MAGINI, Carlo
Nacque a Fano il 16 sett. 1720, figlio di Francesco, orefice, e di Elisabetta Ceccarini, sorella di Sebastiano, pittore fanese di buone qualità e di un certo successo soprattutto nell'area umbro-marchigiana.
Fu proprio presso lo zio che il M. dovette compiere il suo apprendistato artistico, essendone molto probabilmente l'aiuto negli affreschi della cappella del Crocifisso nella chiesa di S. Filippo Neri a Perugia, eseguiti nel 1736. È altresì plausibile, per quanto non sufficientemente documentato, che il M. abbia affiancato Ceccarini anche nelle altre tappe di un tour professionale che, fra il 1735 e il 1738, vide quest'ultimo impegnato in successione a Perugia, Urbino, Bologna, Venezia e Firenze (Teza, 1987, p. 88). Ceccarini dovette perseguire col nipote un atteggiamento didattico poliedrico e accademicamente completo, integrato e aggiornato dalle esperienze realizzate nel corso dei viaggi di lavoro che misero il M. a diretto contatto con l'arte dei principali maestri attivi nell'area centrosettentrionale.
Di sicuro il M. si trovava a Roma il 14 ott. 1738, giacché in quel giorno risulta testimone alla consegna del certificato di battesimo di Ceccarini al notaio della Curia. A Roma, inevitabilmente, il M. ebbe l'occasione di rifinire in senso classicista il proprio linguaggio pittorico.
Della presenza del M. a Roma non si sa molto, ma recentemente (Battistini, in C. M., 1990, pp. 33, 35) è stato appurato che egli vi si trovava nel luglio 1742 e ancora nel maggio 1743, e che lì ebbe rapporti amicali col pittore Francesco Mancini. A Roma, inoltre, il M. entrò in stretta relazione con il nobile Carlo Ferri, di origine fanese: fatto importante, poiché la famiglia Ferri avrebbe in seguito costituito il principale referente professionale del M. e praticamente l'unico suo committente di cui risultino cospicue tracce documentarie.
È certo, comunque, che nel 1748 il M. da qualche tempo si trovava nuovamente a Fano, dove si sarebbero svolte per la gran parte la sua esistenza e la sua carriera. A Fano si era unito in matrimonio con la pesarese Michelina Polinori, dalla quale, il 14 luglio di quell'anno, ebbe la primogenita Francesca.
La seconda figlia, Balbina, nacque il 30 marzo 1750; di lì a poco nacque anche il primo maschio, Arcangelo. Il quarto figlio, Casimiro, nacque il 3 marzo 1763 e morì il 17 agosto successivo. Per ultima nacque Massimiliana Eusebia, il 18 apr. 1766.
Se sono esclusivamente le fonti a testimoniare un'intensa e costante attività di copista del M., il suo corpus documenta le sue buone attitudini di ritrattista e la sua corretta professionalità nelle vesti di pittore di storia. Ma soprattutto il catalogo del M. presenta un gruppo cospicuo, seppur problematico, di nature morte, da annoverarsi tra le più notevoli realizzate in Italia nel Settecento.
A dispetto del sorprendente e totale silenzio delle fonti al riguardo, è proprio quest'ultimo consistente nucleo pittorico a costituire oggi la parte di gran lunga più nota, apprezzata e studiata della produzione del M.; il suo tardivo recupero critico rappresenta, in effetti, un importante risultato della filologia di secondo Novecento (a partire da una puntuale suggestione di Roberto Longhi). Nelle nature morte del M. si palesano un'attenzione sottile nei confronti dell'opera di alcuni tra i maggiori specialisti della generazione precedente (Giacomo Ceruti, Giuseppe Maria Crespi, Candido Vitali, Arcangelo Resani, Felice Boselli) e una comune ispirazione con alcuni dei più sensibili petits-maîtres attivi nel genere nella seconda metà del secolo (in primis Nicola Levoli e Antonio Cioci), quasi a definire una circoscritta koinè figurativa nel segno di uno sguardo analitico sulle cose, minuziosamente calibrato e prosciugato di ogni enfasi, imperniato su un repertorio ricorrente di umili oggetti d'uso quotidiano.
Il primo dipinto documentato del M. è la pala d'altare raffigurante i Ss. Vincenzo Ferreri e Nicola da Tolentino che intercedono in favore delle anime purganti realizzata per la chiesa parrocchiale di Croce di Caldarola, firmata "Carlo Magini pittore" e datata 1742.
Si tratta di un'opera che indica le coordinate stilistiche fondamentali della produzione "di storia" del M., unendo all'esempio di Ceccarini l'influsso della cultura figurativa bolognese e la recente impressione dell'arte di Carlo Maratta. Lo stesso anno d'esecuzione si trovava indicato su un'altra tela del M., già in collezione privata e in anni recenti andata perduta in un incendio: il Ritratto di Pier Luigi Lanzi. Dopo queste due confortanti prove d'esordio sparisce qualsiasi riferimento documentario intorno all'attività pittorica del M. sino al 1760, data riportata sul retro dei due ritratti pendants dei conti Francesco Maria Benedetti e Livia Dall'Aste Benedetti, conservati nella collezione Benedetti Forestieri di Senigallia (ibid., nn. 5-6). Di cinque anni successivo è un altro ritratto fra i più intensi eseguiti dal M., quello di Monsignor Pompeo Compagnoni, vescovo di Osimo e Cingoli tra il 1740 e il 1774, conservato nella collezione Compagnoni Floriani (ibid., n. 8). Al 1770 risalgono i due ritratti pendants dei medici fanesi, rispettivamente padre e figlio, Gaetano e Stanislao Lanzi (Fano, collezione Montanari, ripr. ibid., nn. 19-20).
