In diritto, termine con cui si indicano istituti diversi, che hanno in comune il concetto del trasferimento di un bene da un soggetto a un altro.
C. dei beni ai creditori Contratto con il quale il debitore incarica i suoi creditori o alcuni di essi di liquidare tutte o alcune sue attività e di ripartire tra loro il ricavato in soddisfacimento dei loro crediti. La ratio di questo contratto riposa nell’intento comune a debitore e creditori di evitare i tempi e i costi delle procedure esecutive. La c. dei beni ai creditori, disciplinata dal codice civile (art. 1977-1986), è soggetta all’onere di forma scritta a pena di nullità. Il debitore perde il potere di disporre dei beni ceduti ma, in assenza di patto contrario, è liberato verso i creditori solo dal giorno in cui essi ricevono la parte loro spettante sul ricavato della liquidazione e nei limiti di quanto hanno ricevuto. I creditori cessionari devono agire secondo le regole del contratto di mandato e il debitore ha diritto di controllare la gestione e di averne il rendiconto alla fine della liquidazione, o alla fine di ogni anno se la gestione dura più di un anno. La c. è annullabile se il debitore, avendo dichiarato di cedere tutti i suoi beni, ha dissimulato parte notevole di essi, ovvero se ha occultato passività o ha simulato passività inesistenti.
C. del contratto Negozio giuridico, introdotto nel diritto italiano dal codice civile del 1942, attraverso cui si opera il trasferimento di un rapporto contrattuale nella sua interezza. Tale trasferimento può avvenire su iniziativa di una qualsiasi delle parti che hanno dato vita al contratto, ma occorre: a) che da questo derivino obbligazioni corrispettive; b) che quest’ultime non siano ancora state eseguite; c) che l’altra parte vi consenta. L’istituto dà dunque luogo a un negozio plurilaterale, a formare il quale occorrono le volontà di cedente, cessionario e ceduto. Quest’ultimo può dare il proprio consenso successivamente all’accordo fra cedente e cessionario, e allora la c. è immediatamente efficace nei suoi confronti; ovvero preventivamente, nel qual caso occorre che gli venga data comunicazione del perfezionamento del negozio. La comunicazione non è necessaria se il ceduto abbia prestato preventivamente il proprio consenso in un documento nel quale sia stata inserita la clausola all’ordine, essendo sufficiente la girata del documento per perfezionare la cessione. Con la c. il cedente viene liberato dalle proprie obbligazioni nei confronti del ceduto, subentrando al suo posto, anche in queste, il cessionario. Il cedente dovrà garantire al cessionario soltanto la validità del contratto, ma può assumere anche la garanzia dell’adempimento, rispondendo allora come un fideiussore (art. 1406 e seg. c.c.).
C. del credito Contratto mediante il quale il creditore (cedente) trasferisce con il solo consenso legittimamente manifestato il diritto di credito a un terzo (art. 1260 c.c.). La legge disciplina tale figura come schema parziale di negozio. In concerto, pertanto, esistono la c. a titolo oneroso, a titolo gratuito, in funzione di pagamento, a scopo di garanzia. La c. può avere a oggetto qualsiasi credito, purché non ne sia vietato il trasferimento e abbia natura non strettamente personale. L’eventuale esclusione pattizia della cedibilità del credito non è, tuttavia, opponibile al cessionario se non si prova che egli ne era a conoscenza al momento della cessione. Per l’efficacia della c. tra cedente e cessionario non è necessario il consenso del debitore (ceduto), ma il cedente, se la c. avviene a titolo oneroso, è tenuto a garantire solo l’esistenza del credito (nomen verum), non già la solvibilità del debitore (nomen bonum), a meno che non abbia assunto espressamente anche tale garanzia. Il credito si trasferisce con tutte le garanzie e i privilegi dai quali era assistito. Rispetto al ceduto, la c. ha effetto soltanto quando egli l’abbia accettata o gli sia stata notificata. Tuttavia, anche prima della notificazione, il debitore che paga al cedente non è liberato se il cessionario prova che il debitore era a conoscenza dell’avvenuta cessione. Se il cedente ha effettuato più atti di c. a diverse persone, prevarrà quella c. che sia stata notificata per prima al debitore o che questi abbia accettato per prima con atto di data certa (art. 1260 c.c.).
La c. del credito a scopo di garanzia è attuata dal creditore cedente a un terzo cessionario al fine di garantire l’adempimento di un debito. L’istituto, inizialmente disciplinato in talune leggi speciali per garanzie particolari (per es., l. 958/1949; l. 968/1953 ecc.), ha avuto al di fuori di queste fattispecie una notevole diffusione, giustificata dal fatto che sovente nella pratica degli affari un soggetto imprenditore, pur titolare di crediti verso terzi (per es., non ancora esigibili), debba fronteggiare un’esigenza di liquidità e richieda un finanziamento offrendo in garanzia detti crediti. La figura viene considerata come ammissibile (d. legisl. 170/2004), in quanto non solo la garanzia è causa idonea al trasferimento di un diritto, ma anche perché non sussistono, almeno di regola, quelle ipotesi di abuso, in senso ampio, che sono a fondamento del divieto del patto commissorio (➔ patto).
C. di eredità Cessione dell’eredità nel suo complesso, considerata come un tutto unitario e inscindibile. Con la c. non viene trasferita la qualità di erede e questi continua a rispondere dei debiti ereditari. Il cedente è tenuto a garantire soltanto la sua qualità di erede a meno che non abbia specificato gli oggetti dell’eredità. La c. deve essere fatta per atto scritto, a pena di nullità. Può avvenire a titolo sia oneroso sia gratuito. È istituto di rarissima applicazione pratica.