RIACE, Bronzi di
Statue bronzee rinvenute nell'agosto 1972 nei pressi di Riace Marina adagiate sul fondo del mare, a una profondità di c.a 8 m e a una distanza di c.a 220 m dalla costa. Perlustrazioni subacquee eseguite qualche tempo dopo il fortuito rinvenimento non hanno condotto a risultati significativi. Lo scarso materiale ritrovato, ove si escluda l'impugnatura dello scudo del bronzo A, non risulta pertinente con certezza al carico di una sola nave; la ceramica (pochissimi frammenti molto dilavati) sembra scaglionarsi in un periodo di tempo assai lungo (Panella), prova che nel luogo si sono verosimilmente accumulati materiali di diversa provenienza. Né molto di più dicono gli anelli di piombo attribuiti a una vela, e il frammento di chiglia di una nave di età romana. Le ipotesi che sono state finora avanzate sull'eccezionale ritrovamento rispecchiano tale carenza di dati. Si è supposto che i bronzi siano stati gettati in mare per alleggerire lo scafo durante una burrasca, oppure che la nave sia affondata con le statue, ma trascinata dalle onde sulla riva. Restano quindi irrisolti i dubbi circa la rotta della nave, la cronologia dell'affondamento, e le vicende esterne dei bronzi fino al momento del naufragio. Ogni elemento in tal senso può essere desunto solo da un'analisi diretta delle opere stesse.
bronzi raffigurano due uomini stanti in nudità eroica, di età matura, con fluente barba, col braccio sinistro piegato, e il destro disteso lungo il fianco. Ambedue impugnavano con la mano sinistra uno scudo (ne sono preservati i bracciali applicati sull'avambraccio). Nella mano destra reggevano un attributo: una spada per il fodero, come nelle raffigurazioni di Marte su alcune pitture pompeiane (Pari- beni), o un ramoscello di ulivo o di alloro, segno di vittoria in una gara atletica, forse una oplitodromia (Di Vita), oppure, assai più verosimilmente, un'asta, come si è dedotto dall'analisi del palmo della mano e dai segni rilevati sulle braccia (Sabbione). L'impostazione delle figure nello spazio è simile nelle linee generali, se non nei dettagli: i personaggi, raffigurati con ambedue i piedi ben piantati per terra, hanno il piede destro, della gamba stante, poco più arretrato, mentre la gamba sinistra è appena piegata al ginocchio. Divergono invece stile e proporzioni. La statua A, dalla tensione più scattante, è slanciata di forme, spalle orizzontali di cui la sinistra leggermente ritratta, fianco destro moderatamente flesso verso l'esterno, testa rivolta verso destra in atteggiamento imperioso. La statua B, più rilassata, ha proporzioni massicce, la spalla destra leggermente piegata verso il basso, il fianco destro in flessione più evidenziata, lo sguardo rivolto verso lo spettatore. Mutano sostanzialmente anche i modi di rappresentazione anatomica. Il bronzo A mostra una forte caratterizzazione dei muscoli, la linea alba debolmente piegata e i solchi inguinali a linee discendenti allungate, resecate dalla zona pubica. Il bronzo Β mostra una trattazione dei muscoli meno insistita; vi sono evidenti la flessione a S del torso, e il solco inguinale arrotondato a formare un semicerchio appena schiacciato. In complesso le proporzioni e il movimento della statua Β risentono, anche se in modo autonomo, della tradizione policletea (manca comunque il caratteristico motivo del «passo»), mentre la statua A è meglio inseribile nell'ambito del più puro stile severo.
