CONTARINI, Carlo
Unico figlio maschio di Andrea - che morì dieci giorni dopo la sua nascita - e d'Elisabetta di Vito Morosini, nacque a Venezia il luglio 1580.
Ricco, di prestigiosa nobiltà - la sua famiglia era del ramo contariniano dimorante nel palazzo di S. Felice sul Canal Grande - fa parte, nel giugno del 1598, del seguito dei quattro ambasciatori straordinari a Clemente VIII insediantesi a Ferrara; tra la fine di giugno e la prima metà di luglio del 1599 accompagna Angelo Badoer, inviato speciale a Milano per omaggiare l'arciduca Alberto e l'infantadiretti in Fiandra; nell'aprile-maggio del 1600 è, come "privato cavaliere", presso lo stesso che rappresenta la Repubblica nelle nozze, del 23 aprile, a Graz, dell'arciduca Ferdinando con Maria Anna di Baviera.
Scoppiata, dice l'anonimo biografò, "altercatione di precedenza" tra Badoer e l'elettore palatino, peraltro non "fregiato di regale corona" come il primo, espressione, invece, di Stato sovrano, si deve all'"affinata prudenza" dei C. adolescente la brillante soluzione del fastidioso inconveniente: con"consiglio" degno di "Mercurio" suggerisce all'inviperito elettore d'uscire dalla linea "per la quale ... caminavano gli ambasciatori". Così manteneva integro, pel futuro, il "vigore" delle sue "pretendenze" e il rappresentante veneto conservava il suo "posto".
Il 20 febbr. 1601 il C. si sposa con Paolina di Lorenzo Loredan, che gli porta una dote di 26.000 ducati e dalla quale avrà quattro figli (due di nome Lorenzo, Giovan Battista, Andrea) e quattro figlie (Cecilia, Lorenza, Comelia ed Elisabetta; quest'ultima, che, già vedova di Pietro Contarini, sposa in seconde nozze Girolamo Renier, è l'unica a sopravvivere al padre). Eletto, il 9 apr. 1606, rettore a Feltre (non va, ad ogni modo, confuso coi quasi coevo Carlo Contarini di Battista la cui esistenza pare relegata in reggimenti minori: quanto meno tra il 1625 e il 1638 è, via via, podestà a Montagnana, camerlengo a Padova, podestà a Serravalle, Motta, Oderzo. Da evitare altresì anche la confusione col Carlo Contarini di Domenico, avogadore di Comun nel 1647, "avogador sopra li formenti" nel 1648, nonché, nel 1648-49, "provveditor ed inquisitor in Polesine"), vi risiede dal 22 ottobre sino al 20 apr. 1608, ingegnandosi, a suo avviso con successo, d'appianare le divergenze originate da "alcune pretensioni" dei "populari" privi d'adeguata rappresentanza nel Consiglio cittadino composto, con criterio rigidamente classista, di solo settanta individui. S'adopera - malgrado il territorio sia "sterilissimo di grano" e di contro alla riluttanza dei rettori di Padova e Treviso a concedere "estrattion" di granaglie - d'approvvigionare la cittadina il cui "popolo minuto" trae sostentamento soprattutto dall'"arte della lana", dalla lavorazione del "rame", e dalla "ferrarezza", ché vi si fabbricano "spade et altre arme di finissima tempera". Pur definendo più volte "poverissimi" i contadini del territorio circostante - e perciò insiste perché siano sollecitamente pagati i mille sacchi d'avena forniti alla cavalleria -, il C., che ha visitato accuratamente tutta la zona, li ritiene, tutto sommato, più fortunati dei "cittadini"; godono d'"aria più soave", di "siti più ameni", d'un "clima più temperato". I "pascoli" montani ed i "boschi" li consolano della mancanza di frumento; e, a mo' di surrogato, possono ricorrere alle "avene", ai "formentoni neri". Nessuna apprezzabile eco, secondo il C., della contesa dell'interdetto: la vita religiosa ha continuato a fluire tranquilla nella frequenza solita ai "divini officii". Nessun religioso, nemmeno nei monasteri, ha azzardato "l'osservanza dell'interdetto". Tutto si è svolto, "come se mai fosse nata alcuna alteratione". In realtà il C. ignora una serie di disagi covati nell'intimo e che emergono, il 6 maggio 1607, quando il vescovo a ciò delegato dal cardinal Joyeuse -, tramite il nipote, assolve quanti hanno "essercitato li sacramenti in tempo dell'interdetto". E al C. che protesta per la "novità", replica, con finta ingenuità, che, "se avanti" della lettera del mediatore francese "gli fosse pervenuto l'ordine" dei Pregadi, "non haverebbe permesso alcuna novità di contrario effetto".
