CALINI (Calino), Cesare
Nacque a Brescia il 4 febbr. 1670 dal conte Carlo Francesco e da Elena Provaglio, in una famiglia del luogo di antiche tradizioni. Terzo di sei figli maschi (Camillo, Francesco, Ferdinando, Alessandro e Orazio), fu avviato ben presto alla vita ecclesiastica ed il 14 nov. 1684 vestì l'abito della Compagnia di Gesù nel noviziato di Brescia. Ordinato sacerdote, insegnò per alcuni anni umanità a Faenza e a Parma, e per due anni retorica a Venezia. Trasferito a Bologna all'inizio del secolo XVIII, insegnò per molti anni filosofia nel Collegio dei nobili di S. Francesco Saverio diretto dai gesuiti e quindi, dopo il 1720, tenne per quattordici anni la cattedra di diritto canonico nel collegio di S. Lucia della medesima città. Lasciò Bologna soltanto saltuariamente per recarsi nella città natale, ove fu socio dell'adunanza Mazzuchelli, o per esercitare le sue eccellenti doti di predicatore in molte città: tra Paltro, a Modena, Parma, Venezia, Ferrara, Lucca e Roma. Il C. morì a Bologna il 19 ag. 1749.
A questa scarna biografia fa riscontro un'attività pubblicistica di vasta mole, che almeno per alcuni aspetti ebbe una risonanza non effimera. In quasi tutti gli scritti del C. appare subito in primo piano l'oratore sacro: l'argomento, lo stile, il linguaggio sono tipici del predicatore del primo Settecento. Ma sotto questo rivestimento formale si scorge un profondo impegno morale, che lo porta a giudicare la società del suo tempo in tutti i suoi aspetti, religiosi, politici ed economici, a denunciarne i difetti e a suggerire i rimedi, che egli indica ovviamente nell'applicazione dei principî morali del cattolicesimo: l'analisi del C. è naturalmente ingenua e legata a una mentalità troppo astrattamente moralistica; stupisce, comunque, la sua sistematicità che investe ogni aspetto della vita sociale.
La prima e la maggiore opera del C. è costituita dalle Lezioni sacre e morali sopra il libro primo de' Re, adattate ad ammaestrar ne' costumi ogni genere di persone, pubblicata in dieci volumi dal 1711 al 1723 (i primi otto a Bologna e gli ultimi due a Venezia).
Essa ebbe un notevole successo anche all'estero, conoscendo varie edizioni in latino dal 1736 in poi e una traduzione in lingua spagnola (Lecciones sagradas y morales sobre el libro primero de los Reyes…, Madrid 1784-86). Il C., nel somministrare i suoi ammaestramenti morali, trae spunto dagli episodi e dalle frasi della Sacra Scrittura: ma la spiegazione dei passi biblici è un puro pretesto; in effetti egli guarda sempre ai problemi dei suoi contemporanei soprattutto delle classi superiori, forte di un'esperienza derivante dalla frequentazione sia delle nobili famiglie dei suoi allievi, sia del patriziato bresciano. Ecco, quindi, presentare in primo piano i pericoli dell'immoralità all'interno della famiglia: l'adulterio, la cattiva educazione dei figli, l'incapacità di amministrare accortamente ed onestamente il patrimonio, la tendenza ad indirizzare talvolta con la forza i figli alla vita religiosa, la scostumatezza delle donne nel vestire, ecc. Nell'insistenza in questa minuta precettistica, non appare mai l'eco del grande tema che affaticherà i predicatori e i moralisti intorno alla metà del secolo: la lotta contro le eresie e l'incredulità; a contatto con una società che era ancora ben lontana dall'attaccare la supremazia spirituale della Chiesa cattolica, il C. sembra semmai più preoccupato di facilitare l'osservanza delle norme religiose, respingendo un inopportuno rigorismo morale con la presentazione di un'accurata casistica, ispirata all'ormai trionfante benignismo gesuitico. Non manca quindi una indiretta polemica con la dottrina giansenistica in varie affermazioni teologiche del C.: anzitutto egli giudica contrario ai dommi cattolici sostenere che il peccato possa togliere la libertà dell'arbitrio o affermare che nel tesoro divino non vi sia grazia bastante alla conversione di tutti i peccatori; il C. respinge anche l'ipotesi che, come pena dei peccati commessi, Dio neghi al peccatore la grazia per la conversione: secondo lui una tale terribile teoria porterebbe soltanto alla disperazione e ad una maggiore perversione dell'umanità (Lezioni sacre e morali…, II, Bologna 1711, pp. 342-345). Più legati ancora al molinismo sono il favore accordato alla dottrina dell'attrizionisino (cioè che il timore della pena eterna sia sufficiente per riottenere la grazia divina nel sacramento della penitenza, ibid., p. 341), l'importanza attribuita alla cooperazione della volontà umana con la grazia divina per raggiungere la salvezza eterna (III, Bologna 1712, pp. 141 s.) e l'avversione all'opinione che il numero dei dannati sia maggiore di quello degli eletti tra i cattolici (IV, Bologna 1713, pp. 319-321). Di un certo equilibrio il C. dà prova invece nel discutere la questione dell'opportunità della comunione quotidiana, alla quale egli non è favorevole ("Se il cibo eucaristico si riceva ogni giorno, è facile che finalmente si riceva con tiepidezza", in Il popolo Ebreo sotto al governo di Samuele, Lezioni scritturali e morali… nelle quali si espone il capo settimo del Libro primo de' Re, Bologna 1719, p. 72), sostenendo però che non è condannabile chi sia favorevole all'opinione contraria (ibid., pp. 47-77).