segno più distintivo tra i bronzi è dato dalla trattazione iconografica delle teste. Il personaggio del bronzo A mostra i capelli cinti alla nuca da una larga benda, dalla quale ricadono sul collo voluminosi e lunghi riccioli. Si era pensato, in un primo momento, che la fascia fosse ricoperta da una corona di metallo (Fuchs); ma in base a dettagli tecnici, è stato possibile ipotizzare (Di Vita) che sul capo della figura poggiasse un elmo a paragnatidi fisse, ruotato verso l'alto in modo da lasciare liberi la fronte con la benda e le tempie. Nel bronzo B, invece, la calotta cranica era stata già realizzata in previsione dell'applicazione di un elmo. Sulla base di alcune placchette puntinate applicate sulla calotta, si è proposto di riconoscere sotto all'elmo un casco protettivo di cuoio, visibile attraverso le sue cavità oculari (Sabbione) oppure, meno verosimilmente, una sorta di berretto di cuoio composto da corregge intrecciate (Stucchi). Le chiome, lavorate solo nei punti sporgenti dall'elmo, sono assai meno fluenti lasciando interamente scoperto il collo.
Le indagini hanno documentato significative variazioni nella fusione dei due bronzi: il bronzo A mostra una cura maggiore nella preparazione della lega, nella quale è presente una certa percentuale di argento, rispetto al bronzo B, che ha tuttavia anch'esso un eccellente grado di rifinitura. È differente anche il modo di lavorazione della barba e dei capelli, nel bronzo A eseguiti a ricci assai ondulati desinenti a uncino, nel bronzo Β a masse più compatte e naturalistiche. Labbra e ciglia sono eseguite in rame. Nel bronzo A i denti, visibili attraverso le labbra semiaperte, sono in argento; la cornea è in avorio, mentre l'iride era eseguita in pasta vitrea. Nel bronzo Β l'unico occhio superstite è in marmo, con l'iride in avorio (color bianco-rosato), e pupilla, ora mancante, presumibilmente in pasta vitrea. In base alla lega del bronzo, differente per una percentuale relativamente elevata di cobalto, è stato possibile appurare che buona parte del braccio destro e l'avambraccio sinistro del bronzo Β sono il risultato di un restauro. Di lega differente sono anche i bracciali degli scudi. È ancora da chiarire, inoltre, se il bronzo A avesse fin dall'origine un elmo sul capo: l'abrasione della benda e l'appiattimento artificioso dei riccioli sulla nuca contrastano talmente con l'altissima qualità della trattazione della chioma, da rendere poco credibile l'ipotesi (Marcadé).
Le due statue erano state strappate dalla loro base. Sotto i piedi del bronzo A erano posizionati due tenoni, e quattro sotto i piedi del bronzo B. La loro tipologia ha offerto l'opportunità di avanzare ipotesi su cronologia e restauri (Torelli), tuttavia non totalmente condivise (Marcadé).
L'eventuale riconoscimento dei personaggi, oggetto di ampia discussione, è basato su pochissimi dati esterni e su una folta congerie di ipotesi. Sembra fondamentale l'osservazione di Paribeni secondo cui i Greci non realizzavano statue anonime; l'iconografia differenziata dei due bronzi deve quindi rispondere all'esigenza di una loro precisa individualizzazione. Il bronzo A mostra un volto intenso e aspro, cui lo scatto del collo verso destra imprime una connotazione imperiosa; le labbra semiaperte aggiungono all'immagine qualcosa di drammatico e, per dirla con le parole di Paribeni, di «amaro». L'elmo - sia che fosse stato applicato all'origine o sia che fosse un'aggiunta posteriore - e lo scudo connotano il personaggio come un guerriero; la larga benda sul suo capo lo individua, inoltre, come un sovrano o un sacerdote (le due possibilità non si elidono per l'aura sacrale che ricordava i re nel mondo greco arcaico), o meno bene un vincitore di gare sportive. È stato anche proposto che la benda sia più semplicemente un bordo di stoffa destinato ad attutire gli eventuali colpi inferti sull'elmo (Di Vita). L'ipotesi che si possa trattare di un re guerriero, un eroe del mito greco come Agamennone (Bol; Deubner) o Aiace di Oileo (Paribeni), personaggi connotati da un orgoglio fuori misura, meglio che non lo sfortunato ed eroico Codro, sembra essere la più logica. Il personaggio raffigurato nel bronzo B, al contrario, non aveva bende sul capo, ed è quindi meno caratterizzato; i tentativi di riconoscimento finora avanzati in base alla sua maggiore «umanità» sono perciò congetturali: uno stratega, forse Milziade (in base a una certa somiglianza con le erme di Ravenna: Giuliano), o uno degli eroi eponimi ateniesi, forse Philaios (Fuchs) o Ippotoonte o Eneo (Harari). Se fosse appurata la presenza del casco sottostante a corregge di cuoio (Stucchi), potrebbe trattarsi di un eroe guerriero vincitore nel pugilato in gare panelleniche. Di qui l'ardita ipotesi di riconoscere in ambedue i bronzi Euthymos di Locri, personaggio realmente vissuto, anche se circondato da un'aura mitica, più volte vincitore alle Olimpiadi nel pugilato, eroico combattente contro Temesa.
