SCARPA, Carlo
SCARPA, Carlo (Carlo Alberto). – Nacque a Venezia il 2 giugno 1906, primogenito, seguito da Luigi (Gigi) e da Ida, di Antonio e di Emma Novello, sua seconda moglie.
Dalla prima consorte Antonio aveva avuto quattro figli: Cesare, Angelina, Giovanni e Maria. Quest’ultima commissionò al fratello Carlo la tomba del marito Vettore Rizzo a Venezia (1940-41)
Nel 1909 circa (Radice, 1979, p. 19) la famiglia si trasferì a Vicenza, dove la madre aprì un laboratorio di alta sartoria, mentre il padre mantenne il lavoro di maestro elementare a Venezia. Entrambi i genitori contribuirono con le loro attività e i loro interessi a incoraggiare sia l’inclinazione di Carlo per il disegno, affiorata verso gli otto-nove anni (ibid.), sia la sua precoce attenzione per i materiali e per la cultura letteraria e artistica.
Nella sua autobiografia (Come divenni maestro, Venezia 1929) Antonio Scarpa raccontò dei suoi esercizi giovanili come ebanista e intagliatore, ma anche della passione per l’arte e la letteratura, mentre Emma Novello si servì talvolta dell’abilità grafica del figlio per riprodurre i modelli di abiti. Fu in questo momento che Carlo sentì l’attrazione per l’architettura, scoperta mentre giocava «a palline fra le basi attiche di Palazzo Chiericati» (Lanzarini, 2006, p. 256).
Negli anni Dieci, conclusi gli studi elementari, Carlo frequentò la scuola tecnica Andrea Palladio, l’unica tra gli istituti vicentini a tenere corsi di disegno (Sonego, 1994-95, p. 6). Nel febbraio del 1919 morì la madre, ad aprile la famiglia rientrò a Venezia, e dal 28 novembre Carlo risulta iscritto alla Regia Accademia di belle arti. Con l’aiuto del padre fu ammesso al triennio comune anziché al corso preparatorio (Radice, 1979, p. 19). Nella prima fase di studi (1919-21) il giovane, deciso a diventare pittore, poté perfezionarsi nell’esercizio grafico e ampliare la sua conoscenza dell’arte e della storia.
La formazione accademica ebbe un peso decisivo per lo sviluppo della carriera di Scarpa, che trovò nel disegno e nella cultura storico-artistica i suoi ideali strumenti di lavoro. Lo confermano i contenuti dell’Archivio Carlo Scarpa – oltre 40.000 documenti, grafici e fotografici, riguardanti circa 330 progetti datati 1919-78 – e la sua biblioteca (di proprietà privata), assemblata a partire dagli anni Venti fino a contare 4052 volumi di arte, architettura, letteratura, filosofia, estetica, storia, poesia e 184 serie di periodici. Le postille autografe a corredo dei testi rivelano il ruolo operativo avuto dalla raccolta.
Terminato il triennio, Scarpa scelse di dedicarsi all’architettura, abbracciata «come un bisogno» (Lanzarini, 2006, p. 256). Negli anni seguenti (1922-26), sotto l’egida di Guido Cirilli, docente di architettura, conseguì la preparazione teorica per affrontare il mestiere di architetto, integrata con quella pratica, compiuta nello studio di Vincenzo Rinaldo (1922-24). Ancora studente realizzò in autonomia l’annesso alla villa Velluti a Dolo (1924-25).
Ottenuto, con il massimo dei voti (30/30), il diploma di professore di disegno architettonico nel novembre 1926, Scarpa fu chiamato da Cirilli a lavorare nel suo studio e ad assisterlo nei corsi che tenne dal 1926 al 1929 alla neonata Scuola superiore di architettura di Venezia, denominata IUAV (Istituto Universitario di Architettura di Venezia) dagli anni Quaranta.