Di un certo interesse è un trattato posto in appendice al volume quinto delle Lezioni sacre e morali, cioè le Lezioni teologiche sopra il giuoco (datate 30 dic. 1713), dedicate ai convittori del Collegio dei nobili di Bologna, ma scritte "per estirpare un vizio che da qualche tempo tanto dilatasi nella Italia" (p. 219); furono ripubblicate a parte (Del Giuoco. Lezioni di coscienza…, Padova 1716) e tradotte in spagnolo (Lecciones theologico-morales sobre el Juego, Madrid 1737).
Sulla scorta dei più accreditati moralisti, quali Molina, Salas, Figliucci, Diana, Lessio, il cardinale di Lugo, Suarez, il C. restringe la condanna soltanto ai giochi il cui esito sia del tutto aleatorio e in cui sia in palio una posta di considerazione; egli inoltre giudica gravemente peccaminoso ogni eccesso sia di somma giocata sia di tempo perduto. Ma se in generale il gioco d'azzardo è deplorato, una minuta casistica distingue le mille situazioni in cui il giocare può essere lecito o illecito: ad esempio, non deve giocare chiha da soddisfare un debito precedente (e questo dev'essere sempre saldato con gli eventuali interessi), mentre chi è ricco può giocare e perdere il superfluo (cioè quanto rimane delle entrate dopo aver detratto le spese ordinarie e la giusta somma che si deve versare in elemosina, calcolata - secondo i consigli del Tamburini - nel 2% delle entrate stesse). Ma nel complesso il C. appare combattuto tra il desiderio di non aggravare la condanna, considerata la diffusione di tale vizio, e il tentativo di dissuadere da tale abitudine: per questo egli insiste, forse più che con gli argomenti morali, sulla pericolosità del gioco per la salute fisica (per la tensione emotiva e la vita sedentaria in ambienti chiusi e male illuminati nelle ben note "ridotte").
Anche alla meditazione dei problemi politici il C. dedicò alcuni scritti. Uscì prima L'idea d'un governare paterno proposta a' principi nella esposizione della Parabola del figliuol prodigo, discorso fatto… nella Sala del Senato della Serenissima Repubblica di Lucca… nell'anno 1711 (Lucca 1711, ripubblicato in appendice al terzo volume delle Lezioni…, Bologna 1712).
La questione fondamentale trattata dal C. era quella ormai classica dei rapporti tra moralità e politica, che aveva affaticato gli scrittori secenteschi e che egli risolve, ovviamente, additando al principe come modello il comportamento del padre evangelico, non senza mediare tuttavia alcuni precetti machiavelliani nel raccomandare l'intransigente severità nel punire i delitti dei sudditi e nell'affermare la necessità che il principe sia non solo amato, ma anche temuto, perché "se vorrà essere unicamente pastore, sarà sprezzato" (p. XXXIV).
Alcuni anni dopo vide la luce Ilpassaggio della Repubblica ebrea allo stato di monarchia. Lezioni morali, politiche ed economiche…(Bologna 1720, che forma l'ottavo volume delle Lezioni sacre e morali…).
Qui è invece più avvertita dal C. - come è caratteristica del pensiero politico settecentesco che, abbandonata la speculazione sulla ragion di Stato, volge il suo interesse al tema della felicità pubblica - l'esigenza di porre un limite al potere del sovrano: egli deplora perciò la volontaria soggezione ad un monarca degli Ebrei, che prima - non avendo il "giudice" l'autorità di mutare le leggi, di decidere la guerra, di imporre tributi - godevano di una invidiabile libertà. Il C. sostiene l'origine contrattualistica del potere. fissato a condizioni precise ("convenzioni fondamentali dei Regni") che non possono essere violate. Sulla scia del giusnaturalismo cristiano, ma altresì influenzato dall'incipiente umanitarismo, il C. pone l'accento anche sui temi della giustizia (pp. 26, 133, 170), del bene pubblico (pp. 171-174, 183, 250 s.), e delle classi privilegiate (pp. 531 s., ove trattando dell'inadempienza dei debitori ricchi afferma: "Le porte delle prigioni qu i in terra son troppo anguste: i debiti non v'entran se non son piccoli: i debiti grandi non passano, restan fuori, e passeggiano in libertà. Ma le porte delle carceri giù nell'Infemo son grandi; né i grandi debiti restan fuori. Se tali fossero le carceri in terra, i poveri ne starebbero meno male"). Alcune raccomandazioni di natura economica rivolte ai privati (pagare le mercedi e i debiti, mantenere un tenore di vita non superiore alle proprie possibilità) aprono uno squarcio su uno dei problemi sociali più sentiti a Bologna nel 1720: la progressiva decadenza economica della nobiltà terriera, che comportava parallelamente anche una minore occupazione di manodopera adibita al servizio domestico (pp. 388-406), mentre la miseria aumentava per i danni arrecati negli anni precedenti dai passaggi di truppe straniere, dalle contribuzioni e dall'epidemia dei buoi che aveva causato la morte di circa 40.000 capi. Il C. attribuisce ingenuamente la responsabilità di questi flagelli alla mancanza di devozione dei Bolognesi che aveva eccitato il castigo divino, così come anni prima - scambiando causa ed effetto - aveva individuato nel mancato pagamento dei debiti il "peccato" che avrebbe provocato l'epizoozia del 1714(Lezioni sacre…, V, Bologna 1714, pp. 168-187, ovecomunque il C. ricorda candidamente l'eccezionale siccità del 1709e le disastrose gelate del 1713, che evidentemente erano state le vere responsabili dell'indebitamento e dell'insolvenza dei proprietari terrieri).