Delle "Ragion Nove", dei Dieci savi, senatore, il C. viene nominato, il 15 giugno 1622, podestà a Verona, ove risiede per sedici mesi a partire dal 20 novembre. Energico contro il banditismo causa di troppi "svaleggi", batte il capobanda Mariotto dal Monte, "hora in Mantoa assicurato", ricorda nella relazione del 6 apr. 1624. Non dà tregua al contrabbando, incentivato soprattutto dagli allettanti prezzi offerti alle granaglie nel "paese confinante". Con i meticolosi Proclami... in materia di biave emanati appena insediato introduce - indifferente al parere del Consiglio cittadino e sordo alle proteste dei produttori di cereali, specie dei grandi proprietari - una normativa rigida valorizzante la funzione assistenziale del mercato vecchio ove le persone non "comode" (17.000 poveri, a suo dire) possono acquistare il frumento, ivi obbligatoriamente convogliato, tre volte la settimana al prezzo, bloccato, di 32 lire per staio, indubbiamente poco remunerativo per i venditori. Confinata la libera transazione commerciale, nel solo mercato della Bra o nuovo, accessibile peraltro ai soli cittadini cui è possibile acquistare, altresì, solo ridotti quantitativi, limitati al consumo familiare. Inasprite le disposizioni vincolanti la circolazione di "biave ... . farina, legumi, ... risi": il divieto d'esportazione in "terre aliene" vale, oltre che per la "molta", pure per la "poca quantità". Non solo: ma, senza "espressa licenza" podestarile, è persino proibito il trasporto "da luogo a luogo" nello stesso Veronese. Un eccesso di regolamentazione questo, che induce alla diffusa pratica della falsificazione dei mandati ovel'autorità fissava l'entità dei prodotti trasportabili. Di nuovo a Venezia, partecipa - in Consiglio dei dieci e in Senato - alla vita politica con una determinazione ed una ambizione che stonano coi tratti bonari e accomodanti attribuitigli dalla tradizione: quanto alla "consigliaria", scrive, il 6 ott. 1629, Domenico Contarini (il futuro doge) al fratello Angelo, è "cascato il signor Carlo... sì che con tutte le sue rabbie e colla sua sopraffina ambittione resterà mortifficato". Eletto censore il 17 febbr. 1630, tra il settembre del 1630 e l'inizio di marzo del 1631 è provveditore "in Treviso et Trevisana, Bassan et Bassanese" col compito di lottare contro il "velenoso torrente" dell'epidemia. Con rigorosi Ordini stabilisce la "contumacia", la "fede di habitanza", la "cacciata, dei mendicanti forestieri", l'obbligo di "non ... partir" per ogni medico e "ceroico", la controllata circolazione delle "robbe", la drastica riduzione della navigazione di "burchieli" e "barche", l'asportazione di "qual si sia immonditia". Sorveglia con scrupolo i lazzaretti, visita tutte "le castella", garantisce nel contempo - a costo di vistose deroghe dalla contumacia - il proseguimento del rifornimento annonario alla Dominante; e stronca con decisione, facendo bruciare le "robe sopravanzate" e segregando i "prigionieri", il focolaio infettivo costituito dalle "priggioni di questo reggimento".
Provveditore in Istria dal 10 ag. 1632 all'inizio di novembre 1631, gli competono la sovrintendenza sulle cernide, il "raddriccio" della "militia" la cui disciplina s'è deteriorata nel corso dell'epidemia, la repressione del contrabbando, il controllo della sanità. Di gran lunga più importante - mentre cresce la preoccupazione per la concorrenza delle saline triestine che richiama manodopera qualificata istriana (un'eniorragia di personale cui il C., pur di frenarla, vorrebbe ovviare col "chiamar li banditi") - l'"affare" dei "sali": donde l'accurato inventario delle giacenze, la "vendita" bilanciata coll'"incanevo" nei magazzini che risultano, purtroppo, inadeguati. Più volte, quindi, del Consiglio dei dieci e di questo capo e, inoltre, savio dei Consiglio, inquisitore di Stato, il C., tra la fine di settembre del 1637 e l'inizio di novembre del 1638 (lascia l'incarico prima della scadenza per le pessime condizioni di salute) è capitano a Brescia. Lo impegna il recupero dei "grossi debiti" della città e del territorio elusi col pretesto della "imperfettione dell'estimo"; l'assorbe la collocazione della riscossione dei dazi, specie di quello della seta; si preoccupa non vada disperso il patrimonio professionale - un prezioso accumulo d'esperienza fatta di tirocinio dell'occhio e delle mani - proprio dei maestri depositari dell'arte della fusione.
