CHIMIRRI, Bruno
Nacque a Serra San Bruno (Cosenza) il 24 genn. 1842 da Luigi e da Caterina Corapi. La sua opera si svolse essenzialmente nell'ambito parlamentare e politico, ma egli fu noto anche come brillante conferenziere, e nel mondo giuridico soprattutto per l'ampia e articolata analisi dei principî fondamentali del sistema delle assicurazioni sociali, contenuta nella sua relazione al disegno di legge per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro presentato nel 1889 da D. Berti, ministro di Agricoltura, Industria e Commercio nel quarto e quinto gabinetto Depretis (29 maggio 1881-30 marzo 1884).
Nella sua lunga attività pubblica il C. si dichiarò sempre fedele agli ideali etici e politici del liberalismo moderato, e in particolare alla tradizione della Destra storica, cui aveva aderito sin dall'inizio della sua vita politica. Candidato alle elezioni dell'8 nov. 1874 nel collegio di Serra San Bruno in concorrenza con l'avv. Patrizio Corapi, deputato uscente, Gaetano Loffredo di Cassibile e Nicola Santamaria, il C. ottenne 296 voti su 646 votanti contro 82 voti del Corapi, 162 del Loffredo e 63 del Santamaria.
Ma la sua elezione fu contestata poiché molti voti riportati dal Loffredo di Cassibile, anch'egli candidato di parte moderata, erano stati annullati ingiustamente dal seggio dell'ufficio principale per insufficiente indicazione della persona. La Camera, viceversa, sulla base degli atti elettorali attribuì 382 voti al Loffredo di Cassibile proclamandolo deputato e annullando la precedente elezione del Chimirri.
Candidatosi nel medesimo collegio nelle successive elezioni del 5 nov. 1876, in concorrenza con Orazio Badolisani, Francesco Antonio Ferra e l'avv. Antonio Jannone, il C. ottenne in prima votazione 203 voti su 500 votanti e fu eletto in ballottaggio contro lo Jannone il 12 novembre con 304 voti su 357. Amico personale e seguace del Rudinì, alla Camera acquistò ben presto stima e prestigio presso i più influenti capi della Destra, come Quintino Sella, che nel luglio del '77 lo definì "uno dei migliori elementi che abbiamo nel nostro partito, sia come carattere, sia come ingegno ed operosità". In effetti il C. svolse con impegnata assiduità il proprio ruolo di oppositore moderato alla politica della Sinistra, intervenendo più volte contro vari progetti di legge proposti dal Depretis.
In generale, le ragioni della sua opposizione non erano motivate diversamente da quelle mosse, s'intende con ben altra rilevanza ideologica e politica, da insigni esponenti della Destra storica meridionale, quali Silvio Spaventa e Ruggero Bonghi, cui il C. era particolarmente legato. In tal senso, anche egli mostrava di considerare le riforme proposte dalla Sinistra a un tempo demagogiche e corruttrici. Demagogiche, in quanto volte a stimolare fittiziamente, con la blandizie del progressismo, i più vari interessi di gruppi e di ceti sociali, onde trovare nella loro tutela la reale base del proprio potere. Corruttrici, poiché legate ad accordi particolaristici che dalla prassi parlamentare trascorrevano alla pratica amministrativa corrente, avvilendo e degradando l'ethos della vita pubblica italiana. "Se le rivoluzioni creano talvolta e rinnovano gli Stati - sosteneva il C. alla Camera - questi non si mantengono, né si consolidano, se non attuando la giustizia tanto nelle leggi quanto nelle amministrazioni... [poiché]... uno Stato non si governa col moto continuo, e i progressi per essere durevoli hanno mestieri di freni e di capisaldi" (cfr. Atti parlamentari,Camera,Discussioni, legislatura XV, tornata del 15 dic. 1885; legislatura XVI, tornata del 20 giugno 1887).
Il C. - senza ostentare quella sicurezza nell'inevitabile disfacimento morale e politico del governo della Sinistra, assai diffusa invece tra i liberali moderati dopo la "svolta" del marzo '76 - preferì collocarsi su una linea di opposizione concreta impegnandosi nell'attività parlamentare e nell'analisi dei contenuti specifici delle misure legislative. La carriera politica del deputato calabrese maturò, infatti, attraverso la sua assidua partecipazione ai lavori della Camera con interventi su gran parte dei maggiori provvedimenti presentati dai governi Depretis e Crispi. In essi il C. assunse posizioni ispirate a un equilibrato realismo, che fu il motivo conduttore della sua azione parlamentare volta all'opposizione del generico progressismo della maggioranza governativa.