Oltre alle Lezioni sacre e morali appartengono al filone moraleggiante e precettistico altre voluminose opere del C.: i Discorsi scritturali e morali ad utile trattenimento delle monache, e delle sacre vergini che si ritiran dal secolo, Bologna 1715-18, in 5 volumi (altre ediz. a Venezia 1724 e 1741;traduz. in tedesco Augspurg 1740, in spagnolo Madrid 1794); Il giovanetto Giuseppe proposto a' giovanetti studiosi. Discorsi, Bologna 1720(altre edizioni Venezia 1721, 1752, 1794 e 1816); Riflessi istorici e morali presentati alle… monache di S. Maria degli Angioli di Verona sopra alcuni Santi dell'Ordine di S. Benedetto…, Venezia 1725; Considerazioni e discorsi famigliari, e morali a comodo di chi voglia ogni giorno fissare il pensiero in qualche verità eterna…, Venezia 1739-44, una monumentale opera in dodici volumi che conobbe ancora un'edizione ridotta nel 1881 a Prato, oltre a traduzioni in tedesco (Augspurg-Graz 1745), in portoghese (Coimbra 1747) e in spagnolo (Madrid 1786).
Tra i panegirici e le agiografie sono meritevoli di ricordo: Nel solennizarsi la canonizzazione di santa Caterina di Bologna…(Bologna 1712); L'appostolato a' poveri argomento alle lodi del beato Gianfrancesco de Regis…(Bologna 1720); Il Compendio della vita, morte e miracoli di San Giovanni Nepomuceno (Venezia 1733).
Il C. rivolse la sua attenzione anche alla storia sacra con il Trattenimento istorico e cronologico sulla serie dell'Antico Testamento, in cui si spiegano i passi più difficili della Divina Scrittura appartenenti alla storia e cronologia…(Venezia 1724), che provocò le critiche dell'erudito parmigiano Francesco Maria Biacca, il quale - contro la tesi del C. - difese l'attendibilità e il sostanziale accordo con le Scritture delle Antichità giudaiche di Giuseppe Flavio: ne nacque una violenta polemica, protrattasi fino al 1734, durante la quale il gesuita richiese perfino l'intervento del S. Offizio contro l'avversario. A questo filone apparentemente storiografico, ma in realtà anch'esso didattico e moraleggiante, il C. dedicò ancora il Trattenimento istorico, teologico e scritturale sopra i Santi Vangeli…(Venezia 1727; altre edizioni ibid. 1728, 1736, 1741 e 1751) e il Trattenimento istorico sopra gli Atti degli Apostoli… (Venezia 1731).
Fonti e Bibl.: Bibl. Apost. Vaticana, Vat. lat.8263, ff. 208-210v; F. A. Zaccaria, Storia letteraria d'Italia, I, Venezia 1750, pp. 334 a.; A. Brognoli, Elogi di Bresciani per dottrina eccellenti nel secolo XVIII, Brescia 1785, pp. 382, 424 5.; G. A. Moschini, Della letteratura veneziana…, I, Venezia 1806, p. 94; V. Peroni, Biblioteca bresciana, I, Brescia 1818, pp. 218 s.; F. Cavalli, La scienza politica in Italia, III, Venezia 1876, pp. 172 s.; H. Reusch, Der Index der verbotenen Bücher, II, Bonn 1885, p. 814; Ch. Sommervogel, Bibliothèque de la Compagnie de Jésus, II, Bruxelles-Paris 1891, coll. 543-553; VIII, ibid. 1898, col. 1965; A. Prandi, Religiosità e cultura nel '700italiano, Bologna 1966, p. 41; V. Spreti, Encicl. storico-nobiliare italiana, Appendice, I, p. 473; Dict. d'Hist. et de Géogr. Ecclés., XI, coll. 397 s.; Enciclopedia cattolica, III, col. 382.