chemioterapia
Come funzionano i chemioterapici
Un tempo il termine ‘chemioterapia’ è stato usato per indicare i farmaci che inibiscono la crescita di microrganismi: ad es., i composti contenenti arsenico, attivi contro Treponema pallidum, hanno permesso per la prima volta di curare efficacemente la sifilide. Oggi i farmaci diretti contro i microrganismi vengono più comunemente chiamati antibiotici; mentre il termine ‘chemioterapia’ è divenuto quasi sinonimo di trattamento farmacologico dei tumori.
Lo straordinario successo degli antibiotici è basato sul fatto che essi sfruttano le notevoli differenze biologiche che esistono naturalmente tra i microrganismi e le cellule dell’organismo umano. Invece la chemioterapia dei tumori è assai più problematica, perché le cellule tumorali derivano dalle nostre cellule normali: pertanto, dal punto di vista strutturale e biochimico le differenze tra le une e le altre, sebbene cruciali, sono minime. Di conseguenza, un farmaco capace di danneggiare le cellule tumorali causa spesso danni anche alle cellule normali; di qui la tossicità dei chemioterapici antitumorali. Quanto più un farmaco riesce a centrare una differenza specifica tra cellula normale e cellula tumorale – individuando, si potrebbe dire, il tallone d’Achille di quest’ultima – tanto più risulterà efficace e tanto meno sarà tossico. La differenza più importante tra le cellule tumorali e quelle del tessuto da cui derivano è l’aumentata crescita, cioè un ritmo più alto di divisioni cellulari: questa è una costante per tutti i tumori, e questo, in effetti, è stato, il primo bersaglio della chemioterapia. Per dividersi, la cellula deve prima replicare il DNA, e poi i cromosomi, durante quel processo piuttosto complicato chiamato mitosi. I farmaci chemioterapici (talvolta detti anche citotossici o antiblastici), da quelli introdotti in terapia da più di mezzo secolo a quelli usati oggi nella maggior parte dei pazienti, agiscono o a livello del DNA o a livello della mitosi.
La chemioterapia ha rivoluzionato la cura dei tumori: ad es., da sola riesce a guarire alcuni tipi di leucemie e di linfomi. Inoltre, associata all’asportazione chirurgica (ad es. quello della mammella e del testicolo), la chemioterapia contribuisce alla guarigione di molti tumori solidi; ciò malgrado, essa incute timore per la sua innegabile tossicità. Questa può essere limitata, ma non evitata, proprio perché, come si è detto, anche le cellule normali hanno bisogno di dividersi, particolarmente quelle della cute, delle mucose, e quelle che producono le cellule del sangue: ecco perché gli effetti tossici si manifestano soprattutto in questi tessuti (tra i più frequenti: la diminuzione dei globuli bianchi, i disturbi gastrointestinali e, in alcuni casi, la completa perdita dei capelli). Questi ‘effetti collaterali’ hanno reso la chemioterapia comprensibilmente temuta. Occorre però tener presente che solo con dosi adeguate di farmaco si può sperare di eradicare un tumore; che gli effetti tossici sono di solito reversibili, e che oggi vi sono molti modi per alleviare i sintomi spiacevoli: esistono terapie specifiche di supporto per sostenere i pazienti nel periodo della chemioterapia, sia per quanto riguarda gli effetti sul midollo osseo, che per i disturbi gastrointestinali; un controllo accurato della funzionalità epatica e renale e delle funzioni cardiovascolari diminuisce i rischi di esiti tossici da chemioterapici. È chiaro, d’altra parte, che tutto ciò va spiegato al paziente in anticipo; e occorre stabilire con il paziente stesso se la speranza di guarigione o di controllo della malattia giustifichi l’inizio di un trattamento chemioterapico, tenendo conto anche del fatto che alcuni tumori rispondono a queste cure assai più di altri. In questo senso, centinaia di sperimentazioni cliniche hanno permesso di stabilire, su base in buona parte empirica ma in modo rigoroso, quali caratteristiche combinazioni di farmaci danno i migliori risultati, e quando è meglio combinare la chemioterapia anche con la radioterapia.
Da tempo si cerca di migliorare la chemioterapia identificando in modo più preciso il ‘tallone d’Achille’ di ogni singolo tumore. In altre parole, oggi si può puntare non solo sul ritmo più elevato di divisione cellulare dei tumori, ma anche su bersagli più specifici. Ad es., una proteina della superficie cellulare, pur essendo presente sia su cellule normali sia su cellule tumorali, può essere per le seconde più cruciale: su questo concetto si basa l’impiego di anticorpi diretti contro tale proteina nella terapia di alcuni tumori. Un esempio ormai consolidato è l’impiego del trastuzumab nella terapia del cancro del seno. Sono in atto molte ricerche, inoltre, per colpire alcuni tumori nella loro produzione di vasi neoformati (neoangiogenesi): la combinazione di fattori bloccanti questa caratteristica del tumore con chemioterapici tradizionali abbassa la resistenza delle cellule neoplastiche alla chemioterapia. Con riferimento a questo e ad altri casi si parla oggi di farmaci ‘intelligenti’: grazie alla loro specificità si può presumere che siano meno tossici di quelli tradizionali, e spesso è così. Tuttavia, non è per nulla giustificato considerare i farmaci intelligenti in contrapposizione alla chemioterapia più tradizionale, e ciò per due motivi. In primo luogo, anche i farmaci intelligenti hanno effetti collaterali, talvolta inaspettati (ad es., il trastuzumab può essere cardiotossico); in secondo luogo, in molti casi un’efficacia ottimale si ottiene proprio mediante l’uso combinato di chemioterapici tradizionali e farmaci intelligenti.