Numerose indagini sono state inoltre mirate a stabilire la cronologia dei due bronzi, la loro attribuzione a una scuola artistica, o a un maestro, e naturalmente la loro possibile provenienza. Ha riscosso particolare favore il confronto del bronzo A con l'Apollo dell'Omphalòs e, ancor meglio, con il c.d. Ares dal Canopo di Villa Adriana, raffigurato in atto di reggere uno scudo parallelo rispetto allo spettatore. Ma quest'opera è di difficile collocazione; trovata con un Hermes che ne ripete pedissequamente lo schema e le proporzioni generali, essa è sempre più spesso considerata, per tale motivo, una rielaborazione adrianea da motivi dello stile severo (Sismondo Ridgway). Non manca tuttavia chi ha proposto di riconoscervi un Teseo pertinente al donario di Fidia per la vittoria di Maratona, riconfermando la sostanziale originalità del lavoro (Berger; Di Vita; Paribeni). Altri confronti, invero meno cogenti per la struttura più larga dei torsi, sono stati avanzati con l’Apollo di Kassel, con l’Apollo del Tevere (per il quale non manca, forse ingiustamente, una opzione classicistica: Sismondo Ridgway; Pochmarsky) e con l’Hermes Ludovisi, opere anch'esse attribuibili alla fase finale dello stile severo, e collegate talvolta alle fasi iniziali dell'attività fidiaca. Per il bronzo Β i confronti si sono appuntati prevalentemente su quelle opere eseguite da artisti di presumibile estrazione attica, ma fortemente influenzati dal canone policleteo, p.es. l’Ares Borghese, attribuito spesso, ma senza motivazioni cogenti, ad Alkamenes (Dontas). La soluzione prevalente è quindi a favore dell'ambiente attico, anche se divergono le ipotesi attributive: ambedue i bronzi opera di Fidia o di maestri attivi nella sua bottega (Fuchs; Giuliano; Harari); il bronzo A opera di Mirone e il bronzo Β opera di Alkamenes (Dontas). Restano per il momento isolate la posizione di Paribeni, che vedeva invece nel bronzo A una forte componente peloponnesiaca, e di Boi e di Deubner, che suppongono l'intervento diretto di Onatas di Egina. Entro questi termini, passare a una cronologia assoluta risulta pericoloso se, come talora è affermato, le divergenze stilistiche possono essere imputate ad artisti coevi, ma di differente formazione. Malgrado tutto, sembra comunque vincente l'ipotesi di datare il bronzo A intorno al 460 a.C., e il bronzo Β intorno al 430 a.C. A parte vanno considerate le osservazioni, del tutto anomale e prive di seguito, di B. Sismondo Ridgway che, proseguendo nella sua capillare ricerca sulle derivazioni tarde da prototipi di età severa, considera i bronzi una creazione classicistica.
