CAMPORI, Cesare
Nato a Modena il 15 ag. 1814 dal marchese Carlo e da Marianna dei conti Bulgarini di Mantova, a dieci anni entrava come convittore nel locale Collegio dei nobili, o di S. Carlo, intraprendendovi il tradizionale corso di studi. Nel 1833 era giunto quasi alla fine del corso filosofico (corrispondente all'odierno liceo) quando fu costretto a rientrare in famiglia a causa di una grave malattia che durò a lungo, ed ebbe come conseguenza una progressiva diminuzione dell'udito, tale da portarlo nel giro di pochi anni alla completa sordità. Continuò però gli studi privatamente sotto la guida di G. Riva, dedicandosi particolarmente alla letteratura e alla poesia.
Pubblicò a Modena nel 1835 la sua prima operetta poetica (Tre inni: l'amore, l'amicizia, la pietà), e l'anno dopo una breve novella in versi (Giulio e Adele). Una sua poesia in omaggio e lode del duca Francesco IV (1837); una cantica in terzine in forma di visione d'intonazione vagamente montiana, scritta in morte della duchessa Maria Beatrice Vittoria (1840);versi in lode della principessa Aldegonda di Baviera, sposa (1842)del principe ereditario di Modena, documentano la devozione del giovane C. alla casa ducale e il suo orientamento politico. La sua famiglia era tradizionalmente ligia agli Estensi: il padre era ciambellano del duca e comandante della guardia nobile d'onore; anche il C. aveva il titolo di ciambellano. Tuttavia non aderì mai a quella corrente ultraconservatrice e ultralegittimista che aveva in Modena la sua roccaforte: non si interessava di politica, ma solo di letteratura e specialmente di letteratura drammatica. Nel 1841 presentò all'Accademia di scienze lettere ed arti, della quale l'anno medesimo era stato nominato socio effettivo, una Dissertazione intorno al dramma lirico, in cui tra l'altro sosteneva che nel melodramma di tipo metastasiano, la parte melica era troppo spesso oziosa rispetto allo svolgimento dell'azione drammatica e che nel melodramma del tipo da lui detto "moderno" l'uso dei metri lirici era eccessivo. Tali difetti il C. cercò di evitare nei due melodrammi (da lui chiamati melotragedie), che pubblicò a Milano nel 1842 (Nepomuceno Orsini ed Osmia). Lodarono parcamente questi lavori il Pellico, il Paravia, il Marenco e il Maffei (tutti amici del C.) e li criticò duramente Felice Romani.
Nel 1844 fece un lungo viaggio all'estero: visitò città della Francia, del Belgio, dell'Inghilterra, dell'Olanda, della Germania renana e della Svizzera. La conoscenza di questi paesi e dei loro regimi politici, assai più liberali e progrediti di quello cui egli era avvezzo, contribuì probabilmente al mutamento delle sue opinioni. Forse il suo temperamento, certamente la sordità gli impedirono una partecipazione attiva alla vita pubblica; ma i suoi scritti lasciano capire che egli, da questi anni in poi, cominciò a sentire fortemente l'aspirazione all'indipendenza d'Italia e ad avvicinarsi alle idee dei cattolici liberali. Al tempo stesso, pur continuando a scrivere versi (la sua ultima raccolta, intitolata Liriche e racconti poetici, fu pubblicata a Modena nel 1868), cominciò a prendere interesse agli studi di erudizione storica, per i quali soltanto merita di essere ricordato.
Nel 1847 collaborò all'Educatore storico, un periodico modenese che si proponeva di divulgare, specialmente tra i giovani, cognizioni storiche con intenti anche patriottici. Quando, nel dicembre 1847, Modena fu occupata da un presidio austriaco, il C. si trasferì a Bologna. Tornò a Modena dopo la partenza del duca e degli Austriaci (21 marzo 1848), e vi rimase fino al loro ritorno (9 ag. 1848) collaborando ai giornali liberali che in quei mesi si stamparono a Modena: L'Italia centrale e L'Indipendenza italiana. Passò poi, col fratello Giuseppe, di nuovo a Bologna e di lì a Firenze, dove i due si trattennero per parecchi mesi finché, obbedendo alle pressanti sollecitazioni dei genitori, tornarono a Modena.
Nel 1850 sposava la marchesina Adele Ricci di Macerata. Nel 1851 pubblicava a Torino due drammi lirici: Federico Barbarossa a Redona ed Ezzelino III:lavori che appartengono a quella letteratura romantica in cui la rappresentazione di particolari personaggi e momenti della storia italiana si colora del sentimento politico nazionale e rinfocola l'aspirazione all'indipendenza e alla libertà. L'anno dopo pubblicò i ricordi dei suoi viaggi all'estero (Viaggi d'oltremonte, Modena 1852) dedicandoli a M. d'Azeglio, della cui figlia Alessandrina, andata sposa a Matteo Ricci, era divenuto cognato: un libro ancor oggi di piacevole lettura. Negli anni tra il 1853 e il 1860 il C. non pubblicò nulla di importante: furono anni di attesa e di preparazione, in cui attraverso letture di testi e ricerche d'archivio si precisò la sua vocazione di storico, interessato soprattutto alla storia modenese (cominciò in quegli anni anche una Storia di Modena rimasta incompiuta), mentre il suo pensiero politico andava sempre più accostandosi a quello dei moderati piemontesi, tra i quali aveva molti amici. Gli avvenimenti del 1859-60 e l'annessione delle province modenesi allo Stato sabaudo furono quindi da lui accolti con entusiasmo e senza riserve fu la sua adesione al nuovo regime. Il 10 febbr. 1860 un decreto del Farini fondò a Modena la Deputazione di storia patria, e il C. fu uno dei sette soci nominati col decreto istitutivo stesso: cominciava così un periodo di intensa attività di studio e di produzione che durò fino alla morte.
