BUCINTORO
. Tale denomînazione, d' incertissima etimologia, indica generalmente un naviglio di parata, ornato con lusso d'intagli e di sculture dorate, destinato a pubbliche solenni cerimonie o a navigazione di diporto. Si ha notizia che di tal genere di navi ne possedessero fin dal sec. XV i pontefici, i Visconti di Milano, gli Estensi di Ferrara e più tardi nel '600 e nel '700 Luigi XV re di Francia, i viceré di Sicilia e i duchi di Savoia: ma il Bucintoro per antonomasia, il più celebre di tutti per la magnificenza degli addobbi, per l'antichità e per l'importanza delle cerimonie in cui era usato, fu quello della repubblica di Venezia.
Il Bucintoro era riservato, quale propria nave di stato, ad accogliere il doge e la signoria con il loro corteggio in pubbliche feste e in ricevimenti allestiti per la venuta a Venezia di sovrani e di augusti personaggi, ma soprattutto nell'antichissima "Festa della Sensa", il tradizionale "Sposalizio" del mare celebrato ogni anno alla presenza della signoria e del doge, che con grande pompa si recava al porto di S. Nicolò di Lido, dove gettava nelle onde il simbolico anello nuziale. La più antica testimonianza che ricordi nei documenti veneziani questa nave di stato con l'appellativo di Bucintoro risale solo al 1252, alla "promissione" del doge Renier Zeno, nella quale è fatto obbligo all'Arte dei Marangoni di provvedere alla costruzione del Bucentaurum: prescrizione che viene ripetuta in altre promissioni ducali e nel "Capitolare dei Marangoni" del 1271.
Martino da Canale, dando notizia nella sua Cronique des Veniciens (1267) della tradizionale pubblica "Festa delle Marie", usa invece il solo termine generico di maistre nef, ma Pace del Friuli nel descrivere la stessa cerimonia nel suo poema latino composto tra il 1299 e il 1300, chiama la nave Bucentor, nome che poi appare in ogni altra documentazione letteraria e storica.
In un antico cerimoniale della basilica di S. Marco, datato fra il 1250 e il 1289, a indicare il Bucintoro viene invece adoperato un termine dialettale Buzo, che potrebbe confermare l'ipotesi che la parola Bucintoro sia tarda trasformazione di Buceus aureus o Buzo d'oro (Buceus, Buzo "Burchio"). Ma è da notare che contrasta con tale etimologia, un documento veneziano del 27 settembre 1355, in cui il termine di buzentauro (Venezia, Archivio di Stato - Senato Misti) è usato a indicare una comune nave di trasporto.
Si può ritenere che nella sua più antica forma il Bucintoro veneziano fosse trascinato da rimorchi: una simile struttura doveva ancora conservare il Bucintoro all'inizio del sec. XVI, se una forma affine, senza "pallamento" presenta il Bucintoro che Jacopo de' Barbari ebbe a ritrarre nella sua Pianta prospettica dì Venezia del 1500 (fig.1). Non molti anni dopo, nel settembre 1525, secondo la testimonianza offertaci da Marin Sanudo nei suoi Diari, un nuovo Bucintoro, più largo e più lungo del vecchio, si stava costruendo in Arsenale; esso apparve per la prima volta nella festa della Sensa del 1526: era questo il primo Bucintoro mosso da remi, nella forma che poi nei secoli mantenne pressoché inalterata nelle sue linee generali. Un'idea di questo Bucintoro cinquecentesco ci è conservata tra altre produzioni, in modo assai compiuto e preciso, in due incisioni di Giacomo Franco (fig. 2). Divenuto col tempo inservibile, esso venne sostituito con un nuovo Bucintoro che fece la sua prima comparsa nel maggio del 1605 in occasione della tradizionale festa della Sensa: le riproduzioni che di questo Bucintoro secentesco oggi sono note (come, fra le più importanti, il dipinto attribuito ad Antonio Vassilacchi, l'Aliense a Venezia, civico museo Correr, con l'Arrivo a Venezia di Caterina Cornaro) provano come la struttura e l'aspetto generale del Bucintoro fossero rimasti quasi del tutto immutati: solo le ornamentazioni dorate, scolpite sui fianchi, a prora e a poppa e nell'interno del baldacchino, di cui un'ampia descrizione è offerta da Ferdinando Donno, nel poema L'Allegro giorno veneto (1625), si era fatta più ricca e vistosa, intonata al gusto del tempo (fig. 3). Di questo Bucintoro il museo Correr a Venezia conserva lo stendardo rosso a code con il leone andante dorato, che veniva issato sull'unico pennone della nave.