Con la guida di Cirilli conobbe a fondo i materiali – dai più nobili, quali marmi e legni pregiati, ai più umili, come malta e mattoni – e le tecniche di lavorazione ottimali per esaltarne le qualità: un’arte del costruire che s’inseriva tanto nel solco della tradizione italiana, quanto in quello della cultura mitteleuropea. L’incontro con le opere di Otto Wagner, Joseph Maria Olbrich, Adolf Loos, e soprattutto di Josef Hoffmann – che conobbe a Venezia nel 1934 –, pubblicate in riviste entrate presto nella sua biblioteca, gli consentì di individuare dei temi sui quali innervare la propria ricerca: il dialogo tra i materiali, il disegno di dettaglio, la calibratura dei colori e della luce, ma soprattutto l’idea dell’architettura come narrazione, fatta di episodi spaziali dislocati lungo percorsi definiti. Con la riflessione su altri modelli – come i lavori di Le Corbusier, Frank Lloyd Wright, Alvar Aalto, Louis Kahn, ma anche di artisti quali Paul Klee, Vasilij Kandinskij, Piet Mondrian, Lucio Fontana e altri ancora –, il suo linguaggio si arricchì di motivi formali e compositivi. La dipendenza dalle fonti, retaggio forse dell’educazione accademica e riassunta dal suo motto «se non sai, copia» (Giordano, 1983-84, p. 55), è uno dei tratti che ne contraddistingue l’opera.
Nel 1926-27 progettò con Franco Pizzuto il villino Martinati a Selvazzano, non realizzato, e la riforma della casa di Angelo Velo e del deposito della sua impresa a Fontaniva, specializzata in elementi prefabbricati in cemento armato. Tale materiale gli era quasi ignoto, poiché inviso a Cirilli, e quindi l’incarico ebbe un concreto valore formativo (Sonego, in Studi su Carlo Scarpa 2000-2002, 2004, pp. 48 s.).
Nello stesso periodo diventò consulente artistico della vetreria MVM Cappellin & C., per la quale aveva seguito il restauro del palazzo Da Mula a Murano, sede della ditta, e dei suoi annessi (1925-26). Oltre al disegno dei vetri, innovativi nelle forme e nell’esecuzione, Giacomo Cappellin gli affidò un negozio a Firenze (1927), uno a Parigi (1930) e l’assetto delle sale alla III (1927) e alla IV (1930) Mostra internazionale delle arti decorative di Monza, con le quali debuttò come allestitore. Chiuso nel 1931 questo rapporto, iniziò nel 1932 quello con la ditta di Paolo Venini, protrattosi fino al 1947, per la quale Scarpa studiò anche lampade e apparecchi per l’illuminazione. Per la Venini & C. curò le sale alla VI (1936) e alla VII (1940) Triennale di Milano, che gli valse il diploma d’onore per i vetri esposti, e alla XXI (1938) e alla XXII Biennale di Venezia (1940).
Fin dagli anni Venti era in contatto con stimolanti ambienti culturali veneziani. Con Mario Deluigi, Bice Lazzari e la sorella Onorina (Nini), sua futura moglie, Toni Luccarda, Renato Renosto, Gigetto Tito e altri, frequentò il Circolo artistico ai Piombi, luogo d’incontro e dibattito, specialmente durante le Biennali. A casa del mercante d’arte Carlo Cardazzo, una delle figure più colte e influenti del milieu veneziano, poté incontrare artisti, poeti, letterati e critici, mentre alla libreria Il Campanile, in piazza S. Marco, trovò, aggirando l’oscurantismo fascista, molte pubblicazioni per la sua biblioteca e conobbe, tra gli altri, Aldo Camerino.
La partecipazione alla vita cittadina gli offrì l’opportunità di stringere amicizia con potenziali committenti, desiderosi di portare una ventata di modernità nelle proprie dimore. Tra questi, l’antiquario Ferruccio Asta, che nel 1931 lo incaricò di arredare, assieme al suo amico fraterno, il pittore Deluigi, due stanze della sua casa. Il lavoro ebbe il plauso di Edoardo Persico, che auspicò la diffusione del medesimo «gusto moderno» nella «pietrificata» Venezia (Arredamento a Venezia, in La Casa Bella, V (1932), 55, pp. 34-37).