Egli intervenne nella discussione sul progetto di riforma elettorale, presentato il 30 apr. 1880 dal Depretis congiuntamente alla nuova legge comunale e provinciale (cfr. Atti parlamentari,Camera,Documenti, leg.XIII, 1880, nn. 38-39), che prevedeva l'estensione dell'elettorato attivo. Pur mostrandosi favorevole all'allargamento del diritto di voto, si oppose al progetto governativo giudicandone meccanico e quantitativo il criterio ispiratore. A suo avviso, l'elettorato attivo "più che un diritto è una funzione, un ufficio", per cui bisognava rifiutare estensioni indiscriminate e massive a favore di un criterio più selettivo basato, nonché sul reddito, sulla specifica qualificazione professionale (cfr. Atti parlamentari,Camera,Discussioni, legisl. XIV, tornate del 9 e del 10 giugno 1882).
Questa concezione insieme paternalistica e moraleggiante dello Stato rappresentativo, assai comune peraltro nell'opinione dei politici e degli intellettuali moderati del tempo, avvicinò il C. alle posizioni dei conservatori nazionali, coi quali condivideva l'atteggiamento ostile alla Sinistra per gli indirizzi di questa sul problema delle relazioni tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica. Tradizionale invece restava la sua opposizione alle iniziative politiche e amministrative assunte in sede locale dalla Sinistra depretisiana, specie meridionale. Il che, poi, lo rendeva gradito ai dissidenti della Sinistra, guidati nel Mezzogiorno continentale dalla mano potente e spregiudicata di Giovanni Nicotera. Nelle elezioni del 16 maggio 1880 - che segnarono nel Mezzogiorno un indebolimento dei deputati ministeriali a favore dell'ala nicoterina-crispina ma anche un progresso della Destra sconfitta nel '76 - l'opposizione al Depretis svolta dal C. gli dette i suoi frutti elettorali: egli infatti fu eletto al primo scrutinio con 392 voti su 441 votanti contro il concorrente Vincenzo Calcaterra, che ne ottenne solo 44. Alla Camera il C. proseguì la propria solerte attività occupandosi dell'importante ma spinosa questione dell'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro.
Un primo progetto era stato presentato nel marzo del 1879 dall'on. Pericoli e un secondo nel giugno 1880 dal Luzzatti: in seguito il disegno di legge era diventato d'iniziativa del governo, che a firma del Berti l'aveva riproposto nell'81 e nell'82. Il C. fu il relatore di quest'ultimo, progetto di legge, e, grazie all'abilità con cui seppe condurlo, esso fu approvato in sede di commissione a differenza dei precedenti. Ma, nonostante il suo impegno, i fautori e gli avversari dell'intero progetto restarono nettamente divisi sullo specifico ma centrale problema della responsabilità del datore di lavoro negli infortuni capitati al prestatore d'opera. Sicché quando esso fu discusso in aula lo stesso C. si schierò risolutamente contro il parere del governo, favorevole a riconoscere la responsabilità oggettiva del datore di lavoro, insieme ad altri deputati meridionali quali Finocchiaro Aprile, Indelli, Filì Astolfone, Mazziotti, Picardi (cfr. Atti parlamentari,Camera,Discussioni, legisl. XV, tornate del 13, 15, 16 e 18 maggio 1885). Di fronte all'opposizione del Parlamento, e il C. alla Camera fu uno dei più documentati e intransigenti critici della proposta governativa, il Depretis ritenne opportuno ritirare l'intero disegno di legge.
L'opposizione del C. alla politica del Depretis se era motivata, da un lato, dall'appartenenza del deputato calabrese alla Destra moderata trovava, dall'altro lato, parziale rispondenza nell'ostilità dei dissidenti della Sinistra nicoterina e crispina al leader di Stradella. Non stupisce quindi che il C., secondo un più ampio disegno volto a stabilire un'organica alleanza parlamentare tra i dissidenti della Sinistra e i conservatori moderati, alleanza allora tenacemente sostenuta soprattutto dal Nicotera, fosse assai vicino alla Sinistra meridionale filonicoterina. Intesa agevolata, peraltro, dall'assenza di un forte partito conservatore che raccogliesse in un blocco unitario le forze ostili ai governi della Sinistra. Di qui l'estenuarsi della dialettica politica e parlamentare in un articolato e trasformistico gioco d'interessi di uomini e gruppi particolari, in cui anche il C. si trovò inevitabilmente coinvolto. In questo contesto va inserita l'azione del C. in merito alla legge sulle Opere pie, in cui egli assunse una posizione favorevole al clero che non si comprenderebbe bene se non si tenesse presente, in primo luogo, l'influenza che sia i nicoterini sia i clericali avevano nella società meridionale del tempo. A questo fattore tattico - che induceva il C., come seguace del Rudinì, a opporsi bensì al governo della Sinistra ma non al potere esercitato nella vita pubblica del Mezzogiorno da Giovanni Nicotera - si accompagnava certamente un suo autentico convincimento ideologico laico ma piuttosto transigente nei confronti del mondo cattolico italiano.