La consistente somiglianza tipologica tra le due statue ha fatto supporre che esse fossero pertinenti a uno stesso gruppo, forse un donario realizzato per uno dei grandi santuarî greci. La difficoltà derivante dalle loro differenze formali è stata elusa non solo supponendo l'attività di una bottega eclettica, ma piuttosto ipotizzando l'ampliamento del donario con l'aggiunta posteriore di nuove sculture, o infine reputando che i due bronzi, pur eseguiti in tempi differenti, raffigurino il medesimo personaggio (Stucchi).
Un'ipotesi che ha avuto largo seguito suggerisce il donario degli Ateniesi per la vittoria di Maratona, collocato lungo la Via Sacra a Delfi. Il monumento, opera di Fidia, raffigurava Milziade, con Atena e Apollo, circondato da eroi della saga ateniese (Fuchs; Giuliano; Harari). Il cimiero di un elmo, rinvenuto nel 1978 a Delfi presso l'emiciclo dei Re Argivi, poco lontano dal luogo dove era collocato il donario di Maratona, è stato riconosciuto come pertinente a uno dei bronzi di R., e quindi portato a ulteriore sostegno della proposta. Osta tuttavia, secondo alcuni, la misura delle statue: sia che si accetti la proposta di Bourguet e Bousquet, che collegavano al donario un blocco contenente un decreto di prossenia per un Ateniese, sia che si presti fede alla lettura di Vatin che, in base a un'ipotesi di Pontow, riconosce il basamento, rifatto e ampliato, del donario dinanzi al Tesoro degli Ateniesi, le statue incastrate nello zoccolo erano più piccole dei bronzi di R. (Rolley). Altra proposta avanzata è il donario degli Achei a Olimpia, opera di Onatas di Egina, raffigurante Nestore, circondato da nove eroi greci, che sorteggia il nome di colui che avrebbe combattuto contro Ettore (Boi; Deubner). Pausania (v, 25, 8-9) ricorda che la sola statua di Odisseo fu portata a Roma da Nerone: tutte le altre erano ancora in situ dinanzi al Tempio di Zeus. È stato obiettato, in questo caso, che il bronzo Β non può in alcun modo essere avvicinato a opere di sicura produzione eginetica, anche qualora ne fosse accettata una cronologia alta, intorno alla metà del V sec. a.C.; d'altro canto sembra difficile far scendere l'attività di Onatas oltre il 460 a.C. circa. Una terza proposta, inoltre, fa riferimento al monumento degli Eroi Eponimi nell'agorà di Atene (Dontas), di incerta cronologia. Se il basamento conservato è del terzo venticinquennio del IV sec. a.C., vi sono opinioni contrastanti sulla datazione delle sculture originali, che potrebbero essere state eseguite non molto tempo prima dell'avvio della guerra peloponnesiaca, una cronologia improponibile per il bronzo A (Di Vita).
Molte ipotesi sono alternative tra loro, e si elidono a vicenda. In sintesi, sembra più logico, al momento, svincolare la ricerca sui bronzi da inutili tentativi di attribuzione che, basati su una inesorabile carenza di dati, non condurrebbero a soluzioni obiettive. R. Wünsche, in riferimento allo Zeus di Capo Artemisio, ha giustamente sostenuto che le fonti letterarie ricordano un numero assai limitato di opere d'arte, per lo più secondo una tendenza soggettiva che privilegia artisti di fama entrati nelle liste di eruditi in età ellenistica. Eppure scrittori greci e romani nominano incidentalmente artisti di cui non si conosce assolutamente nulla. A livello meramente statistico, sarebbe singolare che proprio una delle opere descritte da Pausania fosse giunta fino a noi; d'altronde le vicende storiche indicano in Nerone l'ultimo imperatore cui si devono razzie di opere d'arte dalla Grecia, quindi molto prima di Pausania (Balil).
