FAINA, Carlo
Nacque a Perugia il 12 ott. 1894 dal conte Napoleone, di famiglia eminente in campo economico e politico, e da Caterina Mocenni. Combattente durante la prima guerra mondiale, fu gravemente ferito e ottenne tre decorazioni insieme con il grado di capitano. Dopo il conflitto si laureò in giurisprudenza ed in scienze economiche e commerciali presso l'università Bocconi di Milano. Nominato nel 1921 segretario della Camera di commercio di Vicenza, l'anno successivo passava alla Banca nazionale dell'agricoltura, raggiungendo in breve tempo il grado di direttore di sede. Nel 1926, assunto dalla Società Montecatini, ebbe l'incarico dal capo della grande azienda chimica e mineraria, G. Donegani, di organizzare la segreteria della presidenza. In un quindicennio il F. salì ai vertici dell'impresa: alla direzione commerciale nel 1930, dopo qualche anno trascorso alla guida dell'Ente zolfi italiani, divenne direttore generale nel 1941.
La Montecatini era allora all'apice del successo, vera e propria potenza dell'economia italiana. A cinquant'anni dalla fondazione, nel 1938, poteva vantare un capitale sociale di lire, 1.300.000.000, 60.000 dipendenti, 170 unità produttive fra stabilimenti, miniere, cave, impianti elettrici, il controllo di 44 società, il consumo di un decimo dell'energia elettrica utilizzata in Italia, una sicura egemonia in campo nazionale nelle produzioni minerarie e chimiche, in particolare nelle piriti, nei perfosfati, nei concimi azotati. Talmente solida appariva la posizione economica dell'impresa che l'acquisto delle sue azioni era paragonato all'investimento in titoli di Stato.
Tuttavia, anche alla fine degli anni Trenta potevano ravvisarsi alcuni punti deboli che avrebbero costituito un grave ostacolo all'azione del gruppo dirigente nella fase successiva al secondo dopoguerra. Senza dubbio parte dell'affermazione della Montecatini era dovuta ad una sorta di do ut des con il potere politico che a lungo andare non poteva non danneggiarla. Il governo fascista aveva arbitrato in suo favore la contesa che la opponeva alle organizzazioni degli agricoltori sul prezzo dei fertilizzanti, non contrastandone le pratiche monopolistiche e concedendole nel 1931 un elevatissimo dazio sui concimi azotati. Le chiedeva però da quell'anno d'impegnarsi in una serie di salvataggi - 1931: ACNA (Aziende chimiche nazionali associate; coloranti), 1934: Montevecchio (piombo), 1935: imprese marmifere del Carrarese - che appesantivano il complesso aziendale, e, dopo la proclamazione dell'"autarchia", nel marzo del 1936, di dedicarsi a produzioni - la lignite, lo zinco, l'alluminio mediante un dispendioso procedimento che utilizzava le bauxiti nazioniali - per le quali non esisteva alcuna convenienza economica.
Altro elemento che segnalava negli anni precedenti il conflitto mondiale l'inadeguatezza dell'impresa a competere in un mercato non inceppato da barriere protezionistiche e da comandi governativi era la permanenza di una direzione rigidamente accentrata. L'artefice delle fortune aziendali, Donegani, coadiuvato da pochissimi collaboratori - oltre al F., G. Galletti, P. Giustiniani, A. Cucchini, D. F. Rebua -, determinava le strategie della Montecatini e delle consociate, mentre seguiva da vicino l'attività gestionale di entrambe. Nonostante le dimensioni e la relativa dispersione della proprietà, la Montecatini appariva ancora un'azienda "a controllo personale", mentre i giganti della chimica internazionale - la Dupont, la ICI (Imperial chemical industries), la I. G. Farben - si orientavano verso la struttura multidivisionale che, specializzando la funzione strategica e diffondendo il potere decisorio grazie al decentramento organizzativo, consentiva una maggiore attenzione ai problemi di sviluppo a lungo termine e una efficace reattività ai mutamenti della domanda.
