GENÈ, Carlo
Nacque a Torino il 16 apr. 1836 da Giuseppe, professore di zoologia all'Università di Torino, e da Teresa Melchioni. Entrato nel 1851 come allievo nella R. Accademia militare di Torino, ne uscì nel 1856 come sottotenente del genio. Dopo un periodo iniziale di servizio nello stato maggiore del genio, nel 1858 venne trasferito con il grado di tenente nel 1° reggimento zappatori. L'anno dopo partecipò alla guerra contro l'Austria, meritando una menzione onorevole (medaglia di bronzo) "per essersi distinto ne' lavori sotto Peschiera".
Alla fine del 1859 fu promosso capitano e nel 1863 maggiore. Con tale grado prese parte nel 1866 alla guerra per la liberazione del Veneto e fu insignito della croce di ufficiale dell'Ordine militare di Savoia per il comportamento durante i lavori preparatori dell'attacco a Borgoforte, da lui diretti tra il 5 e il 17 luglio.
Trascorse i sei anni successivi impiegato presso lo stato maggiore del genio e presso il ministero della Guerra, per poi passare nel 1873 con il grado di tenente colonnello nel corpo di stato maggiore. Colonnello nel 1876, tra il 1878 e il 1880 era capo di stato maggiore del VI corpo d'armata e al comando del 6° reggimento bersaglieri fino al 1881.
Successivamente fu posto alla testa della brigata "Regina" e, promosso maggior generale il 17 nov. 1883, fu nominato direttore dell'Istituto geografico militare di Firenze, incarico che non dovette essere estraneo alla sua successiva nomina a comandante superiore delle truppe italiane in Africa (decreto 6 ott. 1885).
La carica, di nuova istituzione, era stata creata per riunire sotto un solo comando le forze di terra e di mare dislocate nel Mar Rosso e, per questioni di natura politica, doveva dipendere dal ministero degli Esteri, mentre aveva a sua volta la direzione - oltre che delle truppe - anche di tutti i servizi, dipendenti da qualsiasi amministrazione, impiantati o da impiantare nella zona costiera dell'Eritrea, ancora formalmente soggetta al governo egiziano che, tra l'altro, seguitava a mantenervi proprie truppe accanto a quelle italiane sopraggiunte.
Dando esecuzione alle istruzioni impartitegli dal ministero degli Esteri il 6 novembre, il G., giunto sul posto il 12, dovette anzitutto "prendere nelle Sue mani l'amministrazione militare di Massaua", rimuovendo i funzionari e i militari egiziani. Grazie ai preventivi accordi con il governo britannico che aveva esercitato le necessarie pressioni su quello del Cairo, gli Egiziani non si opposero, di modo che le loro truppe e i loro funzionari si imbarcarono senza, praticamente, elevare proteste. Così il 2 dicembre il G. poteva annunciare alla popolazione di Massaua l'avvenuto passaggio di poteri con un manifesto che prometteva una nuova era di prosperità.
Non sembrava neppure che ci fossero, in quel momento, serie difficoltà nei rapporti con l'Etiopia, anche se da più segni si era potuto constatare come, da parte abissina, ci fosse una crescente preoccupazione per l'espansione italiana, specie per la progressiva sostituzione delle guarnigioni egiziane con quelle italiane. Non a caso già nel giugno la presenza a Saati, nell'interno, di irregolari indigeni al servizio italiano aveva provocato le proteste del ras dell'Hamasien, Alula; ciò nondimeno, e in contrasto con le "considerazioni di ordine militare", l'occupazione della località era stata mantenuta per le insistenze del ministero degli Esteri che, per una questione di prestigio, non voleva acconsentire allo sgombero della posizione. Comunque all'epoca dell'assunzione del comando da parte del G. la tranquillità dell'insediamento italiano, limitato ancora ad Assab e Massaua e agli immediati dintorni, era assicurata, sia per la pressione a nord dei dervisci, sia perché all'interno dell'Etiopia non erano ancora stati ben definiti i rapporti di forza tra l'imperatore Giovanni IV e i suoi feudatari, soprattutto Menelik negus dello Scioa. Questo tanto più che, a fine gennaio 1886, era sbarcata una missione diplomatica, diretta dal generale G. Pozzolini, inviata presso l'imperatore per dirimere tutti i contrasti. Per una serie di equivoci e di questioni procedurali dovute alla partenza dell'imperatore per una campagna di guerra, la missione - ad aprile rinviata ufficialmente sine die - non ebbe più luogo, ciò che senz'altro contribuì ad aggravare la situazione.
