GUALENGO (Gualenghi), Camillo
Nacque a Ferrara, forse nei primi anni Trenta del XVI secolo. Il padre, Bonaventura, di famiglia patrizia (ma di antica origine cittadinesca), era scalco ducale e la madre, Beatrice Tassoni Estense, di famiglia patrizia modenese, era da tempo al servizio dei duchi.
Il padre morì prima del 1543, anno in cui la madre, tutrice del G. ancora minore d'età, dovette difendere di fronte al Consiglio di giustizia principesco i beni infeudati dalla Camera ducale alla famiglia: nel Ferrarese i Gualengo avevano terre a Tresigallo e a Finale Emilia, verso Modena.
Nel 1558 il G. entrò al servizio del figlio del duca, Luigi d'Este, con 24 ducati di salario mensile, denaro e beni di consumo sufficienti a mantenere tre domestici; dapprima non gli fu attribuita alcuna qualifica ma dal 1561 fu salariato come gentiluomo di corte. Rimase al servizio di Luigi, creato cardinale nel 1561, fino al 1566. In questi anni aveva già compiuto diverse ambascerie al servizio ducale: la prima fu una missione speciale nelle Fiandre fra l'aprile e l'agosto del 1559, in sostituzione di E. Tassoni Estense, caduto ammalato.
Insieme con l'oratore residente, G. Montecuccoli, il G. aveva l'incarico di felicitarsi con il re di Spagna Filippo II per la pace recentemente conclusasi tra Spagna e Francia a Cateau-Cambrésis e di preparare l'arrivo alla corte spagnola dello stesso duca Ercole II, ansioso di legarsi alla Spagna dopo il tiepido sostegno ricevuto dalla Francia nei tre precedenti anni di guerra. Avrebbe dovuto inoltre spiegare al re le ragioni del suo signore per non aver incluso come confederati gli Este di San Martino in Rio e i da Correggio nella pace con Ottavio Farnese e il re stesso, mediata dal duca di Firenze Cosimo de' Medici. A fine luglio si recò anche a Parigi per sondare le effettive intenzioni dell'erede al Ducato, Alfonso d'Este, di ritornare a Ferrara, permettendo in tal modo al padre di recarsi alla corte spagnola, cosa che non poté avere luogo perché il duca morì il 3 ott. 1559 e il G. si congedò. Come premio delle sue fatiche, ricevette il cavalierato di S. Giacomo di Spagna.
Nel 1561 il G. andò a Bologna e nel febbraio del 1565 fu inviato a Roma, dove rimase fino al dicembre del 1566, quando passò al servizio del duca Alfonso II. Nel 1567 si recò in missione a Milano e nel 1568 in Spagna; da novembre divenne ambasciatore residente e tale rimase fino almeno alla fine del 1570.
Le molteplici ambascerie svolte dal G. - con uffici di complimento a importanti personaggi della politica internazionale o con incarichi più delicati - erano sempre state di rincalzo all'operato degli ambasciatori residenti. Quello di Madrid fu il suo unico incarico di ambasciatore residente. Da quella sede sollecitò ancora la protezione di Filippo II in una causa pendente presso la Camera apostolica relativa agli ingenti debiti della Camera stessa nei confronti del duca e al sale prodotto a Comacchio. Nonostante la minaccia del duca di rivolgersi ai principi tedeschi, il G. ottenne solo che un inviato alla corte pontificia facesse pressione per commettere la causa alla Rota romana.
Nel corso dell'ambasceria il G. si recò a Roma, fra il marzo e l'aprile del 1568, per protestare contro un grave incendio scoppiato a Frignano, nelle terre dei feudatari estensi Montecuccoli, che si sospettava fosse doloso e ordinato da papa Pio V. Il G. fece infine presente a Filippo II le ripetute violazioni pontificie alla giurisdizione ducale, nonché l'ordine ingiustificato, impartito dal papa, di impedire il transito di sali forestieri sul territorio estense, che avrebbe fra l'altro impedito allo Stato di Milano di ricevere le forniture. L'accordo con la Camera apostolica non fu raggiunto, né gli inviati della corte spagnola ricevettero ascolto dal papa. Il 2 ottobre Alfonso II inviò in Spagna come nuovo residente C. Sertorio, ma il G. riuscì a partire solo il 25 dicembre.
Nel 1569 era stato accolto come gentiluomo fra i salariati ducali fissi, con 50 ducati mensili e una "provisione" in beni di consumo per mantenere tre domestici. Il tipo di salario e di provvisione lo qualificavano come un appartenente all'alta corte ducale, posizione che egli mantenne fino al 1597.
Verso la fine del periodo al servizio del cardinale d'Este, il G. aveva conosciuto Torquato Tasso, giunto a Ferrara nell'ottobre del 1565, e strinse con lui amichevoli rapporti. Quando il poeta, nel 1577, cominciò a dare i primi gravi segni di pazzia e fuggì da Ferrara per raggiungere Sorrento, dove risiedeva la sorella Cornelia, e da lì Roma, il G. ricevette dal duca l'incarico di occuparsi di lui insieme con l'ambasciatore residente a Roma, Giulio Masetti. Da marzo era ospite presso l'ambasciatore per sostenere presso il pontefice le ragioni di Lucrezia d'Este, sorella del duca, che intendeva separarsi dal marito, il duca di Urbino Francesco Maria II Della Rovere. L'accordo di separazione fu raggiunto il 31 ag. 1578, quando il G. era già rientrato a Ferrara da quattro mesi, portando con sé il Tasso.