Il secondo conflitto mondiale non rappresentò per la Montecatini una grande occasione di crescita né i danni causati dagli eventi bellici furono irreparabili: nei settori centrali per la società dei perfosfati, dell'azoto, della produzione di energia elettrica, il ritorno alla normalità d'anteguerra era quasi completamente raggiunto nel 1947. Di fatto, almeno nel breve periodo, la conseguenza più importante della guerra andava ricercata nella cesura del rapporto con Donegani, allontanato dalla guida dell'impresa perché accusato di compromissione con il fascismo. Dopo l'aprile del 1945 la società veniva retta da un commissario - D. F. Rebua, anch'egli direttore generale - nominato dal Comitato di liberazione nazionale. Il primo consiglio d'amministrazione del dopoguerra si insediava il 27 marzo 1946 e nominava alla presidenza il vecchio senatore liberale M. Abbiate, ministro del Lavoro con Nitti, antifascista, ritiratosi a vita privata dopo il 1923. Il F., che dopo l'8 sett. 1943 aveva diretto la società nel territorio non occupato dai Tedeschi, assumeva la carica di amministratore delegato, affiancato da L. Morandi, già direttore tecnico ma non fra i dirigenti di maggior spicco, socialista, fratello del ministro dell'Industria R. Morandi. Nonostante la presenza di due "uomini nuovi", quali Abbiate e Morandi, le strategie del vertice aziendale negli anni della ricostruzione non prevedevano di riconsiderare le caratteristiche del gruppo così come si era formato prima della guerra, con la massiccia presenza nel settore minerario, la centralità della produzione di perfosfati, le eredità del periodo autarchico. Del resto, Morandi difese senza riserve l'operato di Donegani di fronte alla commissione economica dell'Assemblea costituente, così come il F. in un ampio articolo del 1946 (La Montecatini e la ripresa dell'industria chimica nazionale, in L'Industria, n. s., I [1946], 4) ripropose senza ripensamenti il tradizionale modello d'impresa.
Dal 1949 la guida della Montecatini fu saldamente in mano al gruppo dirigente formatosi con Donegani (quest'ultimo era morto nel 1947). Giustiniani, con il F. la figura di maggior rilievo della direzione generale costituita nel 1941, già allontanato dall'"epurazione", tornava in azienda dopo una breve esperienza alla Terni, per ricoprire anch'egli la posizione di amministratore delegato. Morandi veniva "promosso" alla vicepresidenza con generici incarichi nel campo della ricerca scientifica e dei rapporti con l'estero, Abbiate sostituito alla presidenza dall'ingegner G. Mazzini, amico personale di Donegani e consigliere della società dal 1940. Un punto d'arrivo nel consolidamento del vecchio gruppo dirigente era nel 1956 la nomina del F. a presidente. Il controllo dell'impresa si trovava completamente nelle mani del management data la dispersione della proprietà. Alla fine degli anni Cinquanta l'IRI (Istituto per la ricostruzione industriale) era il maggior azionista possedendo circa il 6% dei titoli, mentre considerevole appariva l'impegno di Mediobanca, il cui pacchetto azionario non superava tuttavia l'1, 5%. Nonostante ciò, per rafforzare la propria indipendenza, nel 1964 il F. realizzava un incrocio azionario con il quale conferiva alla Fidia (una società controllata dalla stessa Montecatini) il 7% delle azioni della grande impresa.
Nonostante la tranquillità sul versante dell'assetto proprietario il F. e gli altri componenti della leadership aziendale sembravano fortemente disorientati dallo scenario entro il quale operava la società dopo il 1950. Mutavano drasticamente le caratteristiche del mercato interno: il prodotto interno lordo per abitante passava nel decennio successivo al 1952 da 848.000 a 1.329.000 (lire 1975), l'agricoltura che nel 1950 incideva sul prodotto nazionale lordo per il 29% vedeva il suo peso ridotto al 19% nel 1960 mentre nello stesso periodo l'industria saliva dal 33 al 48%. All'interno del settore secondario la chimica si rivelava fra i comparti più dinamici: tra 1950 e 1964 il suo tasso di incremento medio annuo era del 14% contro l'8, 2% dell'intera produzione industriale. Determinante era l'affermarsi di un nuovo "paradigma tecnologico", la petrolchimica, che consentiva di ottenere sia concimi azotati partendo dal gas naturale, sia una serie di produzioni di massa, materie plastiche, fibre sintetiche, elastomeri, dal cracking degli idrocarburi pesanti. La petrolchimica introduceva un sostanziale elemento di discontinuità nel settore, creava più vaste possibilità di economie di scala e di diversificazione ma esigeva anche un impegno di investimento molto maggiore sia in confronto alla sintesi elettrolitica dell'azoto sia rispetto alla carbochimica. La Montecatini cercò di cogliere tempestivamente le nuove opportunità tecnologiche aprendo a Ferrara nel 1950 il primo complesso petrolchimico europeo. Ma l'intensità della competizione era molto più sostenuta rispetto a quanto avevano permesso le condizioni politiche ed economiche degli anni Trenta. Dal 1956 al 1962 gli investimenti esteri nel settore ammontavano a 48 miliardi, di cui 25 di provenienza americana.