L'opera più importante alla quale attese poco dopo il 1860 fu l'edizione degli Statuta civitatis Mutinae anno 1327 reformata, che pubblicò a Parma nel 1864. Il testo fu stabilito sulla base di un manoscritto pergamenaceo dell'Arch. stor. comun. di Modena (che è l'originale presentato a Obizzo e Niccolò d'Este quando nel 1336 divennero signori della città), collazionato con un altro manoscritto, probabilmente sincrono, dello stesso archivio. L'edizione, anche se oggi può apparire filologicamente tutt'altro che irreprensibile, sia per il metodo seguito sia per i non rarissimi errori di lettura, fu condotta con grande diligenza e corredata di utili note. Il C. vi premise un ampio studio (pubbl. a parte, Modena 1864), Del governo a Comune in Modena, in cui, utilizzando statuti anteriori a quelli da lui editi, statuti di corporazioni e altri documenti coevi, diede una descrizione degli ordinamenti cittadini, con speciale riguardo agli uffici pubblici, alla legislazione, alla situazione della Chiesa, alle finanze, alle milizie, all'agricoltura e ai commerci, mettendo in luce particolari fino allora ignoti.
Negli Atti della Deputazione ed in quelli della R. Accademia di Modena il C. pubblicò, nell'ultimo ventennio della sua vita, una trentina di memorie, quasi tutte d'argomento modenese: in particolare si occupò degli statuti di Mirandola, Correggio, San Martino in Rio, Fanano, Fiumalbo e altri paesi, dei vescovi di Modena Guido, Eriberto e Leodoino, dei Longobardi nel Modenese, di alcuni cronisti ignoti o poco noti, delle vicende del Frignano, di Galeotto, Cesare, Alfonso, Ernesto e Raimondo Montecuccoli, e di alcuni artisti concittadini contemporanei, come Giuseppe Obici e Luigi Poletti.
L'opera più importante del C. (Raimondo Montecuccoli, la sua famiglia e i suoi tempi) fu pubblicata a Firenze dal Barbera nel 1876. Lavorando su materiale in gran parte inesplorato degli archivi Estense, Mediceo e di altri minori, in un massiccio volume di quasi 600 pagine, folto di indagini minute, di precisazioni e di rettifiche a quanto sull'argomento era stato scritto, il C. ha ricostruito un'attentissima biografia del personaggio e una vivace descrizione degli ambienti in cui agi. Tanto che un recensore poté scrivere che l'opera era il più importante contributo alla storia della Germania uscito dalla penna di autore italiano vivente. Tradotta in tedesco dal De Hessert, ebbe buon successo anche in Austria e in Germania; e sebbene, com'è inevitabile, non sia esente da inesattezze e lacune, resta pur sempre, anche dopo gli studi di Alois Veltzé, di Adriano Gimorri e di Piero Pieri, un'opera fondamentale. L'autore non si occupò quasi affatto degli scritti del Montecuccoli, ma, come ha osservato il Raimondi, dalla biografia del personaggio esce in parecchi casi anche nuova luce sul problema delle opere e della loro genesi.
Nel 1876 il C. perdeva il figlio diciannovenne Amico, e nel 1878 la moglie, che sempre lo aveva aiutato a sopportare la sua grave menomazione. Nello stesso anno pubblicò un'accurata Storia del Collegio S. Carlo. L'anno seguente, per riposarsi e distrarsi, faceva un viaggio in Provenza e a Lione, pubblicandone i ricordi l'anno medesimo (Un viaggio invernale, Modena 1879), con dedica al gen. Ricotti, divenuto suocero di suo figlio Pietro.
Morì improvvisamente il 5 sett. 1880 a Milano, dove si era recato per partecipare al II Congresso storico italiano.
Appassionato bibliofilo, aveva raccolto circa 300 manoscritti, per lo più dei secc. XVII e XVIII e d'argomento storico. A cura del fratello Giuseppe uscirono postume (Modena 1896) le sue Notizie storiche del Frignano, messe insieme nel corso delle ricerche sulla famiglia Montecuccoli.
Fonti e Bibl.: Modena, Biblioteca Estense, Racc. Ferrari Moreni, Famiglie modenesi, bb. 26, 27; Ibid., Mss. Ital. 1652, 1662, 1779, 1833, 1860; C. Campori, Elenco dei manoscritti dellacoll. del march. C. C., Modena 1860; D. Carutti, Rassegna bibliografica, in Arch. stor. ital., s. 3, XXV (1877), pp. 309-321; E. Sangiorgi, Bollettino bibliografico, in Arch. stor. lomb., VIII (1881), pp. 221-24; M. Ricci, Necrologio di C. C., in Arch. stor. ital., s. 4, VI (1880), pp. 339-43; L. Vaccà, Il march. C. C., commemorazione, Modena 1881; M. Campori, Bibliografia del march. C. C., in Atti e memorie della Deput. di storiapatria per le antiche prov. modenesi, s. 4, X (1900), pp. 100-107; E. Raimondi, Per un'edizione delle opere del Montecuccoli, in Lettere italiane, XVII (1965), p. 149.