RAO TORRES, Bruno
RAO TORRES, Bruno. – Nacque a Torino il 24 giugno 1902 da Gaetano, napoletano, e da Erminia De Martino. Studiò da ragioniere, ma si diplomò solo nel luglio del 1922. Aderì al movimento fascista dal 20 giugno 1921 e fu attivo nello squadrismo di Milano, città nella quale aveva seguito il padre, dipendente del Banco di Napoli; prese quindi parte alla marcia su Roma, con lo status di ferito fascista.
Concluso il servizio di leva nel novembre del 1923, trovò poi lavoro in una compagnia di assicurazioni. Sul piano politico, per circa un decennio fu uno dei tanti ‘gregari’ sparsi sul territorio dall’apparato del Partito nazionale fascista (PNF), sconosciuto ai più, pur avendo incarichi nella Milizia volontaria per la sicurezza nazionale e come ispettore della federazione fascista milanese. Il suo tempo pubblico, breve ma intenso, sarebbe venuto più avanti.
Il 5 maggio 1935 diede una svolta alla propria vita arruolandosi volontario nell’esercito. Dall’ottobre partecipò alla guerra in Etiopia, combattendo tra le camicie nere fino al 31 agosto 1936. Ferito nel gennaio del 1936, ricevette una medaglia d’argento al valor militare sul campo per un’azione nell’area di Macallè (r.d. 24 luglio 1936) e venne quindi promosso tenente e poi capitano dei bersaglieri.
Sposatosi nel frattempo con Ada Ronzoni (1935), a fine 1937 partecipò alla mobilitazione dei reparti fascisti per la guerra civile spagnola, ma non vi prese parte. Allo scoppio della seconda guerra mondiale, rimase in stato di mobilitazione; il 28 ottobre 1939 fu nominato commendatore dell’Ordine della corona d’Italia e, dopo il 10 giugno 1940, partì volontario sul fronte francese. Rientrò a Milano il 7 novembre, in tempo per la nascita, il 18, della prima figlia, Luciana. Ripartì subito dopo per il fronte greco, dove combatté fino al 15 gennaio 1942, ricevendo il 14 aprile 1943 una decorazione d’argento al valor militare. Mobilitato per la campagna di Russia, fu richiamato in patria per assumere dal 29 agosto 1942 l’incarico di segretario federale del PNF di Arezzo; in tale veste ottenne la nomina a consigliere nazionale nella non più elettiva Camera dei fasci e delle corporazioni (decreto del duce 28 agosto) ed entrò nel consiglio nazionale del partito.
Dopo l’impegno militare giunse dunque il periodo della responsabilità nel PNF. Nello scenario delle pesanti conseguenze della guerra e dello sfaldamento progressivo dell’adesione degli italiani al fascismo, cercò di mantenere il controllo sociale e politico del territorio aretino.
Dopo il 25 luglio 1943, esautorato Benito Mussolini e crollato l’apparato fascista, lasciò Arezzo e non rispose al richiamo alle armi ricevuto il 6 agosto. Dopo l’annuncio dell’Armistizio con gli Alleati l’8 settembre, rientrò in città e riorganizzò la federazione fascista e l’amministrazione comunale allo sbando. Dal 13 settembre l’occupazione tedesca di Arezzo gli consentì di ricostituire la milizia fascista (per la quale il 18 lanciò un appello all’arruolamento) e di riorganizzare le forze armate e la polizia.
Nella neofascista Repubblica sociale italiana (RSI) si svolse la sua più complicata vicenda personale. Gli si spalancarono le porte per un nuovo e più delicato incarico: venne nominato capo della provincia (di fatto prefetto di seconda classe) di Arezzo (decreto 10 ottobre 1943, ratificato dal Consiglio dei ministri della RSI il 27). Si guadagnò fama di «moderato» (Mazzoni, 2006, II, p. 154) per le doti di mediazione mostrate sia durante gli scioperi minerari che paralizzarono il Valdarno nel marzo 1944, sia da presidente della locale Camera di commercio.
Tra le terribili emergenze del momento, con la guerra che colpiva i civili, i bombardamenti sempre più frequenti, l’organizzarsi delle formazioni resistenziali, incarnò una parabola emblematica nel neofascismo saloino: da un lato fu uno dei tipici uomini di partito catapultati sul proscenio prefettizio dalla crisi italiana del 1943, dall’altro contribuì a che si riproducessero – in forme acuite e spesso incontrollabili rispetto a quanto già avvenuto nel ventennio precedente – tutte le conflittualità interne agli apparati di partito e di regime operanti nei territori provinciali. In un policentrismo di poteri che generò ulteriore caos, con l’occupazione tedesca a complicare il tutto, non ebbe relazioni facili con il nuovo federale del Partito fascista repubblicano (PFR), il pisano Bruno Leoni (con il quale si accusarono reciprocamente di utilizzare squadre illegali e metodi terroristici verso la popolazione), con molti degli ormai squalificati uomini del fascio locale (che lo colpirono anche sul piano personale, sospettandolo di affari illeciti), con il Comune guidato dal commissario prefettizio Athos Geri, con i carabinieri del luogo e anche con i tedeschi. Un rapporto del comando militare nazista del 13 marzo 1944, pur rilevando che il suo operato non prestava «il fianco ad alcuna critica», lo tacciava di scarsa energia e valutava «impossibile lasciarlo nella sua funzione per troppo tempo ancora» (Istituto storico della Resistenza in Toscana, 1997, p. 117).
Con decreto del 10 aprile 1944, approvato dal governo della RSI il 18, venne quindi sostituito nell’incarico da Melchiorre Melchiorri (che espresse su di lui severi giudizi, come fece pure il nuovo questore Vinicio Fachini). Posto a disposizione del ministero dell’Interno, fu inviato a Milano con il ruolo che mai espletò di prefetto ispettore.
