GHERARDI, Cesare
, Nacque a Fossato di Vico, nell'Appennino umbro-marchigiano, nel 1577, primogenito di Ludovico di Gherardo, dottore in legge, e di Silvestra di David.
Avviato alla carriera paterna, il G. si trasferì nel capoluogo umbro per compiervi gli studi universitari. Laureatosi il 27 giugno 1602, assunse subito dopo l'incarico di lettore di diritto canonico nell'Università di Perugia. Il 19 giugno 1603 ebbe la cattedra di diritto civile, che resse fino al 1611. Analogamente al padre, ottenne la cittadinanza onoraria di Perugia, da dove nel 1612 si trasferì a Fermo, andando a occupare la cattedra di diritto canonico lasciata vacante dal bolognese A. Marescotti.
Accanto alla preferenza per gli studi canonistici e alla tradizione dell'Università fermana di affidarli a professori provenienti da Perugia, la scelta del G. era uno dei primi segnali della decadenza della giurisprudenza perugina, prevalentemente caratterizzata da figure interessate alla carriera nell'amministrazione ecclesiastica più che alla ricerca. Infatti, il G. insegnò a Fermo fino al 1618, ma presto si stancò di uno stato di cose che gli sembrava noioso e poco redditizio. Secondo gli autori umbri contemporanei, negli anni di insegnamento scrisse "prelectiones super varios tractatus" in campo legale, delle quali però non resta traccia. Invece si sono conservate le sette lettere di Scipione Tolomei indirizzate "al dottor Gherardi in Fermo" e pubblicate senza data nel 1617: trattano argomenti amicali, con saluti e ringraziamenti a seguito di favori.
Nel 1618 il G. riuscì a far segnalare il suo nome al cardinale nipote Scipione Borghese, che aveva bisogno di un uditore a Roma. Accettato immediatamente il posto, abbracciò il sacerdozio e, attirandosi con abilità la fiducia del cardinale, in poco più di due anni percorse i gradi di una carriera rapidissima. Sempre nel 1618 ottenne prima il canonicato a S. Maria Maggiore e poi nella basilica di S. Pietro. Il 12 giugno 1619 diventò referendario delle due Segnature ed entrò poi nella Sacra Consulta. Infine, l'11 genn. 1621, nel corso dell'ultima promozione cardinalizia di Paolo V, ottenne la porpora, appena in tempo per partecipare, come partigiano dei Borghese, al conclave che seguì di pochi giorni.
Dal nuovo papa Gregorio XV ebbe, il 3 marzo, il titolo di S. Pietro in Montorio e, poiché il suo patrimonio era alquanto inferiore a quello di un cardinale (ammontava a poco oltre le rendite del canonicato, con l'aggiunta di un donativo di 150 scudi fattogli dal Municipio di Fossato dopo l'elezione), il 2 maggio 1622 gli fu assegnato il vescovato di Camerino. Lo consacrò il cardinale Borghese, nella chiesa di cui era titolare, il 22 maggio.
Le ragioni di questa ascesa sono ancora oggi oscure. Teodoro Ameyden la attribuisce in parte all'uso dei Borghese di promuovere personalità sconosciute che, in quanto tali, per la gratitudine dell'avanzamento sarebbero state loro fedeli (anche Michelangelo Tonti e Domenico Rivarola divennero cardinali, scrive Ameyden, dopo essere stati uditori del cardinale nipote) e in parte a un concorso di circostanze fortuite e veti incrociati che bloccarono la nomina di curiali più noti e più esperti. L'elezione di un "vir novus" senza pratica di Curia destò stupori, ma il G. seppe sostenere i Borghese senza crearsi nemici tra i loro avversari e amministrò con parsimonia le sue rendite, mantenendo lo stile di vita accademico. Cercò di ampliare i suoi interessi alla storia e all'archeologia patrie, finendo però con l'appoggiare tesi discutibili, come quella di G.B. Lauri sull'autenticità della reliquia dell'anello nuziale della Madonna conservato a Perugia.
Recatosi a visitare la propria diocesi, promosse dei restauri nella cattedrale, che dotò di preziosi arredi sacri e di un pulpito. Nuovamente in conclave nel luglio del 1623, non avendo probabilità di essere eletto perché unanimemente ritenuto troppo giovane, si adoperò in favore della fazione Borghese fino al 4 agosto, quando dovette ritirarsi, colpito insieme con altri cardinali e conclavisti dalla malaria. Nel momento cruciale dell'elezione di Urbano VIII, all'alba del 7 agosto S. Borghese richiamò il G. in conclave, ma questi fu trovato in condizioni troppo gravi per muoversi.
Il 19 sett. 1623 fece testamento, lasciando un legato di 1500 scudi al nipote Giovanni Battista, e il 30 morì, a Roma, ad appena 46 anni. Fu sepolto nella chiesa di S. Francesco a Ripa, dove gli fu innalzato un modesto monumento funebre; altre iscrizioni in suo onore si trovano nel palazzo dell'Università di Fermo e nella sua casa natale.
Fonti e Bibl.: Bibl. apost. Vaticana, Chigiano I.III.88, cc. 205-206v; S. Tolomei, Lettere, Perugia 1617, pp. 368, 553, 594, 739, 767, 775, 777; G.B. Lauri, De annulo pronubo Deiparae Virginis, Coloniae Agrippinae 1626, p. VIII; F. Petruccelli della Gattina, Histoire diplomatique des conclaves, II, Paris 1865, pp. 15, 70, 74, 77; V. Curi, L'Università degli studi di Fermo, Ancona 1880, pp. 94 s.; T. Curi, Le tradizioni della scuola di diritto civile nell'Università di Perugia, Perugia 1892, pp. 108, 110; A. Alfieri, Fossato di Vico, memorie storiche, Roma 1900, ad indicem; L. von Pastor, Storia dei papi, XIII, Roma 1931, ad indicem; P. Gauchat, Hierarchia catholica, IV, Monasterii 1935, pp. 14, 131; A. Bastiaanse, Teodoro Ameyden (1586-1656), un neerlandese alla corte di Roma, V, 's Gravenhage 1967, p. 334; G. Ermini, Storia dell'Università di Perugia, I, Firenze 1971, p. 538.