Nel 1931 firmò, con i ‘razionalisti veneziani’ Aldo Folin, Guido Pellizzari, Renato Renosto e Angelo Scattolin, una lettera in difesa dell’architettura razionalista, pubblicata in Il lavoro fascista (La polemica sull’architettura. Adesioni al movimento razionalista, 19 maggio 1931). È l’unico scritto edito che rechi la sua firma, poiché Scarpa non ebbe alcuna produzione teorica.
Negli anni Trenta, oltre ai progetti d’interni eseguiti soprattutto a Venezia, partecipò ai concorsi per il ponte dell’Accademia (1932; con gli ingegneri Angelo e Benedetto Piamonte), per il piano regolatore di Mestre (1934; con Deluigi, Angelo e Benedetto Piamonte) e per l’aeroporto Nicelli al Lido di Venezia (1934; con Pellizzari e Benedetto Piamonte).
Nel 1934 sposò Nini Lazzari, nipote di Vincenzo Rinaldo, e il 1° gennaio 1935 nacque il figlio Tobia, futuro architetto. La famiglia abitò a Venezia, nella casa dei Lazzari in rio Marin, sino al trasloco ad Asolo nel 1962.
Nel 1935, grazie alle sue buone relazioni e alla notorietà dei primi lavori, ricevette un incarico di rilievo: il prorettore Agostino Lanzillo, con la mediazione del suo assistente Bruno Caizzi, gli affidò il restauro della sede universitaria di Ca’ Foscari (1935-37). La revisione degli spazi del palazzo veneziano, arricchiti da affreschi di Deluigi e di Mario Sironi, gli consentì di esaltarne i caratteri originali, ma anche di introdurre, nell’aula magna, un elemento aggiornato: il disegno della vetrata de l’Armée du Salut a Parigi di Le Corbusier (1929-33), citazione ispirata, forse, dal passaggio dell’architetto svizzero a Venezia nel 1934. L’influenza lecorbuseriana affiora anche nel progetto per la stazione ACNIL (Azienda Comunale di Navigazione Interna Lagunare) al Lido e nel pied-à-terre veneziano di Gino Sacerdoti, entrambi del 1937. In quell’anno Scarpa curò la mostra «Oreficeria veneziana» a Venezia, primo allestimento di una serie che avrebbe cadenzato la sua carriera, accrescendone la reputazione. Il restauro cafoscarino, nel quale aveva riposto concrete aspettative di lavoro, non ebbe il successo sperato, ma l’attività di allestitore gli consentì presto di affermarsi.
Nel 1941 approntò, con Deluigi, la casa dell’amico Arturo Martini, in arrivo a Venezia per occupare la cattedra di scultura all’Accademia, e nel 1942 allestì, sempre con il pittore, la sala di Martini alla XXIII Biennale. Nello stesso anno Carlo Cardazzo gli affidò la sistemazione della galleria del Cavallino a Venezia. Ideata come un piccolo museo, venne smantellata già nel 1946, e quindi riallestita in altro luogo da Scarpa nel 1947. L’opera fu decisiva, però, per sbloccare la sua carriera: all’apertura presenziò, tra gli altri, il soprintendente Vittorio Moschini, che nel 1944 lo incaricò di riorganizzare le Gallerie dell’Accademia a Venezia (1944-59), primo tra i musei italiani a dotarsi di una veste aggiornata.
Dato il finanziamento ridotto, la sua azione si concentrò su obiettivi chiari. Gli ambienti, ripuliti da superfetazioni e arredi ‘in stile’, ebbero dei nuovi intonaci, mentre le opere da esporre furono ridotte di numero, studiate nel dettaglio e poi montate su supporti uniformati, ad esempio pannelli rivestiti di tessuto, oppure su altri disegnati ad hoc. Infine, Scarpa inserì i singoli allestimenti lungo dei percorsi, in modo da catturare l’attenzione del visitatore in transito, dimostrargli come passato e presente fossero in continuità e quindi insegnargli i valori dell’arte, educandone la sensibilità e il gusto. I successivi allestimenti di musei e mostre furono strutturati con la medesima strategia.
