognuno quanto tutti è tre messi insieme, concreta immagine del dogma trinitario).
Fonti e Bibl.: Gli atti del processo di canonizzazione sono parzialm. conservati, in una copia ottocentesca, all'Arch. Segr. Vaticano, Congregazione dei Riti,Proc. 2929. La lettera con cui Giovanni XXII ordinò l'inchiesta in partibus è trascritta nel Registro Vaticano 67, f. 86r, sotto il numero 311, ed è citata in Jean XXII (1316-34). Lettres communes, II, a c. di G. Mollat-G. de Lesquen, Paris 1905-1947, n. 5786. La vita di C. composta da Berengario di Sant'Africano èstata oggetto di varie ediz.: la prima curata da M. Faloci Pulignani, La vita di s. C. da Montefalco,scritta da Berengario di S. Africano, in Archivio storico per le Marche e per l'Umbria, I (1884), pp. 583-625, e II (1885), pp. 193-266, segue il testo del ms. Casanatense 21; le altre due, curate rispettivamente da P. T. De Töth, Storia di s. C. da Montefalco secondo un antico docum. dell'anno 1308 per la prima volta integralmente pubblicato,tradotto e illustrato nella ricorrenza del VI centenario, Siena 1908, e da A. Semenza, Vita sanctae Clarae de Cruce O.E. S.A. ex codice Montefalconensi saec. XIV desumpta, Città del Vaticano 1944, riproducono invece il testo del manoscritto conservato nel monastero agostiniano di Montefalco. Il sommario che Napoleone Orsini ricavò dal primo processo èstato tradotto e pubbl. da fra' Agostino da Montefalco, Vita miracoli et revelationi della beata C. de Montefalco: de loodine di Sancto Augustino. Examinate da XII Cardinali, Venezia 1515. La figura di C. godette di larghissima popolarità negli anni immediatamente posteriori al concilio di Trento, anche perché il suo tipo di santità sembrava adattarsi bene alla sensibilità religiosa controriformista. Tra la fine del Cinquecento, e la metà del Seicento si ebbero infatti almeno sei biografie di C., di taglio decisamente agiografico e oggi difficilmente reperibili. Ci limiteremo qui a ricordare: I. Mosconi, Compendium de vita,miraculis et revelationibus Beatae Clarae de Cruce Montis Falconis oppidi in Umbria, Bononiae 1601 (riprodotta in Acta Sanctorum Augusti..., III, Antverpiae 1737, pp. 664-688); G. B. Piergili, Vita della b. C. detta della Croce da Montefalco, Foligno 1642 (2 ediz. 1663); L. Jacobilli, Vite de' santi e beati dell'Umbria, I, Foligno 1647, pp. 707-11; A. du Monstier, Martyrologium francisc., Parisiis 1653, pp. 375 s. Cfr. anche: L. Torelli, Secoli agostin. overo Historia gen. del sagro ord. eremitano del gran dottore di S. Chiesa,s. Aurelio Agostino, V, Bologna 1678, pp. 280-95; Sacra Rituum Congreg. Particulari Emin. ac Rever. Domino Thoma Maria Martinelli Relat. Spoletana Canoniz. B. Clarae a Cruce de Monte Falco Monialis Ordinis Eremitarum S. Augustini Positio super miraculis, Roma 1881; X. Barbier de Montault, Vita di santa C. da Montefalco,scritta da Berengario di Sant'Affricano e pubblicata per la prima volta dal canonico Michele Faloci Pulignani, in Revue de l'art chrétien, VI (1888), pp. 248-252; Bibliotheca hagiogr. Latina antiquae et mediae aetatis, I, Bruxelles 1898-99, p. 273 s.; F. van den Borne, Analecta de Tertio Ordine, in Arch. franc. histor., IX (1916), p. 124; A. van den Wyngaert, De sanctis et beatis Tertii Ordinis iuxta codicem Fr. Mariani Florentini,ibid., XIV (1921), p. 34; L. Oliger, Fr. Bernardi de Turre processus contra Spirituales Aquitaniae(1315) et card. Iacobi de Columna litterae defensoriae spiritualium provinciae(1316), ibid., XVI(1923), p. 334; I. Grant, The Testimony of Blood, London 1929, pp. 79-122; A. N. Merlin, Une grande mystique ignorée: S.te Claire de la Croix, Paris 1930; L. Wadding, Annales Minorum, VI, Quaracchi 1931, pp. 157-165; XIV, ibid. 1933, pp. 598-603; P. Debongnie, Essai critique sur l'histoire des stigmatisations au Moyen Age, in Etudes carmelitaines, XXI (1936), pp. 36-41; L. Oliger, De secta spiritus libertatis in Umbria saec. XIV. Disquisitio et documenta, Roma 1943, pp. 9-27, 91-126; P. Debongnie, Claire de Montefalco, in Dict. d'Hist. et de Géogr. Ecclés., XII, Paris 1953, col. 1037; L. Réau, Iconogr. de l'art chrétien, III, Iconogr. des saints, I, Paris 1958, p. 319; S. Nessi, Storia e arte delle chiese francescane di Montefalco, in Miscell. francesc. LXII (1962), p. 248; N. Del Re, C. da Montefalco, in Bibliotheca sanctorum, III, Roma 1963, coll. 1217-1222 (la parte iconografica della voce è a cura di I. Belli Barsali, coll. 1222-24); G. Kaftal, Iconography of the Saints in Central and South Italian Schools of Painting, Florence 1965, coll. 297-300; G. Petrocchi, Correnti e linee della spiritualità umbra e ital. nel Duecento, in Filosofia e cultura in Umbria tra Medioevo e Rinascimento. Atti del IV Convegno di studi umbri,Gubbio 1966, Perugia 1967, pp. 161-164; S.Nessi, I processi per la canonizzazione di s. C. da Montefalco, in Boll. della Deputaz. di storia patria per l'Umbria, LXV (1968), pp. 103-60; F. Paravin, S. C. da Montefalco, Foligno 1968; S.Nessi, S. C. da Montefalco e il francescanesimo, in Miscell. francesc., LXIX (1969), pp. 369-408; A. Bartoli Langeli, I penitenti a Spoleto nel Duecento, in L'Ordine della penitenza di s. Francesco d'Assisi nel secolo XIII,Atti del Convegno di studi francescani,Assisi 1972, Roma 1973, pp. 303-316; A.Vauchez, La sainteté en Occident aux derniers siècles du Moyen Age d'après les procès de canonization et les sources hagiographique, Rome 1980, ad Indicem.