JANNELLI, Cataldo
Nacque a Brienza, in Basilicata, il 20 sett. 1781, da Prospero e da Luisa Labriola. Destinato alla carriera ecclesiastica, frequentò il seminario di Marsiconuovo. Il buon successo negli studi classici gli consentì di essere incaricato, a sedici anni, di insegnare latino nello stesso seminario. Appena presi i voti si trasferì a Napoli, per completare la sua preparazione culturale approfondendo gli studi di filologia classica e di lingue orientali.
Nella capitale divenne molto amico del gesuita Giovanni Andrés, prefetto della Biblioteca reale, destinata a prendere (1816) il nome di Borbonica. Con i suoi buoni uffici ottenne un impiego nella biblioteca: nel 1808 fu nominato "scrittore", con l'incarico di ordinare la sezione dei manoscritti latini, del cui fondo tenne le chiavi fino al 1816. Fu l'inizio di una carriera proseguita per tutta la vita, fino alla massima carica di prefetto.
Le sue prime opere hanno diretto rapporto con i compiti assunti. Curò infatti la trascrizione e il commento di un codice di Nicola Perotti contenente alcune favole di Fedro, conservato presso la biblioteca, piuttosto mal ridotto e con parti poco leggibili, dandolo alle stampe: Codex Perottinus ms. Regiae Bibliothecae Neapolitanae duas et triginta Phaedri fabulas iam notas… continens (Napoli 1809).
La pubblicazione fu occasione di una vivace polemica con un altro erudito, G.A. Cassitto, che nel novembre 1808 aveva anticipato un'edizione dello stesso codice (Phaedri fabularum liber novus e ms. cod. Perottino), in una lezione che lo stesso autore riconobbe molto scorretta. Nel 1811 il Cassitto fece altre due stampe del proprio lavoro, molto diverse dalla prima, con correzioni ispirate all'edizione dello J., che se ne risentì moltissimo e ricorse all'Accademia di storia e antichità per ottenere una sorta di perizia. Una apposita commissione dell'Accademia riconobbe le ragioni dello J. nella relazione che il presidente, C. Rosini, trasmise al ministro G. Zurlo, attestando la correttezza filologica dell'edizione jannelliana e i plagi del Cassitto. A sua volta lo J. ripubblicò Phaedri fabulae ex codice Perottino ms. Regiae Bibliothecae Neapolitanae emendatae, suppletae et commentario instructae (Napoli 1811), cui premise una De Phaedri vita, e poi, nello stesso anno, In Perottinum codicem… dissertationes tres, e l'anno seguente, ancora a Napoli, In Cassittianam novarum fabularum editionem Colloquia.
Nel quadro del dibattito culturale che nel corso del periodo napoleonico, sulle orme di V. Cuoco, si sviluppò a Napoli sulla riscoperta di Giambattista Vico, l'importanza della storia e della filosofia della storia, anche lo J. volse la propria attenzione a questi temi. Piegò in questa direzione i suoi interessi filologici, che anzi acquistarono così nuovo rilievo come strumento fondamentale della scienza storica, cui intendeva dedicarsi.
Questi nuovi interessi trovarono l'occasione di manifestarsi pubblicamente all'inizio della Restaurazione, quando il Cuoco, nominato consigliere di Stato, propose al re di istituire presso l'Università napoletana una cattedra di scienza della storia. Nel 1816 lo J. si propose di concorrervi, vedendo nell'istituenda cattedra la possibilità di contribuire a un rinnovamento istituzionale degli studi nel senso da lui auspicato.
Secondo il nipote Antonio fu A. Belli, primo bibliotecario della Borbonica, amico ed estimatore dei suoi talenti, a presentarlo al Cuoco come "un eccellente vichiano", che avrebbe potuto corrispondere alle sue aspettative. Nei colloqui che seguirono lo J. avanzò le proprie credenziali con un piano di lavoro esposto nel Saggio di un nuovo piano d'istituzioni analitiche di storia universale antica ovvero del corso del genere umano e principalmente de' progressi e sviluppo delle conoscenze e spirito di lui dal diluvio a Gesù Cristo. Il Cuoco, favorevolmente impressionato, lo esortò tuttavia a "dar opera - in primo luogo - a un lavoro che illustrasse la necessità della scienza della storia". Così il Piano apparve solo postumo, sul primo numero della Rivista Sebezia (luglio 1855, pp. 11-36), a cura del nipote Antonio, che ne accompagnò il testo con una breve ricostruzione della genesi e con la lettera inviata dallo J. al Cuoco nel maggio 1816, in risposta a un invito dei fondatori del periodico, B. Fabricatore e G. Serena.