Fondamento della museografia scarpiana è l’atto di «auscultare da un oggetto plastico, sia scultura o pittura, certe qualità» (Lanzarini, 2006, p. 262) artistiche e culturali di cui è latore, per poi svelarle al pubblico tramite l’allestimento. Allo stesso tempo, dalle opere d’arte Scarpa trasse spesso elementi utili per progettare, come rivela l’assetto della sala dedicata a Paul Klee alla XXIV Biennale (1948) ispirato a un quadro ivi esposto, o quello della mostra «Piet Mondrian» a Roma (1956-57; Lanzarini, 2003; Dalai Emiliani, 2008, pp. 151-182).
Nel 1944-45 conobbe l’opera di Wright grazie ai materiali portati dagli Stati Uniti in Italia da Bruno Zevi. Nel 1951 incontrò di persona l’architetto statunitense a Firenze, per l’apertura di una mostra a lui dedicata, e poi a Venezia, dove Wright ricevette dallo IUAV la laurea ad honorem.
L’influenza wrightiana affiora appieno da alcuni progetti – cinema a Valdobbiadene (1946), hotel Bauer a Venezia (1949), casa di appartamenti a Feltre (1949) – e soprattutto dalle opere compiute nel 1946-52 con il suo allievo Angelo Masieri (1921-1952). All’epoca, Scarpa non aveva costruito alcun edificio ex novo, e quindi la preparazione tecnica del giovane gli fu utile per ampliare le sue competenze. Tra i loro lavori, le case Giacomuzzi (1948-50) e Romanelli (1951-55) a Udine e la villa Bortolotto a Cervignano del Friuli (1950-52) offrono un’esegesi originale delle prairie houses. L’esperienza maturata con Masieri fu riversata nel progetto per villa Zoppas a Conegliano (1952-53), punto di svolta sul tema della casa unifamiliare che segnò, al pari degli allestimenti, la sua ricerca. Come un abito su misura, ogni dimora scarpiana era modellata in base ai modi di vita della committenza e ai caratteri del luogo che la accoglieva: basti citare gli appartamenti veneziani Bellotto (1944-47), Ambrosini (1952-53), e soprattutto quello del suo avvocato, Luigi Scatturin (1961-63). Tra gli edifici, invece, solo le ville Veritti a Udine (1955-61), Zentner a Zurigo (1964-68) e Ottolenghi a Bardolino (1974-78) furono costruite, mentre rimasero sulla carta le case Cassina a Ronco di Carimate (1962-63), Santini a Lucca (1969), il palazzo principesco di Ryad, Arabia Saudita (1978), e molti altri.
Nel 1948, dopo sei anni di stasi, la Biennale riprese le attività, e per la XXIV edizione il segretario Rodolfo Pallucchini chiese a Scarpa di curare alcune sale di rilievo. Il successo fu tale che il suo impegno con l’Ente si prolungò fino al 1972 e fece da volano per altri lavori. Oltre agli allestimenti per le Biennali del 1950, 1952, 1958-68 e 1972, curò quelli nella sala Napoleonica (1950, 1952, 1964 e 1972), mentre per le mostre d’arte cinematografica del 1948-50 allestì il padiglione temporaneo al Lido. Ai Giardini di Castello realizzò il padiglione del Libro d’arte (1950) per Cardazzo, quello del Venezuela (1953-56) e la biglietteria (1951-52). Nel padiglione Italia, invece, inserì una scala (1948), delle finestre sul lato est (1950) e il cortile-giardino con pensilina (1950-52). Infine, progettò la riforma dell’intero edificio (1962-63; 1964-65), ma trovò attuazione solo la divisione dello spazio centrale in due piani (1968).
