VITTADINI, Carlo
– Nacque a Monticelli, in provincia di Milano, l’11 giugno 1800 da Pietro Giovanni e da Maddalena Castoldi, di condizione mezzadri.
Rimase presto orfano del padre e, fanciullo, fu mandato a Milano dove, dopo aver conseguito il diploma delle scuole superiori nel 1820, decise di iscriversi alla facoltà di medicina dell’Ateneo pavese; lì strinse amicizia con l’entomologo Carlo Giuseppe Genè, allora anche lui studente. Nel corso degli studi si avvicinò alla botanica, insegnata da Giuseppe Moretti, che lo incoraggiò nel coltivare l’interesse precipuo per il settore degli studi micologici; nel 1826 conseguì la laurea discutendo la tesi intitolata Tentamen mycologicum seu Amanitarum illustratio, che fu pubblicata a Milano nel medesimo anno.
Subito dopo il conseguimento della laurea, Vittadini ottenne la nomina di assistente presso l’Ateneo pavese. Con l’intenzione di raccogliere l’invito che Elias Magnus Fries nel terzo volume del suo Systema mycologicum (Gryphiswaldiae 1823), aveva indirizzato alla comunità dei micologi affinché si approfondissero le conoscenze dei funghi ipogei, Vittadini prese a esplorare a fondo i boschi delle zone circostanti e a frequentare i mercati per ottenere dai venditori di funghi notizie ed esemplari. Nel 1831, a conclusione di un lavoro triennale, sempre a Milano, pubblicò la monografia intitolata Monographia Tuberacearum (riedita anastaticamente in Funghi ipogei. Monographia Tuberacearum, trad. it. di G. Lazzari, Chiasso 1991). Rispetto alle cinque specie elencate da Elias Magnus Fries, che peraltro non era risultato sempre felice nella loro caratterizzazione, Vittadini fu in grado di fondare nuovi generi e specie, che distribuì in due sottordini, quello delle Imenogasteracee da lui nuovamente introdotto, e quello già noto delle Tuberacee, a cui accluse in conclusione l’inedito genere dei Lycoperdinei.
Concluso il quadriennio di assistentato, Vittadini, secondo quanto allora previsto per legge, fu costretto a lasciare l’Ateneo pavese; si trasferì a Milano e intraprese la professione medica, scegliendo di dedicare tutto il tempo libero alla prosecuzione dello studio. Nel 1835, ancora a Milano, pubblicò la Descrizione dei funghi mangerecci più comuni dell’Italia e de’ velenosi che possono co’ medesimi confondersi.
In quest’opera, benché di carattere divulgativo, Vittadini riversò i suoi talenti di esatto descrittore e raffinato illustratore, corredando il volume di un apparato iconografico di quarantaquattro tavole in cui le entità sono riprodotte a grandezza naturale mediante un metodo che Vittadini escogitò, consistente nel sezionare longitudinalmente a metà il fungo e di ricavarne il profilo appoggiandolo sul foglio di carta, seguendone il contorno con la matita e le parti interne con un ago.
Nel 1836 il passaggio a medico assistente provvisorio presso l’ospedale Maggiore e, dopo un biennio, ad assistente biennale della cattedra di ostetricia e chirurgo provvisorio presso l’ospedale degli Esposti, consentirono a Vittadini un tenore di vita meno sacrificato. Nel 1841, partecipando a un concorso bandito dall’Accademia delle scienze di Torino, Vittadini consegnò il manoscritto della Monographia Lycoperdineorum, che, risultato vincente a pari merito di uno scritto inviato da Giuseppe Meneghini (trattavasi di una monografia dedicata al genere Nostoch), fu pubblicato a Torino nel 1842. L’opera illustrava cinquanta specie, ventitré delle quali nuove, tuttora riconosciute.
Nel 1844 Vittadini fu coinvolto da Carlo Cattaneo nel volume da presentare alla VI Adunanza degli scienziati italiani, che si sarebbe tenuta a Milano nel settembre; esito di quella collaborazione fu il Prospetto (edito in C. Cattaneo, Notizie naturali e civili su la Lombardia, I, Milano 1844, pp. 340-344). Dopo di allora Vittadini accarezzò il progetto di scrivere un’opera esauriente sugli Imenomiceti italiani. Per la mancanza di tempo, che gli avrebbe consentito di aggiornarsi e conferire al suo studio l’auspicata robustezza, Vittadini entrò in una fase di crescente scoramento e non ne venne mai a capo, lasciando post mortem solo un «qualche centinaio» di tavole che furono recuperate da Santo Garovaglio, senza che vi fosse annesso alcun testo di descrizione (Garovaglio, 1867, p. 23).
