MAGGI, Camillo
Nacque a Brescia tra il 1518 e il 1519, primogenito del giudice Alessandro - esponente di un ramo secondario della nobile famiglia Maggi, originario di Castrezzato - e di "domina Nivea", la quale, dopo la morte del marito, avvenuta il 27 giugno 1528, provvide all'amministrazione delle proprietà familiari e all'istruzione dei figli.
La scarna biografia del M. - come dei due fratelli Annibale, avviato al sacerdozio, e Giulio, nonché della sorella Caterina - si ricava da alcune polizze notarili. Queste attestano che nel 1548 egli esercitava la professione di notaio e nel 1563 aveva sposato Caterina Savallo, di famiglia patrizia, dalla quale non ebbe figli. Nel 1568 sia il M. sia il fratello Giulio erano diventati "nodari de collegio", abitavano ancora nella casa paterna e avevano impinguato il patrimonio familiare con una casa, in cattive condizioni, a Brescia, e con alcuni terreni a Castrezzato. Tuttavia, le spese annue di 10 ducati per la manutenzione delle proprietà e di 5 per l'istruzione dei figli del fratello, aggiunte a quelle per i salariati, al buon numero di crediti, di debiti e cause in corso, attestano l'agiatezza del loro tenore di vita. Solo quando il M. raggiunse un'età ormai avanzata i fratelli e la sorella si stabilirono altrove.
Al 1590, quando Giulio era già deceduto, risale l'ultima polizza compilata dal M., con ogni probabilità morto a Brescia poco dopo tale anno.
Il confronto, operato da E. Provenzano, tra la grafia di queste polizze notarili e quella del manoscritto autografo di 386 fogli intitolato Chronica de rebus Brixie, custodito nella Biblioteca civica Queriniana di Brescia (C.I.14) ha permesso di attribuire con certezza al M. l'identità del "Camillo de Maggi", autore dell'opera scritta negli ultimi anni di vita.
La Chronica del M. è mutila, ma la Biblioteca Queriniana possiede tre successive trascrizioni del manoscritto, che permettono di recuperare le parti mancanti della trattazione. Questa - secondo una prassi diffusa - spazia dal diluvio universale, dopo il quale sarebbero avvenuti i primi stanziamenti umani nell'Italia settentrionale, all'anno 1453. Alla storia di Brescia e del suo territorio si accompagnano parecchie digressioni su avvenimenti di rilievo nazionale. Il M. dimostra, con citazioni di Polibio, Livio, Paolo Diacono, Biondo Flavio, Marcantonio Coccio Sabellico e Bernardino Corio, di possedere cultura e senso di precisione, che gli consentono di essere perfino più minuzioso di Iacopo Malvezzi e di Elia Capriolo, storici bresciani contemporanei.
Relativamente alla storia di Brescia, la narrazione parte dalle leggendarie origini della città e prosegue con la storia romana, la predicazione di s. Barnaba, l'arrivo dei Goti e dei Longobardi, la vittoria su questi ultimi dei Franchi, le vicende dei primi re d'Italia, degli imperatori germanici, la nascita dei Comuni, le crociate, l'affermazione della Municipalità presto travolta dalla lotta intestina tra guelfi e ghibellini, dagli scontri tra Ezzelino da Romano e Oberto Pallavicini, Berardo Maggi e Tebaldo Brusato, fino alle signorie degli Scaligeri, dei Malatesta e dei Visconti con il finale predominio veneziano.
Come in molti cronisti del tempo, ciò che manca al m. è una attenta critica delle opere e delle fonti: solo in qualche caso, infatti, egli mette a confronto le affermazioni degli storici precedenti e ne rileva eventuali errori. Nella maggioranza dei casi, invece, si limita a riportare le opinioni altrui, senza commenti o, quando si trova di fronte a leggende o fatti difficilmente credibili, lascia il giudizio al lettore. Mancano anche citazioni dirette dei documenti usati, pur numerosi stando alla generale precisione del testo, che risulta fondamentalmente come il frutto del lavoro di un appassionato compilatore più che la ricerca di uno storico.
Prudente nei giudizi, raramente egli lascia trasparire il suo pensiero politico: parlando, per esempio, dei papi, spesso accosta, ponendoli, così, in netto contrasto, i loro provvedimenti spirituali con gli atti dettati dalle necessità temporali, lasciando affiorare, tra le righe, una critica al potere temporale della Chiesa, subito rientrata quando tralascia volutamente di raccontare alcuni gravi episodi avvenuti nella sua diocesi. Allo stesso modo, trattando del governo della Serenissima, da una parte loda i magistrati veneti che ressero la città durante l'assedio del 1438 da parte delle truppe viscontee di Niccolò Piccinino, dall'altra critica, facendo suo il giudizio di Bernardino Corio, l'esecuzione del Carmagnola (F. Bussone), che imputa al desiderio di Venezia di impossessarsi degli averi del condottiero.
Nell'0pera emerge un forte sentimento religioso, testimoniato da frequenti richiami alla volontà di Dio e alla fede dei cittadini bresciani; anche se evita di riferire la pia leggenda - non rara in narrazioni del genere - pure relativa all'assedio del 1438, secondo la quale sugli spalti della città sarebbero apparsi a dar manforte ai difensori i santi patroni Faustino e Giovita.
In ogni caso, la Chronica del M. resta, soprattutto per il periodo compreso tra il 1332 e il 1438, l'unica storia di Brescia del XVI secolo che gli studiosi possono confrontare con le più note Historie bresciane di E. Capriolo, pubblicate nel 1585. Secondo V. Peroni il M. avrebbe anche lasciato inediti andati perduti.
Fonti e Bibl.: V. Peroni, Biblioteca bresciana, II, Brescia 1823, p. 197; F. Odorici, Storie bresciane, VII, Brescia 1857, pp. 188-191; A. Bosisio, Il Comune, in Storia di Brescia, diretta da G. Treccani, I, Brescia 1961, p. 614 n. 1; G. Zanetti, Le signorie, ibid., p. 849 n. 4; E. Caccia, Cultura e letteratura nei secoli XV e XVI, ibid., II, ibid. 1963, p. 517; E. Provenzano, Uno storico bresciano del '500: C. de M., in Acme, XVI (1963), pp. 299-315.