Con gli allestimenti delle mostre «Giovanni Bellini» (1949), «Giovan Battista Tiepolo» (1951) e «Le biccherne di Siena» (1952), e delle sezioni storiche del Museo Correr (1952-53), seguite dalla Quadreria (1957-60), tutti a Venezia, la sua fama si consolidò, valicando i confini lagunari. Nel 1953 allestì a Messina, con Roberto Calandra, la mostra «Antonello da Messina e la pittura del ’400 in Sicilia», tanto apprezzata da fare da traino per un incarico prestigioso: la sistemazione del Galleria nazionale della Sicilia in Palazzo Abatellis (1953-54; dal 1977 Galleria regionale), premiata con la targa IN-ARCH 1962.
Nel 1953-56 allestì, con Ignazio Gardella e Giovanni Michelucci, sei sale della Galleria degli Uffizi a Firenze, e nel 1957-60 il Gabinetto disegni e stampe con Edoardo Detti, coautore anche della chiesa di Firenzuola (1956-63) e di altre opere.
La sua ricerca museografica continuò nella Gipsoteca canoviana di Possagno (1955-57), esempio magistrale di simbiosi tra arte e architettura.
Nel 1956 vinse il premio Olivetti per l’architettura, e, l’anno dopo, Adriano Olivetti gli commissionò un negozio in piazza S. Marco (1957-1958) come ‘biglietto da visita’ della sua industria. A Venezia Scarpa aveva già curato vari esercizi commerciali, tra i quali i negozi Sfriso (1931), Tessiladriatica (1944-1947), La Piavola di Franza (1950), Ongania (1950) e il Posto telefonico pubblico della società Telve (1950).
Grazie alla mostra «Da Altichiero a Pisanello», allestita nel 1958 nell’ala della Reggia del Museo di Castelvecchio a Verona, si crearono le condizioni per affidargli, con l’appoggio del direttore Licisco Magagnato, il riordino dell’intero complesso, compiuto in tre fasi (1958-64; 1967-69; 1974): da considerarsi il suo capolavoro museografico, vinse la targa IN-ARCH 1965.
Nel 1959-63 intervenne nella Fondazione Querini Stampalia a Venezia, sede di un museo e di una biblioteca, per la quale aveva già elaborato delle ipotesi (1948-50). Con il sostegno del direttore Giuseppe Mazzariol, poté trasformare il piano terra, per proteggerlo dall’acqua alta, e connetterlo a un giardino e a un nuovo ingresso collegato a un ponte-passerella.
Fin dagli anni Trenta aveva disegnato arredi ad hoc per i suoi progetti d’interni, ma fu anche designer di mobili e oggetti prodotti in serie. Nel 1960 ebbe la presidenza onoraria della ditta di Dino Gavina, e dal 1968 al 1977 firmò arredi sia per la Gavina Spa, sia per la Simon International. Lavorò anche per le ditte di Cleto Munari (1974-78) e Giancarlo Bernini (1974-78).
Nel 1967 andò negli Stati Uniti, dove visitò le opere di Wright e conobbe Kahn, che rivide a Venezia l’anno dopo. Su invito di Cesare Cassina, titolare dell’omonima ditta di arredamenti, nel 1969 si recò in Giappone per la prima volta, anche se la cultura orientale era stata tra i suoi interessi fin da giovane e una continua fonte d’ispirazione (Pierconti, 2007). In quest’occasione strinse amicizia con Aldo Businaro, per il quale compì degli interventi nella villa il Palazzetto a Monselice (1970-78).
Nel novembre del 1968, scomparso Giuseppe Brion, la vedova Onorina (Nini) Tomasin lo incaricò di progettare un complesso funerario a San Vito di Altivole, esteso su un’area di circa 2000 m2 tangente al cimitero preesistente.
L’opera (1969-78) comprende cinque oggetti architettonici – nominati da Scarpa in Memoriae causa (1977), il libro fotografico a essa dedicato –, raccordati da percorsi e dal recinto perimetrale: i propilei, il padiglione della meditazione, l’arcosolio con le tombe dei coniugi Brion, l’edicola con quelle dei parenti, la cappella. Come una sorta di glossario, la tomba Brion raccoglie forme, materiali, combinazioni compositive, luminose e spaziali che Scarpa usò durante la sua carriera e la cui evocazione assume il significato di un vero e proprio lascito.