Ridotto in cattivo stato dopo oltre cento anni di vita, il 23 novembre 1722 veniva impostata la costruzione del nuovo Bucintoro in Arsenale, e ne era affidata la direzione all'architetto navale Stefano Conti e l'ideazione e l'esecuzione degl'intagli e dei rilievi ornamentali allo scultore Antonio Corradini. Varato il nuovo Bucintoro il 12 gennaio 1728, solo l'anno dopo, nel maggio 1729, esso partecipò, tutto dorato, alla festa dello Sposalizio del mare, essendo doge Alvise Mocenigo. Meglio che le numerose descrizioni e illustrazioni letterarie, fra cui La nuova reggia su l'acque di Anton Maria Lucchini, molto estesa in ogni sua parte, e meglio che le numerose incisioni e i dipinti settecenteschi del Canaletto e della sua scuola, offre un'idea esatta della ricchezza del grande naviglio in questa sua ultima forma, la riproduzione (Museo storico navale dell'Arsenale di Venezia) fatta eseguire circa il 1824, sotto la sorveglianza dell'ingegnere navale Giovanni Casoni, perché della famosa nave, fatta distruggere nel 1798 dai Francesi per fanatico odio al passato governo, rimanesse un tangibile ricordo (fig. 4).
Abbattute e divelte infatti tutte le sculture decorative, di queste si era fatta un'enorme catasta nell'isola di S. Giorgio Maggiore, ove arsero per più giorni. Lo scaf0, trasformato nel 1805 in una cannoniera, cui fu dato il nome di "Prama Idra", venne dipoi ormeggiato presso il Paludo di San Giorgio e ridotto a ergastolo finché nel 1824 fu distrutto. Un altro piccolo modello ligneo settecentesco del Bucintoro, restaurato nell'800, si conserva a Venezia presso la contessa Bentivoglio d'Aragona-Brogliato, nel suo palazzo di S. Stefano.
Il Bucintoro nella sua ultima forma settecentesca era lungo circa m. 35, largo circa m. 7,50; nella sua struttura generale riproduceva il tipo ormai tradizionale: si presentava cioè diviso in due piani, l'uno in basso per i 42 remi (21 per lato), mossi da 168 rematori (4 per remo), scelti fra gli operai dell'Arsenale, e l'altro superiore, ricoperto in tutta la sua lunghezza da un baldacchino o tiemo, rivestito all'esterno di velluto rosso e sostenuto ai lati da cariatidi scolpite e dorate. Il piano superiore si componeva di due parti: quella maggiore, suddivisa longitudinalmente in due lunghi corridoi, con quattro fila di seggi, costituiva la sala della Signoria; l'altra, di più ristrette proporzioni, con copertura più alta, formava il gabinetto del doge, il cui ricco trono era collocato nel fondo a poppa; intorno erano disposti i seggi per gli ambasciatori e i più cospicui personaggi invitati alla cerimonia. In corrispondenza alla divisione fra la sala e il gabinetto ducale era piantato l'unico albero su cui s'issava il gonfalone a code della repubblica, e a cui veniva appeso lo stemma del doge regnante. Nella parte anteriore della nave, trovavano posto oltre agli scudieri del doge e ai componenti la corte ducale, i comandadori, con gli otto vessilli dello Stato e i sonatori con le trombe d'argento, mentre i cantori della cappella di San Marco erano raccolti nell'ultimo tratto del tiemo verso il gabinetto ducale. Il vastissimo complesso delle sculture esterne ed interne spettava quasi integralmente ad Antonio Corradini, il cui nome era inciso a prua; solo alcune sculture, fra cui una colossale statua di Marte e due grandi leoni andanti, collocati a poppa contro il timone, erano state ricavate dal precedente Bucintoro, ove erano ricordate come opera di Alessandro Vittoria.
Di questi intagli oggi non rimangono che pochi frammenti: due figure allegoriche a rilievo (Maggio e l'Ora quinta del giorno) e un trofeo di emblemi marini si conservano presso A. Banchieri di Feltre; un gruppo di piccole sculture frammentarie, oltre alla portella con la figura dell'evangelista S. Marco, che costituiva la valva che si dischiudeva a poppa della nave per lasciar cadere nelle acque il simbolico anello nuziale, è custodito presso il civico museo Correr. In tempi recenti vi fu chi sostenne che Venezia dovesse riavere il suo Bucintoro: ma quell'idea non è stata finora attuata.
Bibl.: F. Donno, L'allegro giorno Veneto overo lo Sposalizio del mare, Venezia 1625; A. M. Luchini, La nuova regia su l'acqua nel Bucintoro nuovamente erretto, Venezia 1729; G. Casoni, Guida dell'Arsenale di Venezia, 1829; Il Bucintoro di Venezia, Venezia 1837 (con due tavole); Pace del Friuli, La Festa delle Marie: poemetto elegiaco latino, edito ed annotato da A. E. Cicogna, Venezia 1843; F. Zanotto, Bucintoro, in Emporio artistico-letterario, I, Venezia 1846, pp. 399-408; P. A. Guglielmotti, Storia della marina pontificia, Roma 1886; B. Cecchetti, Della voce Bucintoro, in Archivio veneto, XXXIV (1887), pp. 396-397; La ricostruzione del Bucintoro, in Relazione al Sindaco di Venezia, Venezia 1900; G. Monticolo, I capitolari delle arti veneziane, in Fonti per la storia d'Italia, in Ist. stor. ital., Roma 1905; P. Molmenti, Storia di Venezia nella vita privata, 6ª ed., Bergamo 1922-1926; G. Boschieri, Cimeli del Bucintoro, in Rivista della città di Venezia (1925), p. 356; M. N. Mocenigo, L'arsenale di Venezia, Roma 1927; W. Senior, The Bucintaur, in The Mariner's Mirror, Londra 1929, n. 2.