Dai documenti disponibili risulta con una certa chiarezza che il M. non riuscì mai a raggiungere una condizione economica soddisfacente.
Nel 1752 si trasferì con la famiglia da un'abitazione nella parrocchia di S. Leonardo a una casa in affitto di proprietà dell'orfanotrofio femminile di Fano, situata nella parrocchia di S. Antonio. Nel marzo del 1763 il M. riuscì ad acquistare, per il prezzo di 525 scudi, una casa nella parrocchia di S. Marco (il cui pagamento avrebbe accompagnato il resto della sua esistenza). Solo due anni dopo l'acquisto i coniugi furono in grado di versare l'acconto di 350 scudi pattuito grazie alla vendita di un podere della moglie del M.; ma il 9 luglio 1768 il M. faceva parte della lista dei cittadini fanesi che avevano richiesto l'esenzione dal pagamento del testatico in ragione di uno stato economico disagiato. La moglie del M. contribuiva occasionalmente al magro bilancio familiare: nel giugno del 1770 l'ospizio di S. Michele le corrispose, infatti, la cifra di 6 scudi "per aver riportato sul stendardo e Crocifisso li recami d'oro"; e nel 1788 ricevette dalla Curia vescovile 6,58 scudi, "per aver accomodato le pianete e tonicelle ricamate" (ibid., p. 37). A sua volta il M. era sicuramente attivo anche come copista: il 20 giugno 1763 il gonfaloniere di Fano propose al Consiglio comunale di corrispondergli un compenso per la donazione da lui offerta di una replica del S. Pietro che guarisce lo storpio di Simone Cantarini. Inoltre, già negli anni Settanta, il M. esercitava in qualità di restauratore, secondo un atto del 14 ott. 1775 col quale l'amministrazione del santuario di Ponte Metauro gli versava 2,5 scudi per il ritocco di un dipinto raffigurante una Madonna (ibid., pp. 36 s.).
Nel corso dell'ottavo decennio le sole opere documentate del M. sono ritratti, l'unico genere nel quale l'artista, nonostante oscillazioni qualitative piuttosto considerevoli, seppe conquistare in vita una certa fama.
Al 1772 (o al 1774, poiché l'ultima cifra della data riportata sulla tela non risulta di lettura inequivocabile) dovrebbe risalire il Ritratto dell'abate Antonio Modesto Gasparoli (collezione della Cassa di risparmio di Fano). Il Ritratto di Francesco Vici, maestro di cappella di Fano (Bologna, Civico Museo bibliografico musicale), è firmato e datato 1776 sul retro della tela; nello stesso anno si dovrebbe situare l'esecuzione del Ritratto di Andrea Basilj, maestro di cappella della S. Casa di Loreto, conservato nel medesimo museo bolognese. Al 1769 si colloca la realizzazione del Ritratto di Gianandrea Bellini, musicista fanese, opera destinata a padre Giovanni Battista Martini, celebre compositore e trattatista bolognese (la tela è anch'essa al Civico Museo bibliografico musicale di Bologna). Nel 1780 il M. dipinse, firmandoli e datandoli, i due ritratti pendants del Conte Mario Compagnoni Floriani di Villamagna e della Marchesa Francesca Ricci Compagnoni (Macerata, collezione Compagnoni Floriani, ripr. in C. M., 1990, nn. 27-28).
Al principio del nono decennio la famiglia del M. fu coinvolta in alcuni eventi dolorosi. Nel 1782, infatti, la figlia più giovane fu accusata di una relazione illegittima con un abate, Figari, che per tale motivo fu incarcerato. Il 10 ag. 1783, inoltre, il rapporto controverso col figlio Arcangelo culminò nella rinuncia del M. alla patria potestà: la difficoltà di relazione tra i due si era già manifestata anni prima, in occasione del matrimonio del figlio.
