CORREGGIO, Borso da
Nacque, presumibilmente a Correggio, intorno alla metà del secolo XV, da Manfredo, conte di Correggio, e da Agnese di Marco Pio, signore di Carpi. Sulla sua educazione e sulla sua personalità di signore raffinato e aperto alle suggestioni della cultura umanistica, rimane la testimonianza del filosofo valtellinese Iacopo Bruto da Chiuro, riferita dal Tiraboschi. Nel 1477 sposò Francesca di Brandeburgo, nipote di Barbara, marchesa di Mantova, un matrimonio che attesta le ottime relazioni tra i signori di Correggio e la corte gonzaghesca.
Del resto le dimensioni minime del loro Stato e la stessa sua posizione geografica, imponevano al C. ed al fratello Giberto, che insieme ereditarono da Manfredo la contea di Correggio, una accorta politica di equilibrio tra le più grandi corti contigue: non nel senso dell'equidistanza - che avrebbe presupposto una effettiva capacità di autonomia politica - ma nel senso di un eguale accordo e sottomissione nei riguardi di tutti e ciascuno dei preponderanti vicini. Così il C. e Giberto, pur continuando nei rapporti di fedeltà con la corte estense, già fermamente stabiliti al tempo di Manfredo, operarono un deciso accostamento con la Repubblica veneta, della quale Giberto fu nominato "aderente" nel 1475, nonostante la tensione crescente tra Venezia e Ferrara; e completavano questo sistema di garanzie della loro precaria indipendenza stabilendo i migliori rapporti con Galeazzo Maria Sforza, duca di Milano.
Tale politica dei Correggeschi trovava la sua più congeniale espressione nel 1478, quando tutti gli Stati ai quali essi erano legati si unirono nella lega formatasi dopo la congiura dei Pazzi in appoggio a Lorenzo de' Medici contro papa Sisto IV ed il re di Napoli: i da Correggio aderirono alla lega e Giberto partecipò anche alle operazioni militari in Toscana contro l'esercito del duca di Calabria. Toccò pertanto al C. fronteggiare in quello stesso anno la dura prova alla quale veniva sottoposta l'avveduta politica dei Correggio dalla improvvisa crisi del ducato milanese, seguita alla morte di Galeazzo Maria Sforza.
Egli fu infatti costretto a scegliere tempestivamente tra la reggente Bona di Savoia e la fazione ghibellina capeggiata dai fratelli del defunto duca, Sforza Maria, Ludovico ed Ascanio. La scelta del C. cadde oculatamente sul partito ribelle, al quale egli diede subito cospicue manifestazioni di solidarietà, fiancheggiandone i programmi eversivi contro la autorità della reggente. Infatti nel 1478 il governatore di Parma per conto del governo milanese legittimo, Iacopo Bonarelli, scoprì una congiura per far rientrare nella città a tradimento alcuni gruppi di fuorusciti, banditi dal governo ducale. Il principale tra i congiurati, Ettore de' Grandis, confessò che era stato appunto il C. a corromperlo, promettendo mille ducati d'oro "et unam pulchram possessionem in territorio Corrigie" (Cronica gestorum..., p. 35). Evidentemente il tentativo del C. faceva parte del più largo programma eversivo dei fratelli Sforza, che trovava un più cospicuo e fortunato episodio nell'insurrezione di Genova contro il governo di Bona, promossa da Sforza Maria. E in effetti nel 1480, quando si arrivò ad un compromesso tra la reggente ed i cognati, il C. si recò a Milano presso Ludovico Sforza, "credens multa habere", evidentemente in premio del suo tentativo: ma al momento, probabilmente proprio a causa del suo fallimento, dovette rimanere insoddisfatto, come la stessa fonte ricorda (ibid., p. 65).
Nel novembre del 1480 il C. dovette intervenire, al comando di cento uomini d'arme e di vari suoi partigiani di Reggio e di Modena al soccorso di Carpi, che Roberto Sanseverino, allora al servizio di Ercole Gonzaga, ma probabilmente agendo di propria iniziativa e per motivi privati, aveva assalito approfittando dell'assenza di Marco Pio, prigioniero nel Regno di Napoli.
Negli anni seguenti, con la definitiva affermazione di Ludovico il Moro nel governo di Milano, il C. venne rapidamente cambiando i propri orientamenti politici.
