GENNARI, Cesare
Figlio di Ercole e di Lucia Barbieri, sorella di Giovan Francesco, detto il Guercino, nacque a Cento, dove fu battezzato il 12 dic. 1637.
Crebbe nella dimora bolognese dove le famiglie Barbieri e Gennari, lasciata Cento, si erano sistemate fra il 1643 e 1644. Ebbe così modo, insieme con il fratello maggiore Benedetto, di crescere accanto allo zio Guercino, di cui divenne l'interprete più profondo e appassionato. Come tutti i componenti della bottega, trasse copie da dipinti del maestro: è nota quella del S. Rocco, eseguita insieme con il fratello, il cui originale è andato perduto (1668: Ferrara, Pinacoteca nazionale, dalla chiesa di S. Rocco). Nel corso degli anni Cinquanta Benedetto e il G. iniziarono una loro attività autonoma - prontamente lo Scannelli registrava la loro "straordinaria riuscita" - operando anche a due mani, circostanza cui risalgono secolari incertezze attributive.
A studi recenti si deve una maggior consapevolezza delle loro distinte personalità. Nel comune richiamo al sapiente classicismo tardo-guercinesco, Benedetto, più accademico e mondano, si volse a visualizzare preziosamente oggetti e costumi, il G. a perseguire un più robusto e sintetico naturalismo, aperto ai caldi recuperi neoveneti del coté naturalistico della tradizione reniana (S. Cantarini, F. Torri, e anche E. Sirani), come alle più ammodernate sperimentazioni barocche bolognesi (D.M. Canuti, L. Pasinelli). Per ambedue, in particolare nel genere della ritrattistica alla moda di cui divennero specialisti, contarono inoltre gli echi del naturalismo lombardo, importati a Bologna da P.F. Cittadini.
Il percorso del G., non del tutto facile da seguire, è peraltro scandito da molte opere accertate anche cronologicamente, sia ab antiquo sia di recente. Per primo è noto il ritratto di Teresa Dondini Spada (firmato e datato 1657 sul retro, conservato a Modena, collezione privata: Benati, 1998), la cui florida fisicità, cromaticamente esaltata dai pizzi e dai fiocchi del prezioso costume, dà subito testimonianza dei suoi orientamenti; a confronto con questo, gli va riferito anche il ritratto di Dorotea Fiorenzi Sacenti (Bologna, Opera pia dei poveri vergognosi), già accostato a Benedetto, poi a Cittadini (Cicatelli, p. 203; Rojo, pp. 173 s.). A questo tempo giovanile sembra risalire la collaborazione del G. col fratello nella stesura della Madonna del Rosario (Forlì, Pinacoteca civica). Nelle opere del decennio seguente, tutte rigorosamente guercinesche, tanto da essere spesso riferite al maestro, il suo tocco diviene via via più sensuoso e caloroso. Sono di questo tempo: La Pace e la Carità (1661: Roma, Galleria nazionale d'arte antica, da Corte di Novellara; Bagni, 1986, p. 295); la Maddalena nel deserto (1662: Cento, Pinacoteca civica, dalla chiesa di S. Maria Maddalena); la S. Maria Maddalena de' Pazzi con i ss. Alberto e Andrea Corsini (1663: Bologna, S. Martino Maggiore); la Nascita di Adone e la Morte di Adone (1665: già Dresda, Gemäldegalerie, da Corte di Novellara); il ritratto di Alfonso Gonzaga di Novellara, tanto più vitale del compassato ritratto della consorte Ricciarda Cibo, eseguito contemporaneamente da Benedetto (1666: Modena, Galleria Estense, da Corte di Novellara). Dipinto a due mani, nel caso ben amalgamate, è il S. Leopardo che innalza la croce (1668: Osimo, battistero del duomo). La S. Rosa da Lima (Bologna, S. Domenico), riferita nel tempo anche a Benedetto, ma accertata del G. dalla citazione del Malvasia (p. 225) e il Martirio di s. Caterina (Cento, Pinacoteca civica, dalla chiesa di S. Caterina), opere di controversa datazione, sembrano tuttavia preludere - nel patetismo della prima e nella retorica ampiezza della seconda - agli intenti più apertamente barocchi della Maddalena penitente (Milano, Finarte, 5 dic. 1978, lotto 60) e dell'Annunciazione, la più genuina - e l'unica da lui firmata - delle tre tele eseguite per la certosa di Villeneuve-lès-Avignon (le altre due, l'Adorazione dei pastori e, in particolar modo, l'Adorazione dei magi, recano anche l'impronta della mano di Benedetto): datate agli anni 1670-72 e conservate nel Museo municipale di Villeneuve-lès-Avignon, le tre tele sono state riferite al solo G. da Antonio di Paolo Masini (ms., 1690, in Arfelli). Segue l'appassionata Sacra Famiglia (1674: Firenze, Galleria Palatina), inviata dall'autore al cardinal Leopoldo de' Medici (Borea, p. 208), cui si può affiancare il Cristo deriso, già sul mercato bolognese (Gallerie G. Algranti, 1989, n. 82: attribuzione di D. Benati).