In questa sua parabola che lo portò a estraniarsi dall’impegno pubblico, molto aveva probabilmente concorso il trauma della perdita della moglie, morta a 34 anni il 2 dicembre 1943 durante il bombardamento di Arezzo, che oltre alla figlia gli lasciava il secondogenito, Marco, nato il 23 aprile 1943.
Seguì per lui un «periodo di assurda inattività» (Roma, Archivio centrale dello Stato, Gabinetto, RSI, Affari generali, b. 25, lettera al duce 1° settembre 1944), che molto lo agitò. Nominato per «errore» prefetto di Macerata (ibid., telegramma del ministro dell’Interno Buffarini, 12 giugno 1944), decise di tornare alle armi. Il 27 luglio si arruolò quindi nelle brigate nere, guidando dapprima i fascisti aretini nella XXXV don Emilio Spinelli e dall’ottobre l’VIII Aldo Resega, della quale divenne vicecomandante sotto Vincenzo Costa, ultimo federale del PFR milanese (a cui Rao Torres si era iscritto il 14 settembre 1944).
Collocato definitivamente a riposo dai ruoli prefettizi il 1° dicembre 1944 (delibera del Consiglio dei ministri della RSI del 15 novembre e decreto del 30 novembre 1944) e dal 18 ottobre destinatario di un mandato di cattura per omicidio volontario e collaborazione con i nazisti spiccato dalla procura di Arezzo, visse l’orgoglioso colpo di coda tipico di molti fascisti che aderirono alla RSI come segno di fedeltà incoercibile a duce e partito, per l’onore della «patria fascista», al fianco degli «autentici squadristi che tutto diedero e nulla chiesero», contro il «nero tradimento» dei tanti che non erano rimasti fedeli al fascismo, assestando così una «pugnalata alla schiena della Patria risorgente» (Risposta a Mataloni e C., 10 dicembre 1944). Il suo scagliarsi «furibondo contro gli intellettuali» che non si erano iscritti al PFR, gli valse una citazione di Giovanni Papini (Diario, Firenze 1962, p. 131, 27 dicembre 1943).
Negli ultimi giorni dell’aprile del 1945 si rifugiò nel comune varesino di Cadegliano, ma il 23 maggio venne arrestato e internato nel campo di concentramento dello stadio di Masnago, a Varese. Il 25 giugno la questura di Arezzo confermò i pregressi capi di imputazione pendenti su di lui, su mandato del 18 della locale procura. Egli, però, nella notte tra l’11 e il 12 novembre evase, probabilmente con complicità dei sorveglianti.
Nei mesi successivi collaborò con la galassia di nostalgici del regime fascista, partecipando ad alcuni tentativi eversivi della primavera del 1946 come istruttore di forze militari clandestine tra Lombardia e Veneto e membro dell’esecutivo del Partito democratico fascista (legato a Schieramento nazionale, il movimento guidato a Roma dall’ultimo segretario del PNF, Carlo Scorza). Venne arrestato a Milano il 22 maggio, insieme ad altri esponenti neofascisti e subì procedimenti penali, nel contesto dell’epurazione, per le citate imputazioni e altri reati: ordine di fucilazione del 24 aprile 1944 per tre partigiani (su accusa della Commissione provinciale per i crimini di guerra di Arezzo); gravi minacce nei confronti del personale della prefettura di Arezzo; violenze varie; appropriazione indebita di mobilio e materiale prefettizio.
Il suo fu un classico iter dell’epurazione di quegli anni. A una prima condanna a trent’anni di reclusione per collaborazionismo e omicidio volontario (corte d’assise, sezione speciale di L’Aquila, 18 ottobre 1947), seguirono: l’annullamento della sentenza da parte della Corte di cassazione, il rinvio alla corte d’assise ordinaria di Chieti (28 maggio 1948) e la condanna a nove anni (1949), quindi il proscioglimento finale (1950). Visse da allora a Milano, riprendendo la sua attività lavorativa, dove morì il 23 maggio 1980.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Direzione affari generali e del personale, Divisione del personale, Fascicoli riservati, Versamento 1952, b. 50 bis; Gabinetto, RSI, Affari generali 1943-45, bb. 6, 25, 68 bis; RSI, Pubblica sicurezza, Affari generali e riservati, 1943-45, b. 2, f. 12; Direzione generale pubblica sicurezza, Divisione servizi informativi e speciali, Sez. II, 1944-49, cat. HP 13/4, b. 208; Archivio di Stato di Arezzo, RSI, Prefettura, b. 1; Archivio di Stato di L’Aquila, Corte d’Assise, 1943-47.
M. Missori, Gerarchie e statuti del P.N.F. Gran Consiglio, Direttorio nazionale, federazioni provinciali: quadri e biografie, Roma 1986, p. 263; E. Droandi, Arezzo distrutta 1943-44, Cortona 1995, ad ind.; Istituto storico della Resistenza in Toscana, Toscana occupata. Rapporti delle Militärkommandanturen, 1943-1944, introduzione di M. Palla, traduzione di R. Mauri-Mori, Firenze 1997, ad ind.; A. Cifelli, I prefetti del Regno nel ventennio fascista, Roma 1999, pp. 149-156; A. Coradeschi, Dalla caduta del fascismo alla repubblica. La provincia di Arezzo luglio 1943 - giugno 1946, Montepulciano [2005], ad ind.; M. Mazzoni, La Repubblica sociale italiana in Toscana, in Storia della Resistenza in Toscana, a cura di M. Palla, II, Roma 2006, pp. 147-187; G. Galli, R. T., B., 2008, http://www.societastoricaretina.org/biografie/GGRaoTorresBruno1705081.pdf (19 febbraio 2016).