Nel 1845 Vittadini fu nominato socio corrispondente dell’Imperiale Regio Istituto lombardo di scienze, lettere ed arti, divenendone poi socio ordinario nel 1847. Nel 1848, a seguito della cacciata degli austriaci, fu chiamato dal governo provvisorio a occupare la cattedra di ostetricia in qualità di medico primario, che fu costretto a rimettere l’anno stesso, con il rientro degli austriaci. Su incarico dell’Imperiale Regio Istituto lombardo di scienze, lettere ed arti, prese a indagare il cosiddetto calcino, la malattia che stava infestando la coltivazione del baco da seta. Il primo esito delle ricerche fu comunicato nel saggio intitolato Risultati di alcuni esperimenti istituiti sul baco da seta e sopra altri insetti allo scopo di chiarire la vera natura del calcino (in Giornale dell’Istituto lombardo di scienze e lettere, II (1851), pp. 305-313), cui seguirono Della natura del calcino o mal del segno (in Giornale dell’Imperiale Regio Istituto lombardo di scienze, lettere ed arti e Biblioteca italiana, III (1851), pp. 143-208) e Dei mezzi di prevenire il calcino o male del segno nei bachi da seta (ibid., IV (1852), pp. 331-378), in cui dichiarava con nettezza che l’agente patogeno fosse da individuarsi nel Botrytis, un micromicete. Indicava come modo per contrastarne la diffusione il ricorso ai suffumigi ottenuti per combustione del legno, i quali, riuscendo ugualmente efficaci, risultavano meno tossici di quelli ottenuti dal cloro, dall’acido iponitrico, idroclorico e solforoso.
Parallelamente l’Imperiale Regio Istituto lombardo di scienze, lettere ed arti, avendo istituito una commissione con l’incarico di indagare l’oidio della vite che stava devastando le colture, vi nominò Vittadini, il quale firmò, assieme a Ottavio Ferrario, Giuseppe Balsamo Crivelli, Carlo Ampelio Calderini, Giovanni Polli, Giuseppe Moretti e Giulio Curioni, il Rapporto della commissione nominata dall’Imperiale Regio Istituto lombardo di scienze, lettere ed arti per lo studio della malattia delle uva (ibid., IV (1852), pp. 183-193, V (1853), pp. 285-297, VII (1855), pp. 37-55, VIII (1856), pp. 336-347, IX (1857), pp. 225-233).
Nel 1856 fu nominato medico chirurgo residente presso l’ospedale degli Esposti; negli anni successivi ritornò sulla questione relativa ai bachi da seta, pubblicando Sul modo di distinguere nei bachi da seta la semente infetta dalla sana: cenni (in Atti dell’Imperiale Regio Istituto lombardo di scienze, lettere ed arti, I (1858), pp. 360-363).
Nel 1859 fu nominato cavaliere. Fu anche membro di numerose accademie, fra cui l’Accademia dei Georgofili di Firenze e l’Accademia Gioenia di Catania.
Morì a Milano il 20 novembre 1865.
Fonti e Bibl.: G. Balsamo Crivelli, Sulla Monographia Lycoperdineorum C. V., Milano 1843; S. Garovaglio, Notizie sulla vita e sugli scritti del dott. C. V., in Rendiconti del Reale Istituto lombardo. Classe di scienze matematiche e naturali, IV (1867), 2, pp. 1-30; P.A. Saccardo, La botanica in Italia. Materiali per la storia di questa scienza, I, Venezia 1895, p. 173, II, 1901, p. 113; O. Mattirolo, Gli autoptici di C. V. e la loro importanza nello studio della idnologia, in Atti del Congresso dei naturalisti italiani..., 1906, Milano 1907, pp. 396-402; G. Lazzari, Storia della micologia, Trento 1973, pp. 207-220 e passim; G.C. Ainsworth, Introduction to the history of mycology, Cambridge 1976, pp. 71, 106, 226, 232, 301, 313, 315; C. V. 200 anni di micologia. I tartufi fra ricerca e divulgazione, a cura di L. Villa, Pavia 2001; L’Istituto Lombardo Accademia di scienze e lettere: secoli XIX-XX, a cura di A. Robbiati Bianchi, I-III, Milano 2007-2009, passim; V. Bertolini, Dagli scaffali dell’800. I° contributo. C. V.: Descrizione dei funghi mangerecci più comuni dell’Italia e de’ velenosi che possono co’ medesimi confondersi, in Pagine di micologia, XXXVIII (2014), pp. 23-46.