Il poeta gli dedicò i sonetti 635 e 809 delle sue Rime, ma soprattutto lo citò in diversi dei suoi Dialoghi, dal Forno secondo, dedicato al concetto di nobiltà, al Messaggiero, ove lo dipinse come il perfetto ambasciatore, al Rangone, sul tema della pace.
Negli anni Settanta il G. assolse vari incarichi diplomatici di breve durata, recandosi ancora a Milano e a Genova (1571), in Spagna (1572), in Germania, nelle Marche (1572-75) e ancora a Roma (1575-76). Non ebbe invece luogo il viaggio in Spagna, previsto nel 1579, per ottenere aiuti contro Gregorio XIII, con il quale Alfonso II era in conflitto per la questione del sale di Comacchio e per l'inalveamento del Reno nel Po.
Noto per la sua competenza in materia cavalleresca e di vita cortigiana in genere, il G. vestì anche i panni di uno dei personaggi dei Discorsi di Annibale Romei, dati alle stampe a Venezia nel 1585, a Ferrara e a Verona nel 1586. A lui l'autore affida il compito di introdurre il dibattito sull'onore e quello sul duello, entrambi ambientati nella delizia estense della Mesola. Unico fra i personaggi ad avere l'onere di presentare due argomenti, è il portavoce delle opinioni del Romei, nettamente opposte a quelle espresse da Giovan Battista Possevino nel suo Dialogo dell'honore, pubblicato nel 1553.
Negli anni Ottanta risiedette a Ferrara, e nel 1582 fu nominato consigliere ducale. Partecipava quindi alle consulte che trattavano dei più importanti affari di Stato, ma non fu mai tra i quattro consiglieri convocati quotidianamente. Nel 1588-90 ricevette l'ormai onorifica carica di giudice dei Dodici savi, ossia capo del Consiglio cittadino, in sostituzione di A. Tassoni Estense, inviato nel frattempo come governatore a Reggio Emilia. Negli anni Novanta ripresero le sue missioni speciali, prima in Spagna (1591-92, 1594-95), poi a Venezia nel 1596, con lo scopo di ottenere sostegni per Cesare d'Este, figlio di Alfonso marchese di Montecchio, che era primogenito di Alfonso I e della sua concubina Laura Dianti, nella difficile successione al Ducato.
All'inizio degli anni Novanta Alfonso II, rimasto senza eredi diretti nonostante tre matrimoni, si era risolto a scegliere definitivamente Cesare come suo erede. Tuttavia una simile successione violava i patti stipulati nel 1539 tra Ercole II e il papa Paolo III, che prevedevano la devoluzione del Ducato di Ferrara allo Stato pontificio in caso di mancanza di eredi diretti e legittimi.
Pur essendosi ritirato a vivere in convento l'anno precedente, nell'aprile del 1597 il G. effettuò ancora un'ambasceria a Parma. Questa è l'ultima missione ufficiale testimoniata da lettere di suo pugno, poiché della sua presenza a Roma prima della morte di Alfonso II (27 ott. 1597) esistono solo testimonianze indirette.
Dagli abboccamenti con Clemente VIII il G. ricavò solo l'ingiunzione per l'erede designato a rimettere Ferrara nelle mani del pontefice; forse già in questo frangente il G. decise di passare dalla parte del papa. Fu poi direttamente coinvolto nelle vicende della devoluzione, poiché il neoduca Cesare lo scelse per accompagnare a Faenza Lucrezia d'Este al fine di trattare con il cardinale Pietro Aldobrandini la questione di Ferrara. A questo scopo, nei primi giorni di gennaio del 1598 fece addirittura la spola fra Ferrara e Faenza, per poi presenziare, il giorno 12, alla stipula della convenzione faentina, con la quale si decisero le modalità della devoluzione di Ferrara allo Stato pontificio. Il G. rimase a Faenza almeno fino alla morte di Lucrezia, avvenuta il 12 febbr. 1598. È certo che, come lei, il G. fece assai più gli interessi di Clemente VIII che quelli di Cesare, al punto da essere costretto a rifugiarsi a Roma.
Una sua permanenza, come ambasciatore pontificio, a Modena, nuova capitale dello Stato estense, sebbene prevista per la tarda primavera del 1599, non pare aver mai avuto luogo. Clemente VIII ricompensò lautamente gli uffici del G. con una rendita annuale di 1000 scudi, accompagnata da 500 scudi l'anno per il figlio Galeazzo e da vari privilegi fiscali.
Il G. morì a Roma nell'agosto del 1602.
Oggetto dell'odio di quanti erano rimasti fedeli a Cesare, il G. fu accusato, assai probabilmente a torto, di aver tramato contro la sua vita insieme con Lucrezia d'Este e altri nobili ferraresi, come G. Calcagnini, T. Sacrati e S. Gilioli.
Il figlio Galeazzo fu nominato membro del nuovo Consiglio centumvirale ferrarese e fu tra i fondatori dell'Accademia degli Intrepidi; nel 1612 fu anche riformatore dello Studio e si qualificò come uno degli animatori della vita culturale cittadina dopo la devoluzione. Morto nel 1623, Galeazzo fu sepolto, come il G., nella tomba di famiglia, nella sacrestia della chiesa di S. Francesco. Il G. ebbe almeno una figlia e un altro figlio, Bonaventura, che fu primicerio del duomo di Ferrara dal 1582 e risulta già morto nel 1596. Nel 1585 il padre aveva perorato invano presso il duca la sua candidatura, dopo la morte del modenese Benedetto Manzoli, al vescovato di Reggio Emilia, che andò invece a G. Masetti.
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