Malgrado tutti gli sforzi compiuti, proprio l'analogia tipologica tra i due bronzi dovrebbe suggerire una soluzione contraria alla loro attribuzione a uno stesso monumento, in quanto gli artisti greci, nei casi documentati (p.es. il Donario di Daochos a Delfi), evitavano, con originali variazioni iconografiche, schemi ripetitivi creando raggruppamenti con sottili ed efficaci dissonanze. I restauri potrebbero invece suggerire la volontà di rafforzarne la complementarità, forse in vista di una loro collocazione simmetrica, estranea alla situazione originaria, e rispondente piuttosto al gusto decorativo dell'ambiente romano cui le opere restaurate erano destinate.
Bibl.: La bibliografia anteriore al 1983 è interamente raccolta in L. De Lachenal, M. A. Rizzo, in Due bronzi di Riace. Rinvenimento, restauro, analisi ed ipotesi di interpretazione (BdA, 3, s. speciale), Roma 1984, p. 333 ss. Il volume offre inoltre una sintesi sui dati tecnici relativi al rinvenimento (C. Sabbione, F. Pallares, A. Freschi), ai materiali raccolti durante lo scavo (T. Mannoni, C. Panella, P. Fiorentino), al restauro (a cura del Centro di Restauro della Soprintendenza Archeologica per la Toscana), alla descrizione particolareggiata dei bronzi (C. Sabbione), e una serie di saggi (di P. E. Arias, A. Di Vita, G. Dontas, A. Giuliano, E. Paribeni, B. Sismondo Ridgway, CI. Rolley). - Inoltre: Ν. Himmelmann Wildschütz, Utopische Vergangenheit. Archäologie und moderne Kultur, Berlino 1976 (ed. it.: Utopia del passato. Archeologia e cultura moderna, Bari 1981); W. Fuchs, Zu den Grossbronzen von Riace, in Boreas, IV, 1981, p. 25 ss.; A. Balil, Los bronces de Riace, in Β Vallad, XLVIII, 1982, p. 97 ss.; W. Fuchs, Zu den Grossbronzen von Riace, in Praestant interna. Festschrift für U. Hausmann, Tubinga 1982, p. 34 ss.; C. O. Pavese, Interpretazione dei bronzi di Riace, in StClOr, XXXII, 1982, p. 13 ss.; A. Giuliano, I grandi bronzi di Riace III, in Xenia, 5, 1983, p. 5 s.; H. P. Isler, Die Bronzekrieger von Riace, in AW, XIV, 1983, p. 3 ss.; E. Pochmarski, Stilkritische Bemerkungen zu den Grossbronzen von Riace, in Römische Historische Mitteilungen, XXXVI, 1984, p. 13 ss.; J. Marcadé, Rapports techniques et publications archéologiques. A propos des Bronzes des Riace, in RA, 1986, p. 89 ss.; S. Stucchi, Le due statue di bronzo dal mare di Riace. Una revisione, in RendLinc, XLI, 1986, p. in ss.; O. Deubner, Die Statuen von Riace, in Jdl, CHI, 1988, p. 127 ss.; M. Harari, A proposito dei bronzi di Riace. Pausania e gli eponimi mancanti, l'iconografia di Pandione e altre considerazioni, in Athenaeum, LXVI, 1988, p. 417 ss.; R. R. Holloway, Gli eroi di Riace sono Siciliani?, in SicA, XXI, 1988, nn. 66-68, p. 23 ss.; M. Nagele, Die Bronzekrieger von Riace als Vorbilder zweier Stuckreliefs, in Griechische und römische Statuetten und Grossbronzen, Vienna 1988, p. 52 ss.; S. Stucchi, Nuove osservazioni sulle statue bronzee di Riace, in RendLinc, XLIII, 1988, p. 99 ss.; B. Cohen, Perikles' Portrait and the Riace Bronzes. New Evidence for Schinocephaly, in Hesperia, LX, 1991, p. 465 ss. (E. La Rocca)