Fatto ancora più pericoloso per la Montecatini era l'entrata in scena di due grandi concorrenti italiani. L'esigenza di diversificare le attività al di fuori del settore elettrico, spingeva dal 1950 la Edison, grazie all'accordo con tre importanti società americane (la Monsanto, la Union Carbide, e la Chemestrand), ad aprire stabilimenti petrolchimici a Porto Marghera, a Mantova e a Priolo. Anche L'ENI (Ente nazionale idrocarburi), ottenuto dalla legge istitutiva (del 10 febbr. 1953) il monopolio delle ricerche e dello sfruttamento degli idrocarburi nella Valle Padana, dava il via ad un ampio programma di investimenti. Nel 1955 l'ANIC (Azienda naz. idrogenazione combustibili), che la Montecatini aveva fondato nel 1936 per l'idrogenazione degli oli minerali, ma di cui perdeva il controllo alla fine degli anni Quaranta mentre l'ENI riusciva a detenere il pacchetto azionario di maggioranza, aprì un grande impianto a Ravenna per la produzione di derivati dal metano, in particolare fertilizzanti azotati; negli anni seguenti a Gela e a Pisticci l'ANIC produrrà materie plastiche e fibre. Per una società come la Montecatini che aveva fatto dello stretto rapporto con il potere politico uno dei pilastri della propria strategia, l'azione di un imprenditore pubblico come E. Mattei, il fondatore dell'ENI, costituiva un dato di assoluta novità. Il F. e Giustiniani cercarono di controllare la competizione mediante accordi di cartello con le imprese rivali e fecero pressioni sul governo affinché "amministrasse" i prezzi in senso favorevole ai produttori. Si rivelò questo, nelle condizioni tecniche ed economiche imposte dalla petrolchimica, un atteggiamento del tutto inadeguato, tale da provocare una bruciante sconfitta su uno dei mercati sino ad allora più favorevoli per la Montecatini, quello dei concimi azotati. Nel 1965, la società, che all'indomani della ricostruzione incideva per l'80% della produzione nazionale, copriva solo il 30%, superata dall'ANIC che ne controllava il 35%.
Un preoccupante segnale delle difficoltà nelle quali si dibatteva la Montecatini si era già registrato nel 1953 con la riduzione del 2% del fatturato globale rispetto all'anno precedente, un dato che essendo addebitabile al calo di alcuni prodotti tradizionali come i superfosfati e il solfato di rame appariva un chiaro sintomo della pletoricità dell'impresa. Per una sorta di tributo ad una "vocazione originaria", che trovava scarsa rispondenza nelle condizioni economiche, venivano sostenute molte produzioni del ramo estrattivo, la lignite, lo zolfo, la bauxite, il marmo, la pirite, mentre a modestissimi esiti approdavano i tentativi di individuare giacimenti petroliferi iniziati nel 1952 in collaborazione con la Gulf Oil Corporation. Nella chimica per l'agricoltura, grazie all'impegno del laboratorio centrale, l'Istituto Donegani di Novara, non mancavano innovazioni di successo come la preparazione di concimi complessi a base di azoto, fosforo e potassio che colmava una grave lacuna del settore in Italia, o il lancio nel 1955 di un nuovo antiparassitario, l'Aspor, un prodotto di sintesi che, sostituendo il solfato di rame, permetteva di sottrarsi alle frequenti oscillazioni che caratterizzavano il mercato dei minerali di rame. Si constatava invece una scarsa attenzione alle indicazioni della domanda sia nei riguardi dei fertilizzanti fosfatici, la cui quota di mercato veniva progressivamente erosa dai concimi complessi, sia per l'acido solforico che veniva prodotto secondo la relazione all'assemblea del 29 apr. 1960 in omaggio ad una antica tradizione.
