TARQUINI, Camillo
– Nacque a Marta, sul lago di Bolsena, il 27 settembre 1810, da Giuseppe, appartenente a una famiglia di notai e cancellieri originaria di Bomarzo, e da Marianna Durani, di Proceno, la quale morì durante la sua giovinezza.
Era il terzo di sette figli, dei quali nel 1837 erano in vita, oltre a lui, due fratelli maschi, Angelo e Francesco, e due sorelle. Ricevuta la prima educazione in casa, dal 1819 compì gli studi superiori nel collegio del seminario di Montefiascone, presso il quale, una volta manifestatasi la vocazione al sacerdozio, seguì anche per un biennio i corsi di teologia dogmatica e morale. Si trasferì poi a Roma, dove studiò per quattro anni diritto canonico e civile presso l’Archiginnasio della Sapienza, conseguendo la laurea in utroque iure (la sua tesi fu pubblicata anonima nel 1835 con il titolo Institutionum iuris canonici tabulae synopticae iuxta ordinem habitum a Ioanne Devoti; cfr. Sommervogel, 1896, col. 1881). Nel 1831 frequentò come tirocinante lo Studio della congregazione del Concilio, al seguito dell’avvocato concistoriale Teodoro Fusconi. Già canonico della collegiata di Marta, il 21 settembre 1833 fu ordinato sacerdote a Montefiascone, con dispensa di età.
Nonostante il progetto paterno di avviarlo alla carriera prelatizia, Tarquini decise di entrare nella Compagnia di Gesù: iniziò il noviziato il 27 agosto 1837 sotto la direzione del padre Vincenzo Maurizi, presso la casa romana di S. Andrea a Montecavallo, e pronunciò i primi voti il 27 agosto 1839. Per circa un decennio i superiori gli affidarono l’insegnamento delle discipline umanistiche e della retorica in vari collegi italiani: a Fano, ancora novizio (1838-39), Modena (1839-40), Tivoli (1840-42), Piacenza (1842-44 e ancora 1845-46), Verona (1844-45) e Fermo (1846-48). Sul finire del 1847 il provinciale Pasquale Cambi, volendo destinarlo all’insegnamento della filosofia e della teologia, gli concesse un anno sabbatico per potersi dedicare sistematicamente allo studio di quelle discipline; gli sconvolgimenti del 1848-49 lo colsero in questo frangente ed egli riparò presso la casa paterna, dove risiedette finché la situazione non si fu calmata.
Emessa la professione solenne il 15 agosto 1851, Tarquini fu richiamato a Roma, dove gli fu affidata la cattedra di istituzioni di diritto canonico al Collegio romano, che egli conservò, con qualche interruzione, per più di vent’anni (1851-54, 1855-68, 1870-73). Pur non brillando per originalità (cfr. von Schulte, 1880, p. 542), il suo magistero influenzò notevolmente gli studi del tempo e rimase a fondamento della «scuola canonistica della Gregoriana» fino ai primi del Novecento, segnalandosi per la sistematicità e la solidità del metodo (Fantappiè, 2008, p. 158). Si occupò soprattutto di diritto pubblico ecclesiastico, rivendicandone la specificità e l’autonomia, in seno alla disciplina canonistica, rispetto allo ius ecclesiasticum privatum (il diritto canonico vero e proprio), ed espose il suo pensiero in materia nelle Iuris ecclesiastici publici institutiones (Romae 1862), riedite ripetutamente fino al 1911, tradotte in francese (1868) e in spagnolo (1881); di lui si conserva, manoscritto, anche il primo volume di un manuale più completo, le Iuris canonici institutiones ampliori methodo traditae (cfr. Archivio storico della Pontificia Università Gregoriana, APUG 1426).
Rigido difensore dei principi e dei diritti della Chiesa e poco sensibile alla dimensione storica dei problemi affrontati, Tarquini incentra la sua riflessione sulla nozione giusnaturalistica di societas perfecta: applicandola alla Chiesa, egli intende provare, da un lato, che essa possiede piena potestà legislativa, giuridica e coercitiva, dall’altro, che essa è superiore al potere civile, cioè allo Stato, anche nelle questioni temporali, avendo finalità superiori alle sue (la salvezza della anime). Ne deriva la necessità della religione di Stato e dell’intolleranza religiosa, nonché il rifiuto di ogni ingerenza statale nelle questioni ecclesiastiche, il che porta Tarquini a condannare la pratica dell’exequatur (cfr. la sua dissertazione Del regio placet, letta all’Accademia di religione cattolica il 2 settembre 1852), ma anche a ritenere i concordati delle mere concessioni della Chiesa, revocabili a suo piacimento. Su questo punto egli ebbe una disputa, nel 1872, al fianco del giurista francese Maurice de Bonald, con Filippo De Angelis, professore di testo canonico alla Sapienza e al seminario dell’Apollinare, il quale sosteneva invece che i concordati, benché lesivi della piena potestà ecclesiastica, acquisissero a tutti gli effetti, una volta stipulati, forza e carattere di contratto bilaterale.