Nel frattempo il G. aveva proceduto a una prima organizzazione dei servizi civili e amministrativi di Massaua, informandone con una memoria del 30 giugno 1886 il ministro degli Esteri, così come aveva proceduto a una prima organizzazione dei "bascibozuk", gli irregolari indigeni passati dal servizio egiziano a quello italiano. Come il G. precisava in una lettera del 2 febbr. 1886, questi erano stati suddivisi in due "orde", articolate a loro volta in "buluk". Un'orda, quella interna, era adibita a vari compiti militari e di polizia a Massaua; l'altra, quella esterna, era addetta ai presidi minori, così come due distaccamenti speciali.
Erano soprattutto gli irregolari, i bascibozuk, a essere impegnati nella scorta alle carovane che raggiungevano Massaua e ad affrontare predoni e razziatori che attaccavano le tribù sottomesse al governo italiano, con le inevitabili complicazioni legate all'indeterminatezza dei confini e all'indole bellicosa delle diverse tribù.
Sul finire dell'estate, chiaritisi i rapporti di forza all'interno dell'Impero etiopico, venne meno la situazione di stallo che aveva indotto il G. - ancora imbevuto di una mentalità militare europea e quindi restio ad assimilare la diversa realtà africana - a un ottimismo che gli eventi successivi avrebbero duramente smentito.
Qualche incidente di frontiera induceva il G. a rafforzare la guarnigione di Saati e a occupare le località di Zula e di Uaà, in contrasto con le disposizioni che gli erano state impartite di "mantenere i punti occupati, ma non occuparne altri". Le proteste di ras Alula, che si stava avvicinando con i suoi armati alle zone contese, lo inducevano a chiedere rinforzi in Italia, limitandoli però a un battaglione di fanteria, una sezione d'artiglieria da montagna e una compagnia del genio, a riprova di quanto egli sottostimasse il pericolo. Una conferma di questa sua errata valutazione era poi offerta dall'aver egli permesso, in quel momento, la partenza per l'interno dell'Etiopia della missione composta dal conte A. Salimbeni e da due ingegneri, che erano però anche due ufficiali, il maggiore F. Piano e il tenente T. Savoiroux, missione che ras Alula trattenne in ostaggio all'Asmara e che, una volta scoperto che gli ingegneri erano anche dei militari, minacciò di morte in caso non fossero state sgomberate entro pochi giorni Saati e le altre località successivamente occupate.
Questa era la situazione a metà gennaio 1887: nonostante le minacce e malgrado l'avvicinarsi in forze di ras Alula, il G. si limitò a rinforzare i presidi minacciati, inviando per la prima volta a Saati anche alcuni reparti nazionali (due compagnie di fanteria e una sezione d'artiglieria da montagna agli ordini del maggiore G. Boretti) in aggiunta ai sei buluk di irregolari indigeni.
Il 25 gennaio gli armati di ras Alula, in parte dotati di fucili, attaccavano il forte di Saati da cui dopo due ore di combattimento erano respinti con forti perdite, grazie anche al fuoco dei due pezzi d'artiglieria. Lo scontro, sebbene vittorioso, aveva però messo in difficoltà la guarnigione, che aveva quasi esaurito le munizioni e che scarseggiava anche di viveri. Dietro richiesta telegrafica munizioni, viveri e rinforzi vennero inviati il giorno successivo, per ordine del G., sotto il comando del tenente colonnello T. De Cristoforis. I rinforzi, partiti in ritardo e costituiti da soldati appena giunti dall'Italia, avanzarono senza troppe precauzioni e, una volta incontrato a Dogali il nemico, lo affrontarono confidando anche nel volume di fuoco di due mitragliere che avevano al seguito, ma che cessarono, invece, ben presto di funzionare. Schiacciati dal numero, i soldati italiani - circa cinquecento - caddero quasi tutti sul campo.