Eppure negli anni Cinquanta l'attività di ricerca acquistava nuovo slancio. L'episodio di maggior significato in questo senso era la collaborazione fra la Montecatini e il professore del Politecnico di Milano, G. Natta, che attraverso i suoi studi sui polimeri perveniva nel 1954 alla scoperta (gli varrà il premio Nobel per la chimica nel 1963) di una particolare struttura denominata "polipropilene isotattico", la cui produzione su scala industriale conduceva a fondamentali innovazioni nel campo delle materie plastiche e delle fibre sintetiche. Mancava però alla Montecatini quel circolo virtuoso che sistematicamente lega marketing, ricerca e sviluppo, e produzione, tipico delle grandi imprese chimiche americane e tedesche: i risultati scientifici non si tramutarono in esiti analoghi sul piano economico. È per produrre materie plastiche derivate dai brevetti di Natta che nel 1959 venne tentata la via multinazionale con la costituzione negli Stati Uniti della Novamont; ma l'impresa (per l'incertezza negli indirizzi produttivi, le difficoltà di finanziamento, l'estrema fragilità della rete distributiva) ebbe vita molto stentata.
Di gran lunga più impegnativo era il progetto che prese il via nel marzo del 1959 e che mirava a realizzare a Brindisi entro due anni il più grande e moderno stabilimento petrolchimico italiano. Con questo impianto la Montecatini si proponeva di raggiungere le giuste dimensioni di scala nella petrolchimica mancate a Ferrara, di sfruttare a pieno le scoperte di Natta e di porre quindi una distanza incolmabile fra sé e la concorrenza. Si riteneva necessario un costo di 100 miliardi raccolti grazie a un aumento di capitale (nel luglio 1960 passava da 110 a 150 miliardi) e a due prestiti obbligazionari. Le previsioni si rivelarono gravemente errate. Venne sottovalutata la necessità di nuove infrastrutture richieste dalla localizzazione del complesso, non si tenne nella giusta considerazione il rapidissimo cambiamento tecnologico del settore: si costruirono due impianti di cracking da 70.000 tonnellate annue l'uno mentre all'estero si mettevano in funzione simili apparati produttivi da 250.000 tonnellate. Emersero serie carenze impiantistiche come per la produzione di acetilene che non si riuscì ad attivare. Lo stabilimento di Brindisi entrerà in funzione a pieno regime soltanto nel 1964 e per una spesa superiore ai 160 miliardi.
Le conseguenze sul piano economico-finanziario e dell'assetto di vertice furono immediate. Nella primavera del 1963 - anno per il quale si prese la "storica" decisione di non distribuire dividendi - Giustiniani perse la carica di amministratore delegato. Il F. riuscì a conservare quella di presidente, ma dovette accettare la tutela di un comitato di direzione formato dai responsabili dei diversi settori produttivi. Le critiche all'interno dell'alta direzione nei confronti del F. e di Giustiniani furono impietose. In una relazione del settembre 1964 il nuovo amministratore delegato, G. Macerata, scrisse che negli ultimi dieci anni si erano realizzati investimenti tali da ottenere 100 miliardi di fatturato in meno rispetto a quanto previsto. I rimedi alla precaria condizione dell'azienda vennero ricercati innanzitutto in una drastica razionalizzazione interna che riguardò soprattutto le miniere, le produzioni dei fertilizzanti e del solfato di rame e che nel 1964 provocò una diminuzione del personale di 3.500 unità. Nel 1962 si era finalmente progettata quella struttura multidivisionale che i grandi gruppi chimici americani ed europei avevano adottato quasi trent'anni prima.