Nel ritratto di Laura Garzoni (firmato e datato 1676: Budrio, Pinacoteca comunale) si insinua una nota di ombrosa malinconia che accompagna la sua tarda produzione: la mobile e annuvolata Apparizione della Vergine a s. Nicola da Bari, nutrita di luminismo canutiano (1680: Bologna, S. Niccolò degli Albari; un bel disegno preparatorio in Mahon, 1967, pp. 74 s.), cui si può accostare la Pittura (Roma, Galleria nazionale d'arte antica: Bagni, 1986, p. 296). Sensibile attenzione alle preziose dolcezze di L. Pasinelli accomuna un delicato S. Giovannino (Londra, Christie's, 3 luglio 1996, lotto 408), la Flora, già riferita al padre Ercole (Bologna, Pinacoteca nazionale, dalla collezione Zambeccari: Clerici Bagozzi, 1986, p. 191), il ritratto di Gentildonna con bambino (Modena, collezione della Banca popolare dell'Emilia-Romagna: Benati, 1987, pp. 120-122) e la S. Apollonia (post 1686: Bologna, S. Maria dei Servi). Secondo una tradizione bolognese, seguita anche dallo zio Guercino, il G. tracciò gustose caricature, come quelle di un Parrocchiano di S. Tommaso (Firenze, Galleria degli Uffizi, Gabinetto dei disegni e delle stampe: Malaguzzi Valeri) e di un Cuoco (1681: Princeton, The Art Museum, Princeton University; Roli, 1969, p. 40). Come Benedetto, anche il G. eseguì un Autoritratto per il granduca di Toscana, oggi molto deteriorato (1686: Firenze, Galleria degli Uffizi).
Morì a Bologna il 12 febbr. 1688. Gli furono tributati solennissimi funerali, di cui ci è giunta ampia testimonianza.
Da Giovanfrancesco, figlio del G., nacque nel 1712 a Bologna Carlo Maria, uomo di legge e accademico clementino, ma anche pittore, incisore e disegnatore dilettante. Di lui si apprezzavano i disegni di paesaggio "fatti con ispirito e gusto di macchia" (Calvi). Fra i pochi dipinti citati dalla storiografia coeva sono noti: un ritratto di Carlo II d'Inghilterra, copia di un originale del prozio Benedetto (firmato e datato 1766: Rettorato dell'Università di Bologna); una Decollazione del Battista (1750 circa: Cento, S. Biagio); due ovati con S. Elisabetta regina d'Ungheria e S. Luigi re di Francia (Medicina, S. Mamante, proveniente dalla chiesa dei Ss. Francesco e Anna). Risultano dispersi un S. Matteo e l'angelo (già Bologna, chiesa distrutta di S. Matteo) e un S. Vincenzo Ferreri (già Castel San Pietro Terme, chiesa parrocchiale).
La sua personalità come disegnatore di paesaggi è stata chiarita da Mahon (1969) con il ritrovamento di un Paesaggio con due figure di sicura provenienza da casa Gennari (Stoccarda, Staatsgalerie) e il conseguente riconoscimento di altri disegni (Bagni, 1985, pp. 223 s., tavv. 190-206). È inedito il disegno Paesaggio con castello ed una figura (Modena, Museo civico, catalogato secondo la vecchia numerazione, n. 25, cassetto n. 3).
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