Dal 1853 al 1856, per un semestre all’anno, Tarquini fu incaricato di tenere le lezioni di Sacra Scrittura nella chiesa del Gesù, il che gli diede occasione di studiare l’ebraico e il siriaco, approfondendo un interesse per le lingue antiche che nutriva ormai da anni. Già nel 1847 aveva infatti dato alle stampe un Breve commento di antiche iscrizioni relative alla città di Fermo, e negli anni seguenti si rivolse in particolare allo studio della lingua etrusca, di cui compilò una grammatica e un dizionario, rimasti manoscritti. Tra il 1857 e il 1858 egli pubblicò anche vari articoli e note archeologico-paleografiche su La Civiltà cattolica (s. 3, VI, pp. 551-573; VIII, pp. 727-742; IX, pp. 348-358, 741 s.; X, pp. 346-357, 731-735; XI, pp. 735-737) e sulla Revue archéologique (XV, pp. 193-199, 349-357), parti di un più organico lavoro che non vide mai la luce, nei quali cercava di provare le origini semitiche (fenicie) dell’etrusco, interpretandolo alla luce delle regole etimologiche e sintattiche dell’ebraico.
La tesi di Tarquini, non particolarmente originale e sostanzialmente errata (non è vero, però, che essa non fu «mai presa sul serio da nessuno specialista», come asserisce Martina, 1990, p. 492), fu confutata nel 1860 dal linguista Graziadio I. Ascoli (cfr. Archivio storico italiano, n.s., IX, 1, pp. 3-34), a cui il gesuita rispose su La Civiltà cattolica (s. 4, VII, pp. 88-95).
In riconoscimento dei suoi studi, Tarquini fu nominato socio soprannumerario (1859), poi ordinario (1862) della Pontificia Accademia romana di archeologia, nonché presidente della sezione storico-archeologica dell’Accademia de’ Quiriti. Egli era già membro, dal 20 febbraio 1852, dell’Accademia romana di religione cattolica.
Parallelamente all’attività di studio e di insegnamento, Tarquini collaborò intensamente con vari organi curiali. Fu infatti nominato consultore del S. Uffizio (luglio 1856), degli Affari ecclesiastici straordinari (novembre 1861), di Propaganda Fide (1864) e teologo della Penitenzieria apostolica (1871). «Molto stimato dal papa» (Martina, 1986, p. 528) e stretto collaboratore del segretario di Stato Giacomo Antonelli, egli fu consultato in tutte le principali controversie giurisdizionalistiche del tempo, in particolare in quelle con la Russia, trasportando nei suoi pareri e nelle sue note la stessa rigidità di principio che mostrava nei corsi universitari. Partecipò inoltre ai lavori preparatori in vista del Concilio Vaticano I: assegnato inizialmente alla commissione teologico-dogmatica nel giugno del 1866, fu spostato nel luglio del 1867 a quella della disciplina ecclesiastica. Egli partecipò all’incirca ai tre quarti delle sessantatré sedute che essa tenne tra il settembre del 1867 e il febbraio del 1870, ed esaminò in particolare le questioni dei benefici curati, delle scuole miste, dei matrimoni fra acattolici (partecipando anche alla stesura del relativo schema) e dei matrimoni misti (cfr. Mansi, 1923, coll. 753, 756, 797, 809, 873, 932). Per via di questa intensa attività, dal 1868 al 1870 egli sospese le lezioni al Collegio romano, ma assunse comunque le funzioni di consultore della Provincia romana dei gesuiti (1868-73).
Nell’ottobre del 1873, in seguito all’esproprio del Collegio romano da parte dello Stato italiano, Tarquini fu costretto a interrompere l’insegnamento. Nell’estate-autunno del 1873 fu coinvolto nella preparazione dell’enciclica Etsi multa luctuosa (21 novembre 1873), nella quale Pio IX deplorava le trame della massoneria e gli attacchi contro la libertà e i diritti della Chiesa in Germania e Svizzera (una minuta della bozza da lui preparata in tale occasione in Archivio storico della Pontificia Università Gregoriana, APUG 109.II, cc. 128r-137r). A ricompensa dei suoi servigi e come atto di particolare benevolenza verso la Compagnia, il 22 dicembre 1873, nonostante le sue ritrosie, Pio IX lo nominò cardinale, primo gesuita a ricevere la porpora da più di un secolo. Nel concistoro segreto del 16 gennaio 1874 fu insignito del titolo di cardinale-diacono di S. Nicola in Carcere e fu ascritto alla congregazione dell’Indice, ma non fece in tempo a ricevere la berretta cardinalizia, poiché morì il 15 febbraio, di malattia polmonare. Dopo le esequie, tenutesi il 18 febbraio nella basilica di S. Lorenzo in Lucina, fu sepolto nella cappella dei gesuiti del cimitero del Verano.