Tuttavia per la Montecatini all'inizio degli anni Sessanta era soprattutto urgente trovare supporti finanziari esterni per sostenere il programma industriale. Nel 1961 non era stato possibile attuare un aumento di capitale da 180 a 225 miliardi e l'anno successivo l'IRI aveva rifiutato di aumentare la propria partecipazione. Nell'ottobre del 1963 venne quindi iniziata la trattativa per una fusione con la SADE (Società Adriatica di elettricità), che in seguito alla nazionalizzazione delle imprese elettriche era ricca di ingenti crediti verso lo Stato, fusione conclusa un anno e mezzo dopo a condizioni molto favorevoli per la Montecatini. Nello stesso periodo venne realizzata una società in comune con la Shell, la Monteshell, che rilevò gli stabilimenti di Ferrara e di Brindisi. In una riunione del comitato direttivo della società, il F. definì l'accordo con il gruppo anglo-olandese una scelta dolorosa per la difficoltà di tutelare un patrimonio di tecniche e di esperienze, ma il vecchio consigliere Rebua ribatté che senza questa intesa e senza la fusione con la SADE la posizione della Montecatini sarebbe stata indifendibile. In realtà le due operazioni non valsero a preservare l'indipendenza della vecchia società di Donegani. Le preoccupazioni di alcuni importanti azionisti, i conflitti all'interno del gruppo dirigente, la presenza nella competizione chimica della Edison, certo non florida dal punto di vista industriale, ma dotata delle grandi disponibilità finanziarie che le derivavano dopo la nascita dell'ENEL (Ente nazionale per l'energia elettrica) dall'essere stata la maggior azienda elettrica del Paese, furono all'origine di quell'intensissimo e "occulto" lavoro condotto nella seconda metà del 1965 dall'amministratore delegato di Mediobanca, E. Cuccia, dal presidente della Edison, G. Valerio, e da Macerata, amministratore delegato della Montecatini, che portò nel marzo dell'anno seguente alla creazione della Montecatini-Edison, la più grande fusione della storia industriale italiana.
Il F., informato a cose fatte, tentò di farsi nominare amministratore delegato della nuova società, una posizione che nelle sue intenzioni doveva condividere paritariamente con Valerio; ottenne solo la presidenza onoraria, che conservò fino alla scomparsa, avvenuta a Milano il 5 febbr. 1980.
Nel 1952 era stato nominato cavaliere del Lavoro. Oltre a diverse cariche ricoperte in imprese legate alla Montecatini, è stato vicepresidente delle Assicurazioni generali, consigliere d'amministrazione della Fondiaria, della Bastogi, dell'università Bocconi, membro della giunta e del comitato di presidenza della Confederazione generale dell'industria italiana.
Fonti e Bibl.: Principale fonte per ricostruire l'attività del F. sono i documenti ufficiali della Montecatini, le relazioni alle assemblee degli azionisti, i verbali del consiglio d'amministrazione, i verbali del comitato direttivo della società, consultabili presso la sede della Montedison in Foro Bonaparte a Milano, ed estesamente utilizzati in Montecatini 1888-1966. Capitoli di storia di una grande impresa, a cura di F. Amatori-B. Bezza, Bologna 1990. Sulle vicende della Montecatini negli anni in cui il F. ricopriva la massima carica aziendale e sugli avvenimenti che condussero alla fusione con la Edison, si v. E. Scalfari-G. Turani, Razza padrona, Milano 1974, pp. 79-96, 116-126, 135-137, e G. F. Lepore Dubois-C. Sonzogno, L'impero della chimica, Roma 1990, pp. 44-46, 56-60. Importanti accenni alla Montecatini, ed in particolare ai suoi rapporti con Mediobanca, in N. Colajanni, Ilcapitalismo senza capitale, Milano 1991, pp. 25, 89-92, 168-171. Si considerino anche lo scritto del F. citato nel testo, La Montecatini e la ripresa dell'industria chimica nazionale, in L'Industria, n. s., I (1946), 4, pp. 377-385, e la sua deposizione in Camera dei deputati, Atti della Commissione parlamentare di inchiesta sui limitiposti alla concorrenza nel campo economico, Roma 1965, II, pp. 331-354. Per inserire la storia della Montecatini nel quadro più ampio dell'evoluzione dell'industria italiana si vedano R. Romeo, Breve storia della grande industria, Milano 1988, e V. Castronovo, L'industria italiana dall'Ottocento ad oggi, Milano 1990.
Notizie sul F. si ricavano inoltre dalla cartella a lui intitolata nell'Archivio della Fondazione Cavalieri del lavoro (Roma) e da vari dizionari biografici, tra i quali Il Chi è nella finanza italiana, Milano 1957, p. 273, e ibid. 1966, pp. 276-277, IlChi è nella vita economica, Milano 1972, p. 250. Si vedano anche gli annunci funebri e un breve necrologio apparsi sul Corriere della sera il 7 febbr. 1980.