Orientamento ancor più accentuato dopo il definitivo tramonto del Depretis e l'ascesa al governo del Crispi, il cui radicalismo anticattolico aveva provocato una reazione clerico-moderata diretta a rafforzare il peso politico e parlamentare della Destra. Per tutte queste ragioni, dunque, il C. fu un deciso oppositore della politica seguita dal Crispi in ordine ai rapporti tra Stato e Chiesa. Già nella discussione parlamentare sul disegno di legge relativo al nuovo codice penale preparato dal guardasigilli Zanardelli, il C. era intervenuto contro gli articoli che punivano gli abusi dei ministri del culto ritenendo ogni disposizione in tal senso inutile, perché il clero italiano "è il meno intransigente di tutti i cleri d'Europa", ed anche pericolosa poiché avrebbe alienato "dallo Stato nuovo tanta copia di forze morali, che ora gli sono devote" (cfr. Atti parlamentari,Camera,Discussioni, legisl. XVI, tornata del 7 giugno 1888). Questa concezione dei rapporti tra Stato e Chiesa, volta ad affermare un blando indirizzo di conciliazione che, nel reciproco rispetto dell'autonomia delle due potestà, evitasse l'inasprimento degli opposti interessi, fu sostenuta ancor meglio dal C. nella discussione della legge sulle Opere pie presentata dal Crispi il 18 ott. 1889. Contro il progetto governativo che sanciva l'esclusione del clero dall'amministrazione delle congregazioni di carità il C. sostenne l'opportunità di non escludere i parroci dalla gestione amministrativa delle Opere pie per non inasprire il basso clero (cfr. Atti parlamentari,Camera,Discussioni, legisl. XVI, tornata del 3 dic. 1889). Anche a proposito della destinazione del patrimonio delle confraternite - che il progetto governativo intendeva vincolare a esclusivi fini assistenziali - il C. intervenne per difendere il mantenimento delle molteplici finalità tradizionalmente stabilite dai singoli statuti e dalla volontà dei donatori. L'equilibrato orientamento assunto dal C. nella tormentata vicenda che condusse all'approvazione della legge sulle Opere pie consolidò il suo prestigio parlamentare e politico, come dimostra, tra l'altro, l'ampio suffragio elettorale da lui riscosso.
Dopo la riforma del 1882, che prevedeva lo scrutinio di lista in luogo dell'elezione uninominale, egli fu rieletto il 29 ottobre dello stesso anno nel collegio di Catanzaro I con 5.542 voti e confermato nel medesimo collegio il 23 maggio 1886 con 5.902 voti e il 23 nov. 1890 con 7.423 voti. Ripristinato il collegio uninominale, il C. fu ancora rieletto nel suo antico collegio di Serra San Bruno il 6 nov. 1892 con 2.060 voti su 2.307 votanti e ininterrottamente riconfermato in quelle successive del 26 maggio 1895 con 1.242 voti su 1.336 votanti; del 21 marzo 1897 con 793 voti su 1.577 votanti; del 10 giugno 1900 con 1.155 voti su 1.386 votanti; del 13 nov. 1904 con 1.011 voti su 1.541 votanti; del 14 marzo 1909 con 1.334 voti su 1.505 votanti. Il 16 ott. 1913, alla vigilia della XXIV legislatura, il C. ottenne la nomina a senatore del Regno per la terza categoria. Dal 10 febbraio al 31 dic. 1891 fu ministro dell'Agricoltura nel primo governo Rudinì che si appoggiava anche al Nicotera nominato ministro dell'Interno. In seguito alle dimissioni del guardasigilli Luigi Ferraris il C. si trasferì dall'Agricoltura alla Giustizia di cui fu titolare fino al 15 maggio 1892, data delle dimissioni dell'intero governo.
