LENZONI, Carlo
Nacque a Firenze, nel quartiere di S. Maria Novella ("gonfalone" della Vipera), il 13 febbr. 1501 da Simone di Noferi e Caterina Marsuppini. Perduto il padre all'età di sedici anni, restò sotto la guida della madre, che mancò circa dieci anni dopo.
La prima educazione letteraria fu affidata all'insegnamento di Alessandro Rosselli; ebbe poi come precettore Gabriele Cesano. Si applicò allo studio dell'astronomia con tale maestro Giuliano Carmelitano; una lettera del L. senza data a B. Varchi riferisce di una scommessa tra i due sull'astro di Venere, in merito alla questione della sua visibilità mattutina e serale, sostenuta dal Varchi e contestata dal Lenzoni. Pur non occupandosi di astrologia, si interessò di geniture, come testimonia una lettera del 22 genn. 1531 di A. Caro al Varchi. Attese allo studio della filosofia seguendo le lezioni di Francesco Verino e completò la propria formazione con la pratica degli esercizi cavallereschi.
Sposò Lucrezia figlia dello stampatore Iacopo Giunti dalla quale ebbe sette figli, due maschi e cinque femmine. Ebbe un ruolo non secondario nelle magistrature della Firenze cosimiana. Stando ai dati forniti dalla Raccolta genealogica Sebregondi, 3017, dell'Archivio di Stato di Firenze, per i quali non sempre è oggi possibile un puntuale riscontro documentario, il L. fu capitano di Orsanmichele dal 23 genn. 1530, potestà di Carmignano dal 15 ott. 1531 (entrambe cariche semestrali), ufficiale della carne e del pesce dal 10 genn. 1534 (per un anno), soprastante alle Stinche dal 7 genn. 1536 e dal 13 maggio 1543 (per quattro mesi), del Consiglio dei dugento dal 20 nov. 1540, degli Otto di guardia e balia dal 1° sett. 1545 (per quattro mesi), conservatore di Leggi dal 1° nov. 1548 (per sei mesi). Esercitò inoltre l'importante carica di depositario generale, ossia di cassiere della Tesoreria ducale.
Parallela all'attività pubblica fu intensa la partecipazione alle vicende culturali fiorentine, che fece di lui uno degli intellettuali maggiormente impegnati nel consolidamento del prestigio di Firenze e della sua tradizione letteraria. Il 20 genn. 1541 fu accolto nell'Accademia Fiorentina, in occasione dell'ultimo degli arroti che portarono al considerevole ampliamento (da 11 a 41 unità) dell'originale gruppo dei fondatori, che avevano dato vita al cenacolo, con il nome di Accademia degli Umidi, appena il 1° nov. 1540. Da quel momento in poi il L. svolse all'interno dell'Accademia Fiorentina tutta la sua attività letteraria e ne divenne uno dei più autorevoli esponenti. Ricoprì la carica di consolo nel 1543, affiancato, in qualità di consiglieri, da Benedetto Minerbetti e Benedetto Mercati da San Miniato e, come censori, da Carlo Strozzi, Pierfrancesco Giambullari, Filippo del Migliore e Lionardo Tanci; fu tre volte censore e, nel 1550, riformatore della lingua. Il 3 dicembre di quell'anno, infatti, l'Accademia deliberò la costituzione di una commissione di cinque membri deputati a fissare le regole del toscano: oltre al L., Francesco Torelli, Giovan Battista Gelli, Pierfrancesco Giambullari e Benedetto Varchi.
Un risvolto giudiziario puntellò l'animosità intellettuale che contrapponeva lo stesso L., solidale in Accademia con Gelli, Giambullari, Bartoli, a Varchi, sintomo estremo dell'ostilità di parte dell'ambiente fiorentino nei confronti di quest'ultimo: nel febbraio 1545 fu proprio il L. a caldeggiare una denuncia per stupro a carico di Varchi, che ebbe come esito la carcerazione, seguita dal rilascio, con sentenza del marzo dello stesso anno, solo dopo la confessione e il pagamento di una multa. Dietro l'episodio, si deve intravedere una manovra ai danni di Varchi, che il 1° febbraio era stato eletto consolo, e che a causa della disavventura giudiziaria poté insediarsi solo il 12 aprile successivo.
L'attività del L. in Accademia si concretò nell'assidua partecipazione alle discussioni linguistiche e ai tentativi di codificazione grammaticale che animarono il secolo e dal cui orizzonte la cultura fiorentina era stata fino ad allora sostanzialmente assente. In questo ambito il L. concepì la sua opera principale, il dialogo In difesa della lingua fiorentina e di Dante, con le regole da far bella e numerosa la prosa (Firenze, L. Torrentino, 1556, colophon 1557; un'edizione parziale in Discussioni linguistiche del Cinquecento, a cura di M. Pozzi, Torino 1988, pp. 337-429), che però non riuscì a vedere stampato.
Il L. morì a Firenze nel 1551, in una data anteriore al 25 aprile; il suo corpo fu tumulato in S. Maria Novella il 9 giugno.
Lasciata incompiuta e parzialmente allo stadio di abbozzo, la Difesa venne affidata a Giambullari, che la condusse a termine sulla base degli appunti lasciati dall'autore. Ma, morto anche Giambullari il 24 ag. 1555, l'edizione 1556-57 si dovette alle cure di Cosimo Bartoli, autore dell'Orazione sopra la morte di C. L. recitata nella Accademia Fiorentina, pubblicata in appendice.