Per breve tempo, mentre in Italia si diffondeva la notizia di Dogali che provocava un'emozione enorme, si temette che ras Alula potesse raggiungere la costa e attaccare Massaua. Fatti sgombrare i presidi di Saati, Zula e Uaà, il G. si dispose a organizzare, anche con l'appoggio della Marina, la resistenza, ma il nemico non si fece avanti. Vennero invece intavolate trattative con ras Alula per la liberazione dei componenti della missione Salimbeni, che il ras voleva cedere in cambio degli 800-1000 fucili da lui acquistati in Europa e poi bloccati dal G. a Massaua e dell'estradizione di alcuni suoi sudditi rifugiatisi in territorio sottoposto all'Italia. Dopo qualche tergiversazione, a metà marzo il G. faceva consegnare ad Alula i fucili e i rifugiati - ma non il loro capo - ottenendo che con l'eccezione del Savoiroux, liberato sei mesi più tardi, tutti i componenti della missione gli fossero riconsegnati.
Più che la gestione del comando, fu la cessione dei fucili a fornire ufficialmente il motivo per il richiamo del G., annunciato, con attestazioni di stima per i "distintissimi servigi", da una lettera del 18 marzo del ministero degli Esteri (che rappresentava la versione ammorbidita del testo originale preparato dal ministero della Guerra), assieme alla destinazione del G. al comando della brigata "Basilicata".
Rimpatriato, prima di assumere il nuovo comando il G. fu sottoposto al giudizio di una commissione di quattro generali per l'accertamento di eventuali responsabilità nella consegna dei fucili. La mancanza commessa - questo fu il successivo giudizio della commissione - non era stata di natura e grado tali da rendere il G. immeritevole, neanche momentaneamente, del comando della brigata. Che i comandi avessero ancora fiducia in lui lo dimostrava l'ulteriore evolversi della sua carriera: dopo pochi mesi infatti gli era affidato, in Eritrea, il comando della I brigata (1° e 2° reggimento cacciatori, una batteria da montagna e quattro buluk indigeni) assegnata alla spedizione guidata dal generale A. Asinari di San Marzano, comando che gli avrebbe fatto ottenere una medaglia di bronzo e la promozione, dal 24 sett. 1888, a tenente generale. Con questo grado, una volta rimpatriato, il G. era posto al comando della 24ª divisione militare di Messina, comando che avrebbe esercitato per poco più di un anno prima di rassegnare le dimissioni dal servizio.
Ritiratosi in Piemonte, il G. morì a Stresa il 6 dic. 1890.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Torino, Ministero della Guerra, Reggimento zappatori del genio, Matricola ufficiali; Roma, Arch. dell'Ufficio storico dello Stato maggiore dell'Esercito, Carteggio Eritrea, faldoni 1, 39, 53, 58, 88, 113, 152, 162, 175; voll. 2, 3, 8, 9; Ministero della Guerra, Comando del corpo di stato maggiore - Ufficio storico, Storia militare della Colonia Eritrea, Roma 1935, pp. 96-111, 116-125, 212-220; R. Battaglia, La prima guerra d'Africa, Torino 1958, ad indicem; Ministero Affari esteri - Comitato per la documentaz. dell'opera dell'Italia in Africa, L'Italia in Africa. Serie storica, V, Documenti 1885-1886, Roma 1966, pp. 119-127, 155 s., 163-166, 169, 180, 223 s., 340, 347, 373-377; VI, Documenti 1887-1888, Roma 1972, pp. 3-11, 22-24, 27-33, 54-58, 73-75; A. Del Boca, Gli Italiani in Africa orientale, I, Bari 1976, ad indicem; N. La Banca, In marcia verso Adua, Torino 1993, ad indicem; Annuario militare del Regno d'Italia, anni 1870-91, ad nomen.