Se la nomina del C. a ministro dell'Agricoltura non fu osteggiata dal Nicotera, è probabile che questi abbia avuto parte nel trasferimento del primo alla Giustizia. Il C. infatti, dichiaratosi pubblicamente ostile ad ogni interventismo statale in materia economica e finanziaria, contrastava col Nicotera e il Luzzatti, ministro del Tesoro, decisamente filoprotezionisti. In occasione del rinnovo dei trattati commerciali con la Germania, l'Austria e la Svizzera il tradizionale contrasto tra liberisti e protezionisti - riacutizzatosi sullo specifico problema del dazio sui cotoni e sui vini - investì anche la compagine ministeriale. Il trasferimento del C. alla Giustizia, dicastero più prestigioso dell'Agricoltura ma senza specifiche competenze negli affari economici, sembrò appunto una manovra del Nicotera per allontanare il deputato calabrese dal ministero di Agricoltura ed imporre un suo fido. Disegno riuscito solo in parte poiché il Rudinì preferì assumere direttamente l'interim di questo ministero.
Dopo le dimissioni del primo governo Rudinì il C., lasciato il dicastero della Giustizia riprese la sua attività di deputato e fu nominato vicepresidente della Camera nella XIX legislatura (16 giugno 1895-3 marzo 1897). Tornato al governo il 24 giugno 1900 quale ministro delle Finanze del gabinetto Saracco, egli resse anche l'interim del Tesoro dopo le dimissioni del titolare Giulio Rubini. Con la crisi del governo Saracco il 14 febbr. 1901 il C. concluse la sua seconda esperienza ministeriale e riprese alla Camera il suo posto di deputato appartenente allo schieramento liberale moderato, guidato ora dal Sonnino e dal Salandra. Negli anni successivi egli fu coerente avversario di Giolitti, ma il suo ruolo politico e parlamentare si restrinse essenzialmente a quello di un prestigioso notabile, testimone vivente dell'antica tradizione conservatrice e illuminata della Destra storica; troppo autorevole per essere chiamato nei governi Sonnino o Salandra in una posizione secondaria, ma non abbastanza influente per occuparne una di primo piano. Commissario governativo per la gestione del patrimonio e l'esercizio della tutela degli orfani del terremoto del 28 dic. 1908, il C. si dedicò anche a studi letterari e storici con pubblicazioni e conferenze tenute presso circoli di cultura e salotti privati. Autorevole ed ascoltato membro del Senato, il C. avversò l'interventismo del Salandra in un importante discorso al Senato il 18 dic. 1914 dichiarandosi nettamente favorevole alla neutralità dell'Italia.
Ritiratosi nella sua terra d'origine, il C. morì ad Amato (Cosenza) il 28 ott. 1917.
Tra gli scritti del C. vanno ricordati: Discorso pronunziato alla Camera dei deputati,il 16 maggio 1879 nella discussione del progetto di legge sull'obbligo di contrarre il matrimonio civile prima del rito religioso, Roma 1879; Discorso agli elettori di Serra San Bruno pronunciato il 30 sett. 1881, Catanzaro 1881; Sulla riforma della legge elettorale e politica, Roma 1881; Discorso per l'inaugurazione del monumento a Ruggero Bonghi, ibid. 1900; Musica gioiosa, in Aversa e Domenico Cimarosa, Napoli 1901, pp. 104 ss.; L'evoluzione economica nei rapporti col diritto civile, ibid. 1905; Sulla gestione del patrimonio e sull'esercizio della tutela degli orfani del terremoto del 28 dic. 1908, Roma 1910; Mattia Preti detto il cavaliere calabrese, Milano 1914.
Bibl.: S. Sapuppo Zanghi, La XV legislatura ital., Roma 1884, p. 148; M. Brangi, I moribondi di Montecitorio, Torino 1889, pp. 425 s.; L. Servius, B. C. ministro delle Finanze, in La Rass. nazionale, 16 ott. 1900, pp. 625-646; R. Cimone [E. Faelli], I 508 di Montecitorio, Roma-Torino 1906, pp. 37 s.; A. Tortoreto, I parlamentari ital. della XIII legislatura, Roma 1910, 87; L. Albertin, Venti anni di vita politica, Bologna 1951, II, 1, p. 211; G. Carocci, A. Depretis e la politica interna ital. dal 1876 al 1887, Torino 1956, p. 501; V. Pareto, Lettere a Maffeo Pantaleoni, a cura di G. De Rosa, I, 1890-96, Roma 1962, pp. 18 n., 56 e n., 154 n., 169 n.; A. C. Jemolo, Chiesa e Stato in Italia negli ultimi cento anni, Torino 1963, ad Indicem; B. Vigezzi, L'Italia neutrale, I, Milano-Napoli 1966, pp. 637 s.; F. Barbagallo, Stato,Parlamento e lotte politico-sociali nel Mezzogiorno: 1900-1914, Napoli 1976, pp. 57, 63, 65, 68, 90, 101, 109, 162 ss., 182 ss., 187, 199, 352, 358, 363, 365, 378, 430 ss., 622; T. Sarti, Il Parlamento subalpino e naz., pp. 278 s.