Sulla spinta dell'invito del Cuoco nacque invece il Sulla natura e necessità della scienzadelle cose e delle storie umane. Saggio…, stampato a Napoli, presso il Porcelli, nel 1817, con dedica a Ferdinando di Borbone. Con quest'opera lo J., per unanime giudizio degli studiosi della tradizione vichiana, si collocò in posizione originale tra i primi autentici seguaci di Vico, capace di sviluppare con autonomia la riflessione sulla Scienza nuova nella sua concezione della storia (l'opera fu riproposta come Cenni di Cataldo Jannelli sulla natura e necessità della scienza delle cose e delle storie umane con cenni sui limiti e sulla direzione degli studi storici di Gian Domenico Romagnosi; e Discorso e analoga appendice sul sistema e sulla vita di Vico del professore Giulio Michelet, Milano 1832).
Obiettivo dichiarato dello J. è rivalutare l'importanza della storia, mettendone in risalto l'utilità anche in polemica con le tesi esposte da M. Delfico nei suoi Pensieri sulla storia e sulla incertezza e inutilità della medesima (Forlì 1806). "La vera utilità della storia" - argomento cui lo J. dedicò il cap. XII della prima parte (pp. 93-106) - "è l'utilità scientifica, l'utilità letterata", perché "è in noi un bisogno vivissimo di sapere, un bisogno pressante e perpetuo di conoscere, un bisogno naturale di aver notizia di chechesia", che la storia soddisfa facilmente perché "espone, racconta, narra e se prova e dimostra il fa pure con facili e agevoli maniere", per mezzo della "bella e grata varietà delle materie e degli obietti di cui si occupa: ora leggi, ora costumi, ora istituzioni; ora fatti pubblici, ora privati, or popolari, or filosofici, ora arti, ora mestieri, ora scienze; ora guerre, ora paci"; in sostanza "non v'ha obietto di umane cose di cui ella non tratti" (ibid., pp. 103 s.).
Occorre quindi tornare alla scienza della storia, distinguendo in essa una "scienza delle umane cose", per la quale si richiede che si approntino strumenti di indagine che consentano di certificare e ricostruire su prove e testimonianze certe il processo evolutivo delle società umane, e "una scienza delle storie umane" (o istorosofia, secondo la sua definizione), cioè una teoria della storiografia. Vico ha aperto la strada perché la Scienza nuova è un tentativo di storia delle umane cose, di "storia ideale eterna dell'umanità", troppo però confusa nella trattazione, oscura nel linguaggio, incompleta nella individuazione degli argomenti da trattare. Altro rilievo critico dello J. al Vico riguarda il concetto della provvidenza divina, che "ha spesso un senso ambiguo, indeterminato ed incerto. Alcune volte è la vera e reale azione di Dio colla quale governa e regge il mondo e conduce al loro fine le umane cose. Altre volte è la persuasione che gli uomini hanno di tale azione di Dio su di loro" (ibid., p. 165).
La cattedra non gli fu assegnata, ma il Saggio destò grande interesse, non tanto al momento quanto in seguito, attirando l'attenzione di J. Michelet e di G.D. Romagnosi, nonché poi di B. Croce, G. Gentile ed E. Garin. D'altro canto lo stesso J. aveva rivolto un invito a F.S. Salfi, che si trovava a Parigi, affinché facesse leggere il suo Saggio e gli riferisse i commenti francesi. Nel frattempo sviluppava la sua attività organizzativa presso la biblioteca, della quale nel 1822 divenne secondo bibliotecario, "col soldo di ducati quaranta". Propose un nuovo ordinamento dei manoscritti (Guerrieri, p. 24) e nel 1827 pubblicò la descrizione di 434 codici latini, divisi in sezioni che riprendevano quelle del nuovo ordinamento, nel Catalogus bibliothecae Latinae veteris et classicae manuscriptae quae in Regio Neapolitano Museo Borbonico adservatur (Napoli 1827).
Contemporaneamente, sviluppando le premesse metodologiche del Saggio, si dedicava con minuzioso e costante impegno ad analizzare e studiare le vestigia degli antichi popoli, per decodificarne lessico e scrittura.