La Difesa è in forma di dialogo, in tre giornate, tra il L., Giambullari, Gelli (dalla cui lezione la conversazione risulta ampiamente dominata), Bartoli, Lorenzo Pasquali e un gentiluomo forestiero, il signor Licenziado, portavoce della tesi contrapposta a quella degli Accademici Fiorentini. L'opera si pone quale manifesto dei letterati fiorentini, di impegnativa rivendicazione di un primato che, svolgendo la contrapposizione tra dantismo fiorentino e petrarchismo bembesco, costituisce una confutazione delle riserve sulla lingua fiorentina e su Dante di ispirazione bembesca, che, diffuse dall'ambiente degli Infiammati di Padova, erano state introdotte a Firenze da Varchi. Bersaglio polemico del L. sono così le Prose del Bembo, ma anche i Ragionamenti della lingua toscana di Bernardino Tomitano.
Un altro frutto dell'impegno culturale del L. nei suoi ultimi anni di vita, riconducibile agli interessi neoplatonici dell'Accademia, è la curatela del volgarizzamento, opera di Tommaso Benci, della versione latina di Marsilio Ficino del Pimandro di Ermete Trimegisto (Firenze, L. Torrentino, 1548). Compresa tra l'estate del 1549 e la stampa dell'aprile 1550 è invece la revisione stilistica, eseguita insieme con Bartoli e con Borghini, delle Vite degli artisti di Giorgio Vasari (ibid. 1550), resa nota dal carteggio vasariano. Una Canzona de' lanzi tamburini (in Trionfi e canti carnascialeschi del Rinascimento, a cura di R. Bruscagli, II, pp. 295-297) è datata al 1536 da una nota del codice Magl., II.IV.251 (c. 97), ma la prima edizione rintracciata è nella silloge curata da A. Grazzini di Tutti i trionfi, carri, mascheaate [sic] o canti carnascialeschi andati per Firenze dal tempo del Magnifico Lorenzo vecchio de' Medici, Firenze, s.n.t. [ma L. Torrentino], 1559 (Canti carnascialeschi, pp. 467 s., 475).
Come interlocutore il L. appare in alcune opere dialogiche contemporanee: insieme con Biagio Caccini, in uno dei ragionamenti de I marmi di A. Doni (Venezia, F. Marcolini, 1552, pp. 72-75); nel quinto dei Ragionamenti accademici sopra alcuni luoghi difficili di Dante del Bartoli (ibid., F. De Franceschi, 1567); nel Gello dell'origine della lingua fiorentina del Giambullari (Firenze, A. Doni, 1546), in cui Giambullari, Gelli, il L. e un messer Curzio discutono la tesi gelliana dell'origine del fiorentino dall'aramaico.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato Firenze, Arch. Ceramelli Papiani, 2747; Carte Strozziane, serie prima, CXXXII, c. 77 (lettera, s.d., a B. Varchi sulla stella di Venere; anche in Firenze, Biblioteca nazionale, Autografi palatini, II, n. 31; Magl., VIII.57, cc. 50v-51r); Cittadinario, Quartiere di S. Maria Novella, filza 7, c. 73r (1500 m.f.); Mediceo del principato, 345, cc. 246r-247r, 316r (lettere a Cosimo I, luglio 1540); Miscellanea acquisti e doni, 286, XXIV, 1-2 (due lettere a Niccolò Campani); Raccolta genealogica Sebregondi, 3017; Ufficiali della Grascia, 191, c. 489v; P. Rilli, Notizie letterarie ed istoriche intorno agli uomini illustri dell'Accademia Fiorentina, Parte prima [e unica], Firenze 1700, pp. 2-7; S. Salvini, Fasti consolari dell'Accademia Fiorentina, Firenze 1717, pp. 24-27; G. Mancini, Cosimo Bartoli (1503-1572), in Arch. stor. italiano, II (1918), pp. 104-106; G.G. Ferrero, Dante e i grammatici della prima metà del Cinquecento, in Giorn. stor. della letteratura italiana, CV (1935), pp. 41-45; Canti carnascialeschi del Rinascimento, a cura di Ch.S. Singleton, Bari 1936, pp. 344 s., 467 s., 475; L. Peirone, Un cinquecentesco inno ai fonemi, in Lingua nostra, XXIX (1968), pp. 102-105; F. Bruni, Sistemi critici e strutture narrative (ricerche sulla cultura fiorentina del Rinascimento), Napoli 1969, passim; G. Mazzacurati, Il mito di Dante a Firenze: dal L. al Borghini, in Id., Conflitti di culture nel Cinquecento, Napoli 1977, pp. 183-233; A. Vallone, L'interpretazione di Dante nel Cinquecento. Studi e ricerche, Firenze 1979, pp. 188-192; M. Caesar, Dante, the critical heritage 1314 (?) - 1870, London-New York 1989, pp. 250-259; M. Sherberg, The Accademia Fiorentina and the question of the language: the politics of theory in ducal Florence, in Renaissance Quarterly, LVI (2003), 1, pp. 26-55; M. Plaisance, L'Accademia e il suo principe. Cultura e politica a Firenze al tempo di Cosimo I e di Francesco de' Medici, Manziana 2004, ad indicem.