Restauro. - È ben noto che i due Bronzi di R., come molti altri bronzi antichi, vennero fusi in parti separate, successivamente assemblate mediante processi di saldatura a sovrafusione, come illustrato dalla celebre kylix del Pittore della Fonderia conservata a Berlino. Queste parti sono, rispettivamente, per la statua A, la testa, il torace solidale con le due gambe, i genitali (pene e scroto), le due braccia, le mani solidali con i polsi, le parti anteriori del piede e il dito medio, separatamente applicato; per la statua B, invece, la calotta cranica, la testa, il torace solidale con la gamba destra, la gamba sinistra separata, i genitali (pene e scroto), le braccia e gli avambracci, mani e polsi, le parti anteriori del piede e il dito medio separatamente applicato. Nella statua A, come dimostrato da E. Formigli in occasione del restauro effettuato a Firenze, la barba e buona parte della capigliatura erano state applicate mediante sovrafusione. Parti del corpo come i capezzoli e le labbra erano state realizzate in rame: nella statua A, inoltre, i denti sono coperti da una lamina d'argento. Le due statue differiscono anche nei materiali usati per realizzare gli occhi. In entrambi i casi, gli interventi di rifinitura finale a freddo (cesello, limatura) sembrano essere stati piuttosto limitati. Nella statua Β sia la composizione della lega sia la struttura interna alla statua indicano che il braccio destro e, probabilmente, anche il sinistro sono imputabili a successivi restauri, forse avvenuti in età ellenistico-romana.
Su questa ricostruzione esiste un consenso di fondo; al contrario, non è stato ancora accertato se le parti da assemblare fossero state fuse a cera perduta con la tecnica detta indiretta (cioè a partire da un modello d'argilla replicato mediante un processo per calchi) oppure diretta (cioè applicando la cera direttamente su un modello plasmato a mano libera). La prima tecnica comporterebbe l'inserimento delle terre di fusione in forma di materiale liquido o semiliquido, arricchito di peli animali, all'interno delle cavità delle forme di cera ottenute mediante calco. Scopo dei peli sarebbe stato quello di creare porosità interne per l'assorbimento dei gas sprigionati dalla colata metallica; era questa l'interpretazione fornita dai restauratori fiorentini e dagli studiosi che si basarono sulle loro relazioni. Tuttavia, dati recentemente emersi nel corso di un nuovo restauro conclusosi nel luglio 1995 hanno rimesso in discussione questa storia.
Il restauro dell'interno delle due statue era stato reso necessario dal rinvenimento di superfici fortemente corrose lungo la parete interna dei due bronzi, in particolar modo laddove la terra di fusione ancora contenuta era stata solo parzialmente rimossa. La necessità di esporre completamente il bronzo per effettuare il trattamento anticorrosivo ha portato i tecnici dell'Istituto Centrale per il Restauro di Roma e della Soprintendenza Archeologica della Calabria a sviluppare una serie di bracci articolabili dall'esterno, dotati di microtelecamere, fibre ottiche e ablatori ultrasonori per effettuare il microscavo delle terre interne, anche in zone difficilmente accessibili come le spalle e gli avambracci. Ciò ha permesso di osservare che, sia nella statua A che nella B, le terre erano state costruite avvolgendo a spirale e in senso concentrico sottili lastre di materiale argilloso intorno alle barre in ferro, il che suggerirebbe piuttosto un processo di modellazione a mano libera, e quindi la possibilità di una procedura di tipo diretto. Poiché gli strati esterni sono quasi privi di peli e scarsamente porosi, quindi poco adatti all'assorbimento di gas, scopo di questa componente organica sembra essere piuttosto quello di dare alle lastre argillose consistenza e resistenza alla manipolazione. Il problema richiede ulteriori approfondimenti e soprattutto la collezione di materiale comparativo relativo alle terre interne ad altre statue bronzee di età classica, per accertare in che misura la struttura a lastre concentriche osservate nei due guerrieri sia stata comune anche ad altre opere.
(M. Micheli - M. Vidale)