Nacque così una serie di opere pubblicate a Napoli nel 1830: Fundamenta hermeneutica hierographiae crypticae veterum gentium sive hermeneutices hierographicae libri tres; Tabulae Rosettanae hieroglyphicae et centuriae sinogrammatum polygraphicorum interpretatio per lexeographiam Temuricosemiticam tentata; Hieroglyphica Aegyptia tum scripta, eaque ex Horo-Apolline aliisque veteribus scriptoribus selecta: tum insculpta, eaque ex obelisco Flaminio potissimum desumpta, et symbola aliquot Pythagorica per lexeographicam Temuricosemiticam tentata (a questo scritto si collegano Alcune quistioni sui geroglifici degli egizi: da servire di estratto a quella parte dell'opera del signor Jannelli che tratta di essi, s.n.t.). A queste opere seguì l'anno successivo, a Napoli, un Tentamen hermeneuticum inhierographiam crypticam veterum gentium… sive problemata, theoremata, etyma et lemmata selecta ex hierographia Hebraeorum, Syrorum, Phrygium, Graecorum, Italorum, Scandinavorum, Aegyptiorum, Persarum, Indorum et Sinensium per lexeographiam Temuricosemiticam tentata. Sugli stessi argomenti pubblicò interventi critici sul periodico Il Progresso: Riflessioni… su due lettere del sig. Francesco Salvolini intorno ai geroglifici cronografici degli Egizi (III [1834], 7, p. 53); Motivi per li quali sul giornale napoletano detto Il Progresso non si sono dati estratti, né fatti elogi dell'opera del signor Ippolito Rosellini su i monumenti storici dell'Egitto e della Nubia, ossia Cenni critici di Cataldo Jannelli sull'opera stessa (IV [1835], 10, pp. 98-143).
Analogo interesse dedicò alla ricostruzione e interpretazione delle lingue dei popoli italici attraverso le iscrizioni: Tentamina hierographica atque etymologica: de hierographia et pantheo Etruscorum; de vasis pictis; de pantheopoeismo veterum; de linguagrammatodynamica etc. (Napoli 1840); Tentamen hermeneuticum in Etruscas inscriptiones (ibid. 1840); Veterum Oscorum inscriptiones et Tabuale Eugubinae Latina interpretatione tentatae: tum specimina etymologica in probationem systematis glossogonici atque hermeneutici propositi (ibid. 1841).
Nonostante le premesse e le pretese di rigore scientifico, e la mole della documentazione conosciuta ed esaminata, spesso le tesi esposte in queste farraginose opere sono poco fondate, come ebbe a notare Th. Mommsen, che conobbe lo J. durante un suo viaggio in Italia, a proposito delle peregrina tesi di una derivazione della lingua degli Osci dall'ebraica. Infatti lo J., profondamente cattolico, pur con la vasta cultura e la profonda conoscenza dei documenti, nel ricostruire "la storia delle origini europee, che fu il lavoro di tutta la sua vita", rifiutava di prendere atto delle novità della "moderna linguistica comparata così contraria al documento mosaico" (Croce, 1964, p. 55).
Nel 1844 il nipote Antonio pubblicò a Napoli un De vita et scriptis Auli Jani Parrhasii, che lo zio aveva preparato su suggerimento ed esortazione dell'Andrés, sulla base della vasta documentazione disponibile nella Biblioteca Borbonica, ancora prima del Saggio e che, proprio per il sopravvenire degli altri impegni, era rimasto inedito. Come socio dell'Accademia Ercolanese, con la quale cominciò a collaborare nel 1827 e di cui fu nominato socio onorario nel 1839, lo J. scrisse varie memorie dedicate alla descrizione e interpretazione di opere provenienti dagli scavi di Pompei: Pittura pompeiana nella quale si rappresentano le nozze di Zefiro e Flora, in Memorie della Regale Accademia Ercolanese di archeologia, II (1833), pp. 213-247 (già pubblicato dopo la presentazione in una sessione dell'Accademia, Napoli 1827); Osservazioni sulle interpretazioni date ad una pittura pompeiana dei signori Raoul-Rochette, Guarini e Hirt, ibid., pp. 275-310 (già Napoli 1829); Osservazioni sulla interpretazione data al quadro pompeiano detto di Zefiro e Flora dal signor Bernando Quaranta, ibid., pp. 335-362; Nuove riflessioni sul gran mosaico pompeiano per dimostrarvi la battaglia di Alessandro il Macedone, in Il Progresso, III (1834), 8, pp. 36-51.
Sullo stesso periodico apparvero suoi interventi a commento di alcuni dei più famosi reperti della collezione Farnese: Nuova illustrazione della coppa preziosa che si conserva nel Real Museo Borbonico (VI [1837], 17, pp. 103-121); Nuove osservazioni sullarappresentazione del gruppo marmoreo detto Toro Farnese lette nella tornata accademica del25 nov. 1845 (n.s., quaderno XI).
