CANEFORA (Κανηϕόρος, Canephŏra e Canephŏros)
Nome dato alle fanciulle, che, in parecchie cerimonie religiose elleniche, portavano in canestri (κανᾶ) offerte e strumenti del rito. Nelle famose festività ateniesi in onore di Atena, dette le Panatenee (v.), questa funzione era riserbata a nobili fanciulle della città: esse sono raffigurate nel fregio fidiaco del Partenone, e furono da Policleto e Scopa tolte a soggetto di statue delle quali troviamo soltanto notizia in Cicerone (In Verr., IV, 3) e in Plinio (Nat. Hist., 36, 5). Altre figurazioni di "portatrici di ceste" ci appaiono con frequenza in pitture di vasi, che rappresentano scene di culto intorno ai sepolcri. Come dalle figurazioni rappresentanti Atlante (v.) derivano plasticamente e traggono nome le statue virili in funzione di sostegno architettonico, del pari da tali rappresentazioni di canefore, e chiamate con tale nome, discendono le statue femminili che hanno eguale funzione. Invero, questo motivo della donna portatrice di canestro sul capo, offriva particolare opportunità per essere adoperato in sostituzione della colonna, perché il cesto si prestava ad assumere, con naturalezza ed eleganza, la funzione di capitello.
Fra i monumenti ellenici in cui si trova impiegato tale originale sostegno, vanno ricordati il tempietto costruito nel santuario di Delfi a contenere le offerte (ϑησαυροί) della città di Cnido o, più probabilmente, di Sifno, opera dello scorcio del sec. VI a. C., e la tribuna dell'Eretteo sull'Acropoli; numerosi altri esempî ci sono pervenuti da varî luoghi.
Gli antichi, come risulta dai documenti epigrafici, chiamavano queste figure femminili in funzione di elemento architettonico semplicemente κόραι, cioè "fanciulle", o anche cariatidi (καρυάτιδες: v.).
Bibl.: G. Perrot e Ch. Chipiez, Hist. de l'art dans l'antiquité, VIII, Parigi 1890, p. 385 segg.; P. Ducati, L'arte classica, 2ª ed., Torino 1927, pp. 189 segg., 344 segg.; Clarac, Musée de Sculpture, tav. 441 segg.; S. Reinach, Répertoire de la statuaire grecque et romaine, I, Parigi 1897, p. 217 segg.; B. Pace, Monumenti ant. dei Lincei, XXVIII.