Ormai l'aggressività della politica veneziana nella Terraferma creava una situazione di permanenti conflitti nella pianura padana e non era più possibile mantenere un atteggiamento di neutralità che avrebbe lasciato esposta la contea di Correggio ai colpi di tutti i contendenti: perciò, mentre si confermava nella tradizionale intesa con la corte estense, il C. approfondiva i suoi legami con Ludovico il Moro rendendo permanente un accordo che aveva sino allora avuto un carattere episodico: questi nuovi rapporti venivano sanciti il 31 genn. 1481 con la concessione fatta al C. dallo Sforza della carica di membro del Consiglio segreto ducale.
Iniziata nel 1482 la "guerra di Ferrara" per le pretese veneziane sul Polesine, il C. condusse la campagna contro i Veneziani ed i loro aderenti nella regione tra Parma e Reggio, nella quale la lotta tra i maggiori Stati padani si complicava per l'intervento delle fazioni cittadine che proiettavano le loro contese intestine nel conflitto principale. Il C. resistette validamente agli avversari con i forti contingenti di milizie arruolate nel proprio Stato e con il valido sostegno di partigiani nelle piccole e grandi città della zona. Nel maggio del 1482 difese Parma contro i condottieri veneziani Amoratte Torelli e Guido Rossi, che si erano spinti sino a Felino. Il C. fronteggiò la minaccia fortificando il borgo parmense di San Michele, iniziativa che dissuase gli avversari dall'attacco. Nel novembre dello stesso anno fu ferito e fatto prigioniero dai Veneziani combattendo sotto le mura di Argenta: nel dicembre, tuttavia, era già libero, probabilmente dopo aver pagato un riscatto, e riusciva a sottrarsi con un contingente di uomini d'arme ad un improvviso assalto tentato contro di lui nei sobborghi di Reggio dalle più cospicue forze comandate da Guido Torelli e da Giacomo Rossi.
Negli anni seguenti - quando venne infittendosi, alla vigilia della crisi della "libertà italiana", il lavorio diplomatico delle potenze - il C. fu impegnato in ambascerie di notevole significato, alternativamente per conto della corte estense - e di Ludovico il Moro, che del resto continuavano sostanzialmente a condividere preoccupazioni e progetti politici.
Così si ha notizia di una missione del C. alla corte dei re d'Ungheria Mattia Corvino per conto dello Sforza. Sebbene non si abbiano particolari su questo episodio, esso è probabilmente da collocare nel 1485, nella cornice del nuovo schieramento di forze formatosi dopo la congiura dei baroni nel Regno di Napoli, che opponeva il Moro in alleanza con Lorenzo de' Medici e Ferdinando d'Aragona a papa Innocenzo VIII, sostenuto da Genova, mentre già si profilava un'intesa tra il pontefice ed il re di Francia Carlo VIII. Per bilanciare questo temuto intervento e altri minacciati da Innocenzo, i collegati moltiplicavano le trattative con le potenze europee: tra queste appunto il re d'Ungheria, genero di Ferdinando d'Aragona, al quale anche lo Sforza guardava con fiducia. L'opera del C. in questa occasione - nella quale Mattia Corvino autorizzò il conte di Correggio a fregiarsi del proprio stemma - dovette essere largamente apprezzata dal signore milanese, poiché anche negli anni seguenti continuò a servirsi di lui in sede diplomatica in altre importanti occasioni, come del resto fece ampiamente anche Ercole d'Este. Al momento, comunque, il C. continuava ad essere il principale tramite tra la corte milanese e quella di Ferrara: di una missione ad Ercole d'Este da parte del Moro, nel 1487, si ha esplicita menzione, sebbene non si sappia nulla sul suo contenuto.
Nel 1493 il C. faceva parte del corteggio di Ercole d'Este in visita al Moro a Pavia e poi a Milano. Si conserva una sua lettera del 28 agosto pubblicata da A. Luzio e R. Renier a Isabella d'Este, importante come testimonianza di costume, perché dà notizia di una compagnia di comici condotta dal signore ferrarese alla corte sforzesca e delle commedie da essa interpretate.