Successivamente senatore, inquisitore di Stato, avogadore di Comun, esecutore contro la Bestemmia, provveditore in Zecca, il C. non trascura l'amministrazione dei propri beni: del 12 luglio 1640 l'affitto di "molini" a Battaglia con annessi "casa, magazzino e bottega da fabbro con... porto d'acqua" per 480 staia A; frumento elevati a 500 nella proroga del 17 febbr. 1644; del 5 sett. 1642 l'affitto, ancora a Battaglia, d'una "pilla da risi et edifizi" per 140 ducati annui, rinnovato, per la stessa cifra, il 20 ott. 1646; del 17 febbr. 1643 l'affitto, sempre a Battaglia, di "edifizi da carta con case" e "fabriche del folo da carta" per 924 ducati annui che ascendono a 1.225 nel rinnovo del 19 genn. 1653.
Morto, il 27 febbr. 1655, il doge Francesco Molin e falliti i candidati espliciti alla successione, dopo ben due ammonizioni ai quarantuno elettori perché, finalmente, decidano, la scelta cade, il 27 marzo, sul C., non solo estraneo alla mischia, ma addirittura - per meglio evidenziarlo - allora fuori Venezia, nella sua villa nel Padovano. Un'elezione la sua funestata dalla tragedia recentissima d'oltre cinquanta morti calpestati e soffocati nella basilica di S. Marco (il 25 la folla strabocchevole stipata nella chiesa era stata colta dal panico all'uscita, resa ardua anche perché erano sbarrate le porte d'accesso al palazzo ducale a causa del conclave in corso; a detta del nunzio lo "scompiglio" fu anche suscitato da "ladri e borsaroli" mescolati tra i fedeli e "circa go persone", aggiunge esagerando il numero, "restarono soffogate e morte") e contestata da polemici "Viva il Foscolo" (Leonardo Foscolo, coraggioso combattente contro i Turchi, era il più popolare tra gli aspiranti al dogado), urlati proprio quando il C. distribuiva, generoso, monete alla folla in piazza S. Marco. Memorabili, del suo breve dogado, le pazienti udienze concesse a vedove e poveri ("custode e pare dela povertà" lo dice Boschini) e, più ancora, le "oblationi e dispendii rilevanti" - tutt'altro che graditi agli eredi che ne dovranno estinguere i debiti - affrontati dal C. per vestire sfarzosamente, per addobbare sontuosamente il proprio appartamento, riempito con profusione eccessiva d'arazzi e argenteria. Altro connotato del C., rilevato con favore dal nunzio, la spiccata "inclinatione molto partiale verso gl'interessi della Chiesa", sostenuti "con grande vigore" ogniqualvolta "gl'è stato permesso" dagli spazi ristretti concessi alla sua carica.
Colpito, informa il nunzio il 29 apr. 1656, da "infermità che ha la specie d'apoplessia", il C. morì il 1° maggio venendo sepolto nella chiesa dei minori riformati di S. Bonaventura. Una "perdita" che arreca un "danno notabile" alla S. Sede, commenta addolorato il nunzio.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Avogaria di Comun, 55, c. 66v; 90, c. 82v; Ibid., Senato, Terra, regg. 76, c. 134; 77, c. 10; 92, passim da c. 238v; 93, passim; Ibid., Senato, Rettori, regg. 3, passim da c. 150r; 4, passim allecc. 35v-99v; 8, cc. 114r-115v, 134v, 155r; 9, cc. 11v-12r, 139v-140r; Ibid., Senato. Lett. rettori Foltre, filza 1, lett. dal 29 ott. 1606 al 20 apr. 1608; Ibid., Senato, Lett. rettori Verona e Veronese, filze 19 (dalla lett. del 24 nov. 1622), 20, passim;Ibid., Senato, Lett. rettori Bressa e Bressan, filze 39 (dalla lett. del 30 sett. 1637), 40 (sino alla lett. del 17 nov. 1639), passim;Ibid., Senato. Lett. provv. da Terra e da Mar, filza 351, dalla lett. del 26 ag. 1632; Ibid., Consiglio dei dieci. Lett. dei rettori ai capi, buste 30/52-58, 60, 61, 64; 88/142, 143; 139/26; 159/111-116; 257/186, 186 bis, 187; Ibid., Notar., Testam., 833/41; Venezia, Bibl. dei CivicoMuseo Correr. Cod. 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