Nel 1845 raggiunse il culmine della carriera con la nomina (22 giugno) a prefetto della Biblioteca. Aveva subordinato l'accettazione dell'incarico alla nomina a membro della giunta, che dal 1822 costituiva l'effettiva direzione della biblioteca, che gli venne riconosciuta nel settembre seguente. Trascorsero così alcuni mesi prima dell'assunzione a pieno titolo della carica fin quando, nel giugno 1846, prestò giuramento.
Nel 1847 la giunta deliberò la compilazione di un nuovo catalogo generale da presentare al novo prefetto, che venne affidato alle cure di mons. G. Rossi. Ma l'incalzare delle vicende politiche del 1848 ebbe i suoi effetti anche sulla Biblioteca reale. Il ministro dell'istruzione, P.E. Imbriani, decretò lo scioglimento della giunta e il pensionamento anticipato dello J., fedele funzionario dei Borboni e di spirito conservatore, "meritissimo per la vasta dottrina" ma "renduto invalido per gravissima infermità", esaudendo peraltro una richiesta dello stesso J., al quale venne riconosciuta la pensione intera "per particolar favore in grazia de' pregi dell'uomo" (Guerrieri, p. 232).
Poco dopo, nel luglio dello stesso 1848, lo J. si spense a Napoli.
Fonti e Bibl.: Due lettere dello J. a F.S. Salfi, del 1826, sono conservate nella Biblioteca nazionale di Napoli (Mss., XX.77, cc. 95-97); G. Castaldi, Della Reale Accademia Ercolanese dalla sua fondazionesinora, Napoli 1840, pp. 175-177; Th. Mommsen, Nachträge zu den Oskischen Studien, Berlin 1846, p. 4; A. Di Niscia, Sunto estratto dal Saggio di C. J. sulla natura e necessità della scienza delle cose e delle storie umane, Napoli 1848; L.M. Greco, Cenni su la vita e su le operedi C. J., Napoli 1851; C. Marini, Giambattista Vicoal cospetto del secolo XIX, Napoli 1852; F. Bursotti, Dello studio dellastoria e della filologia, Napoli 1855, pp. 30-61; C. De Cesare, Sul progressivo svolgimento degli studi storici nel Regno di Napoli dalla seconda metà del secolo decimottavo infino al presente, in Arch. stor. italiano, n.s., IX (1859), pp. 57-70, 92-108; C. Cantoni, G.B. Vico, studi critici e comparativi, Torino 1867, pp. 341-360; V. Padula, Protogea ossia L'Europa preistorica, Napoli 1871, p. 646; F. Fiorentino, Bernardino Telesioossia Studi storici su l'idea della natura nel Risorgimento italiano, Firenze 1874, II, p. 315; F. Lo Parco, Aulo Giano Parrasio, Vasto 1899 (si veda l'Introduzione); G. Gentile, Dal Genovesi al Galluppi, Napoli 1903, pp. 56, 68-70; A. Groppali, Note intorno alla vita e agli scritti di C. J., in Atti del Congresso internazionale di scienze storiche… 1903, sez. VII, vol. XI, Roma 1904, pp. 243-250; R. De Cesare, La fine di un Regno, Città di Castello 1909, I, p. 133; B. Barillari, La metodica storica secondo C. J., Napoli 1938; E. Garin, La filosofia, Milano 1947, II, pp. 437, 450-452; L. Aliquò Lenzi - F. Aliquò Taverriti, Gli scrittoricalabresi. Diz. biobibliografico, Reggio Calabria 1955, II, pp. 84-86; P. Rossi, I classici italiani nella storia della critica, II, Da Vico a D'Annunzio, Firenze 1964, pp. 1, 9-13; B. Croce, Storia della storiografia italiananel secolo decimonono, Bari 1964, I, pp. 12-20, 54-57; Id., Bibliografia vichiana, accresciuta e rielaborata da F. Nicolini, Napoli 1967, pp. 466-470; G. Guerrieri, La Biblioteca nazionale "Vittorio Emanuele III" di Napoli, Milano-Napoli 1974, adind.; F. Tessitore, La cultura filosofica tra due rivoluzioni (1799-1860), in Storia diNapoli, IX, Napoli 1972, pp. 237 s.; M. Sansone, La letteratura a Napoli dal 1800 al 1860, ibid., pp. 349 s., 369.