Fonti e Bibl.: Città del Vaticano, Archivio segreto Vaticano, Segreteria di Stato. Spogli di cardinali e officiali di Curia, Spoglio Tarquini; Roma, Archivio storico della Pontificia Università Gregoriana, APUG 66-67 (lezioni di sacra scrittura, 1855-1856), 109, 1374, 1426; Archivio storico della Provincia euro-mediterranea della Compagnia di Gesù, Fondo Provincia romana, ff. personali, 2758; Noviziato Sant’Andrea, 589.12, pp. 581-583; Scritti personali, 709 (lezioni di sacra scrittura, 1853-1854). Un corposo fondo di documenti, per lo più di natura personale, è conservato nell’archivio della famiglia Tarquini-Raveggi, a Marta, ancora sprovvisto di inventario e in via di riordino.
E. Cecconi, Storia del Concilio ecumenico vaticano scritta sui documenti originali, parte I, I, Roma 1873, p. 82; G. Fantoni, Morte e biografia del card. T., in La Civiltà cattolica, s. 9, I (1874), pp. 729-734; J.F. von Schulte, Die Geschichte der Quellen und Literatur des canonischen Rechts von Gratian bis auf die Gegenwart, III, Stuttgart 1880, p. 542; P. Ott, Cardinal C.T. S.J. über das Paulinische Privileg (1. Cor. 7, 15), in Archiv für katholisches Kirchenrecht, L (1883), pp. 224-237; A. Angelini, C. T. e Societate Jesu, cardinalis titulo Nicolao Sancto ad carcerem tullianum elogium, Sanseverino Marche 1890; C. Sommervogel, Bibliothèque de la Compagnie de Jésus, nouvelle édition, VII, Bruxelles-Paris, 1896, coll. 1878-1881; G.D. Mansi, Sacrorum Conciliorum nova et amplissima collectio..., a cura di L. Petit - J.-B. Martin, XLIX, Arnhem-Leipzig 1923, passim; L’Università gregoriana del Collegio romano nel primo secolo dalla restituzione, Roma 1924, pp. 186 s.; Ch. Weber, Eine kirchenpolitische Gedenkschrift von F.X. Kraus (1874) und der Streit um die Rechtsnatur der Konkordate, in Römische Quartalschrift für christliche Altertumskunde und Kirchengeschichte, LXVII (1972), pp. 83-116 (in partic. pp. 89-95); J. Listl, Kirche und Staat in der neueren katholischen Kirchenrechtswissenschaft, Berlin 1978, pp. 29-31; Ch. Weber, Kardinäle und Prälaten in den letzten Jahrzehnten des Kirchenstaates, Stuttgart 1978, pp. 259, 524; G. Martina, Pio IX (1851-1866), Roma 1986, p. 528, n. 64, e ad ind.; Id., Pio IX (1867-1878), Roma 1990, pp. 492 s. e ad ind.; P.G. Micchiardi, Le relazioni tra Chiesa e società civile nel pensiero e nell’opera del cardinale C. T., S.J. (1810-1874), Torino 1990; A. Santos Hernández, Jesuitas y obispados, I, Madrid 1998, pp. 355-358; Diccionario histórico de la Compañía de Jesús. Biográfico-temático, a cura di Ch.E. O’Neill - J.M. Domínguez, IV, Roma-Madrid 2001, p. 3705; Prosopographie von Römische Inquisition und Indexkongregation, 1814-1917, a cura di H. Wolf, II, Paderborn 2005, pp. 1443-1446; J. LeBlanc, Dictionnaire biographique des cardinaux du XIXe siècle [...] 1800-1903, Montréal 2007, pp. 917 s.; C. Fantappiè, Chiesa romana e modernità giuridica, I, Milano 2008, pp. 158-165, 218-224 e passim; G. Cerri, T. C., in Dizionario storico biografico del Lazio, III, Roma 2009, p. 1859, on-line con integrazioni di L. Osbat: http://www.gentedituscia. it/tarquini-camillo/ (1° marzo 2019); R. Luzi, Santi, scienziati, storici, cardinali. Personaggi illustri attorno al lago di Bolsena, Acquapendente 2013, pp. 43-48, 62 s.