Non si hanno notizie sull'atteggiamento del C. nei due anni successivi, al momento della discesa di Carlo VIII: probabilmente si adeguò alla politica di neutralità laboriosamente perseguita da Ercole d'Este: ma in seguito prestò i propri servigi diplomatici ed il proprio sostegno militare per evitare l'esperienza di una nuova invasione da parte dei Francesi.
Così, nel gennaio del 1497 prese parte "in li consulti" (Sanuto, I, col. 480) del governo sforzesco sulle misure da prendere per fronteggiare una nuova iniziativa aggressiva di Carlo VIII, impegnandosi ad inviar fanterie reclutate a Correggio in difesa di Genova e dei confini piemontesi e discutendo i piani del Moro per una generale pacificazione degli Stati italiani, che togliesse al sovrano francese pericolose occasioni di intervento: tra le proposte discusse dal C. erano quella di un accordo tra papa Alessandro VI e gli Orsini e quella della restituzione di Pisa ai Fiorentini.
Ancora più significativa la missione attribuita al C. da Ercole d'Este l'anno successivo. Il C. fu infatti prescelto nel giugno del 1498, insieme a Berlingiero Caldora, quale ambasciatore al nuovo re di Francia Luigi XII.
Questi subito dopo l'incoronazione non aveva esitato a manifestare la sua intenzione di una nuova spedizione in Italia proclamandosi duca di Milano. Il C. e il suo compagno espressero tutta la preoccupazione del signore di Ferrara per le intenzioni perturbatrici del re di Francia, operando quell'inutile tentativo mediatore che era l'estremo contributo dell'Estense alla causa ormai perduta dell'antico alleato sforzesco.
Ma il C. non seppe poi imitare Ercole nella prudente astensione dal conflitto: nel marzo del 1499 era a Venezia, per l'ultimo disperato tentativo di scongiurare l'alleanza antimilanese tra la Repubblica ed il re di Francia: quindi prendeva decisamente posto nell'esercito del Moro in qualità di condottiero tra i principali. Anche dopo la sconfitta e la fuga dello Sforza a Innsbruck, nel settembre del 1499, il C. non venne meno alla fedeltà al suo antico protettore. E quando, nella primavera dell'anno successivo, il Moro nel tentativo di recuperare lo Stato cercò disperatamente alleanze oltre che tra gli Svizzeri anche tra i signori italiani, il C. fu tra i pochi, insieme al marchese di Mantova ed ai signori di Carpi e della Mirandola, a rispondere all'appello. Partecipò così alla sconfitta di Novara, l'8 apr. 1500, quando il Moro, tradito dagli Svizzeri, cadde prigioniero di Luigi XII. E quando i Francesi occuparono il ducato fu costretto a pagare una fortissima indennità di guerra ai vincitori (20.000ducati complessivamente tra Correggio, Carpi e Mirandola).
Da allora il C. visse prevalentemente alla corte di Ferrara, dove morì nel 1504.
Fonti e Bibl.: Gli uffici del dominio sforzesco, a cura di C. Santoro, Milano 1948, p. 19; M. Sanuto, Diarii, I, Venezia 1879, coll. 468, 480, 497; II, ibid. 1879, coll. 503, 547 s.; III, ibid. 1880: coll. 255, 260; Cronica gestorum in partibus Lombardie, in Rer. Ital. Script., 2 ed., XXII, 3, a cura di G. Bonazzi, pp. 3 s, 65, 89 s., 108, 118, 120; F. Guicciardini, Storia d'Italia, a cura di C. Panigada, Bari 1927, 1, p. 387; II, p. 3; G. Tiraboschi, Biblioteca modenese, II, Modena 1782, p. 135; A. Luzio-R. Renier, Delle relazioni di Isabella d'Este con Ludovico e Beatrice Sforza, in Arch. stor. lomb., s. 2, VII (1890), pp. 793 s.; A. Giulini, Nozze Borromeo nel Quattrocento, ibid., s. 4, XIII (1910), p. 208; A. Luzio, Isabella d'Este e i Borgia, ibid., s. 5, XLI (1914), p. 547; A. Dina, Isabella d'Aragona, duchessa di Milano e di Bari, ibid., s. 5, XLVIII (1921), p. 341; F. Malaguzzi Valeri, La corte di Ludovico il Moro, I, Milano 1929, pp. 517, 534; P. Litta, Le famiglie celebri italiane, sub voce Da Correggio, tav. IV.