Negli anni Ottanta il M. dovette essere impegnato principalmente in veste di restauratore: nel 1789 e nel 1790 risultano piccoli pagamenti per interventi di tale natura su alcuni quadri del duomo di Fano e su un dipinto nell'infermeria dell'ospizio di S. Michele. Non erano però cessate le richieste al M. nel campo della ritrattistica. Risale forse alla seconda metà degli anni Novanta il Ritratto di padre Luigi Barbieri, provinciale dei minimi del convento di S. Spirito in Fano, oggi nella Pinacoteca civica della stessa città, dove sono altresì conservati il Ritratto di Francesco Paci, calzolaio che morì nel 1799, con ogni probabilità a poca distanza dall'esecuzione della tela del M.; quello di Papa Pio VII, realizzato nel 1800 nel corso di un soggiorno a Fano del pontefice; e quello di Fra Andrea Giommi, che può essere collocato nello stesso giro di anni. Nel giugno del 1802 il M. fu pagato per una Madonna collocata nell'appartamento dell'abate dell'abbazia di S. Paterniano; e per la stessa sede, fra il novembre e il dicembre del medesimo anno, dipinse "tre armi del Papa, Cardinal Protettore e Rev.mo Padre Abate Generale Leati, poste nel chiostro" e ancora una tela "rappresentante la Beata Vergine da porsi in foresteria" (ibid., p. 38). Gli ultimi pagamenti documentati al M. per imprese pittoriche sono del 1804: in febbraio ricevette un compenso, ancora dall'abbazia di S. Paterniano, per una Madonna della Pietà; e sempre quell'anno eseguì per la chiesa di S. Pietro in Valle di Fano una copia della Consegna delle chiavi dipinta nel 1626 da Guido Reni, che era stata sottratta dalle truppe napoleoniche nel 1798.
Nella persistente difficoltà di risolvere il problema della collocazione temporale delle nature morte del M., conviene affrontare a parte, e fuori dalla sequenza cronologica della biografia, quest'aspetto così rilevante della sua produzione.
Il catalogo di nature morte del M. presenta più di un elemento controverso, al punto che è stata prospettata, ma con argomenti non molto persuasivi, l'ipotesi che esso non sia da ricondurre effettivamente al M. (Nicola Levoli, p. 14). Di certo il vasto nucleo, di poco meno di un centinaio di pezzi (attribuiti al M. forse largheggiando un po', C. M., 1990) che si raccoglie intorno al M. presenta nel complesso una notevole coerenza stilistica, che rimanda soprattutto alla tradizione emiliana e lombarda, e un'indiscutibile nobiltà di fattura. Nella sua attività di specialista di natura morta, il M. attinse costantemente a una trama di oggetti, assiduamente variata nelle forme e nelle combinazioni, che ne costituì il repertorio saldamente governato: un fitto tessuto di cose semplici e di generi alimentari primari, esplorato con profonda intelligenza pittorica, assemblato secondo una limpida e rigorosa perspicuità impaginativa - per spiegare la quale si è fatto riferimento a una razionalità di matrice illuminista (Benati, in La natura morta in Emilia e in Romagna, p. 157) - e restituito attraverso una regia luministica impegnata in una raffigurazione il più possibile "oggettiva" delle composizioni ideate. I pezzi salienti di questo minuscolo e modesto teatro del quotidiano, oltre che in varie collezioni private, si conservano principalmente nella Quadreria della Fondazione Cassa di risparmio di Fano, nella Pinacoteca civica di Faenza e nella Pinacoteca civica di Forlì.
Il 28 febbr. 1803 il M. e sua moglie fecero testamento, lasciando la gran parte dei loro miseri beni alla figlia Balbina, a eccezione del materiale legato all'attività artistica, che fu destinato ad Arcangelo. Il successivo 8 maggio Michelina morì. Il M. morì a Fano il 3 luglio 1806, abbandonato dai figli e ospite nell'abitazione di un certo Gioacchino Mattioli.
Fonti e Bibl.: R. Longhi, in Paragone, IV (1953), 39, pp. 62 s. (recensione a C. Sterling, La nature morte de l'antiquité à nos jours, Paris 1952); G. De Logu, Novità su "Charles Magin peintre à Fano", in Emporium, CXX (1954), pp. 247-258; L. Zauli Naldi, C. M., pittore di nature morte del sec. XVIII, in Paragone, V (1954), 49, pp. 57-60; A. Servolini, C. M. pittore fanese del Settecento, in Commentarii, 1957, n. 8, pp. 125-137; Id., C. M., Milano 1959; R. Roli, Due ritratti di C. M., in Arte antica e moderna, 1966, n. 33, pp. 88-92; L. Dania, Nature morte e ritratti inediti di C. M., in Antichità viva, XV (1976), pp. 23-28; L. Salerno, La natura morta italiana 1560-1805, Roma 1984, pp. 386-391; B. Montevecchi, La riscoperta di un genere minore: le nature morte di C. M., in Arte e cultura nella provincia di Pesaro e Urbino dalle origini a oggi, a cura di F. Battistelli, Venezia 1986, pp. 465-472; L. Teza, C. M. e Sebastiano Ceccarini, pittori fanesi di natura morta, in Notizie da palazzo Albani, XVI (1987), pp. 84-96; Id., in La natura morta in Italia, a cura di F. Porzio, II, Milano 1989, pp. 622-625, 642; Nicola Levoli (catal.), a cura di G. Milantoni, Rimini 1990, pp. 14, 58 s.; C. M., a cura di P. Zampetti, Milano 1990; La natura morta in Emilia e in Romagna, a cura di D. Benati - L. Peruzzi, Milano 2000, pp. 256 s., 286-291; L'anima e le cose. La natura morta nell'Italia pontificia nel XVII e XVIII secolo (catal., Fano), Modena 2001, pp. 47-51, 162-170.