Nel 1972 si trasferì a Vicenza, sua ultima residenza. In città e nei dintorni elaborò vari progetti, tra i quali una casa di appartamenti in contrà del Quartiere (1974-78).
Fin dagli esordi aveva goduto di grande libertà d’azione grazie al rapporto fiduciario instaurato con i committenti, spesso degli amici, sia pubblici, sia privati. Negli anni Sessanta e Settanta, però, il suo lavoro subì un deciso cambio di passo. Numerosi progetti, ai quali si dedicò a lungo, rimasero sulla carta per ragioni burocratiche, finanziarie, politiche. Basti citare il teatro Carlo Felice a Genova (1963-73), il Museo nazionale di Messina (1973-76, con Calandra), il deposito librario e foresteria della Fondazione Querini (1973-78), il Museo di S. Caterina a Treviso (1974-75), la sistemazione del convento di S. Sebastiano a Venezia (1974-78) e così via. Altri, invece, furono ultimati postumi e con modifiche, come ad esempio il Museo Revoltella a Trieste (1965-70; 1975-78), il palazzo Chiaramonte ‘Steri’ a Palermo (1973-78, con Calandra), la Banca Popolare di Verona (1973-78).
Viceversa, le mostre gli diedero una fama crescente. Tra queste, «Vitalità nell’arte», Venezia (1959); «Frank Lloyd Wright» alla XII Triennale di Milano (1960); «Il governo delle acque. Il senso del colore», padiglione del Veneto, Mostra delle Regioni – Italia ’61, Torino (1961); «La Poesia», padiglione Italia, Expo ’67, Montréal (1967); «Arturo Martini», Treviso (1967); «Florentine frescoes» (1969) e «Giorgio Morandi» (1970), Londra; «Venezia e Bisanzio», Venezia (1974); e infine le sue personali a Londra e Vicenza (1974), Parigi (1975) e Madrid (1978).
Altrettanto intensa fu l’attività di docente. Tenne conferenze a Venezia (1947, 1956, 1957, 1960), Roma (1954-60), Milano (1957), Vienna (1976) e Madrid (1978). A Venezia insegnò all’Istituto artistico industriale (1945-47), all’Istituto Veneto per il lavoro (1955-61) e allo IUAV, per ben cinquant’anni. Entratovi nel 1926, nel 1932-33 collaborò con Augusto Sezanne e dall’anno dopo fu professore di varie discipline: decorazione (1933-34; 1946-56; 1960-61); disegno dal vero (1933-45); applicazioni di geometria descrittiva (1956-60); architettura degli interni, arredamento e decorazione (1959-61). Nel 1952 ebbe la libera docenza, confermata nel 1957. Nel 1962 divenne straordinario di decorazione e nel 1965 conseguì l’ordinariato. Fu infine direttore dell’istituto (1972-74), dove rimase fino al 1976.
La mancanza della laurea, però, gli procurò seri problemi. Appena diplomato aveva chiesto, senza successo, il riconoscimento del titolo di architetto. Anni dopo subì l’amarezza di due denunce (1956 e 1960) per esercizio illecito della professione, accuse dalle quali venne scagionato nel 1965. Nel 1961 e 1965 i colleghi dello IUAV tentarono invano di conferirgli la laurea ad honorem, assegnatagli postuma negli anni Ottanta.
Fu membro del Centro studi della Triennale di Milano (1957), dell’Accademia delle arti del disegno, Firenze (1967), dell’Accademia Olimpica, Vicenza (1973), di quella di S. Luca, Roma (1975), e della Fondation Pierre Chareau, Parigi (1975). Fu insignito del titolo di Royal designer for Industry – Royal Society of Arts, Londra (1969). Ebbe il premio Presidente della Repubblica per l’architettura (1970) e la medaglia d’oro ai benemeriti della scuola, della cultura e dell’arte della Repubblica italiana (1977).
Morì a Sendai, in Giappone, il 28 novembre 1978. Per sua volontà fu sepolto a San Vito d’Altivole, in un lembo ‘di terra di nessuno’ tra il vecchio cimitero e la tomba Brion.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio Carlo Scarpa, Collezioni MAXXI Architettura, MAXXI – Museo nazionale delle arti del XXI secolo (presso Archivio di Stato di Treviso, Centro Carlo Scarpa); Verona, Archivio Carlo Scarpa, Museo di Castelvecchio; G. Mazzariol, Opere di C. S., in L’Architettura. Cronache e storia, I (1955), 3, pp. 340-367; S. Bettini, L’architettura di C. S., in Zodiac, 1960, n. 6, pp. 140-187; M. Brusatin, C. S. architetto veneziano, in Controspazio, IV (1972), 3-4, pp. 2-85; B. Radice, Un architetto a regola d’arte. Colloquio con C. S., in Modo, 1979, n. 16, pp. 19-21; S. Giordano, Il mestiere di C. S. Collaboratori, artigiani, committenti, tesi di laurea, IUAV, a.a. 1983-84; F. Dal Co - G. Mazzariol, C. S. Opera completa, Milano 1984 (con bibliografia precedente); C. Sonego, C. S. Gli anni di formazione, tesi di laurea, IUAV, a.a. 1994-95; C. S. Mostre e musei 1944/1976. Case e paesaggi 1972/1978 (catal., Verona-Vicenza), a cura di G. Beltramini - K.W. Forster - P. Marini, Venezia 2000; O. Lanzarini, C. S. L’architetto e le arti. Gli anni della Biennale di Venezia 1948-1972, Venezia 2003; Studi su C. S. 2000-2002, a cura di K.W. Forster - P. Marini, Venezia 2004 (in partic. C. Sonego, C. S.: gli anni ’20, pp. 27-83); F. Dal Co - S. Polano, C. S. La Fondazione Querini Stampalia a Venezia, Milano 2006; O. Lanzarini, Un’ora con C. S., RAI 1972 – Trascrizione, in Costruire il dispositivo storico. Tra fonti e strumenti, a cura di J. Gudelj - P. Nicolin, Milano 2006, pp. 247-273; C. S. Atlante delle architetture, a cura di G. Beltramini - I. Zannier, Venezia 2006 (con bibliografia sulle singole opere); F. Dal Co, C. S. Villa Ottolenghi, Milano 2007; J.K.M. Pierconti, C. S. e il Giappone, Milano 2007; C. S. Struttura e forme, a cura di W. Tegethoff - V. Zanchettin, Venezia 2007; M. Dalai Emiliani, Per una critica della museografia del Novecento in Italia. Il ‘saper mostrare’ di C. S., Venezia 2008; C. S. e la scultura del ’900, a cura di G. Beltramini, Venezia 2008; F. Semi, A lezione con C. S., Venezia 2010; I teatri di C. S., a cura di E. Valente - V. Zanchettin, Milano 2010; I. Abbondandolo, C. S. e la forma delle parole, Venezia 2011; G. Tommasi, I disegni di C. S. per casa Ottolenghi, a cura di A. Di Lieto, Cinisello Balsamo 2012; C. S. Venini 1932-1947 (catal., Venezia), a cura di M. Barovier, Milano 2012; R. McCarter, C. S., New York 2013; P. Duboÿ, C. S. L’art d’exposer, Zürich-Paris 2014 (trad. it. Milano 2016); C. S., Sandro Bagnoli. Il design per Dino Gavina, a cura di S. Bagnoli - A. Di Lieto, Cinisello Balsamo 2014; Voci su C. S., a cura di I. Abbondandolo - E. Michelato, Venezia 2015; G. Frediani, C. S. Gipsoteca Canoviana, Possagno, Milano 2016; S. Giunta, C. S. Una [curiosa] lama di luce, un gonfalone d’oro, le mani e un viso di donna. Riflessioni sul processo progettuale per l’allestimento di palazzo Abatellis 1953-1954, Venezia 2016; M. Iannello, C. S. in Sicilia 1952-1978, Roma 2018.