Pahor, Boris. – Scrittore sloveno, naturalizzato italiano (Trieste 1913 - ivi 2022). La vita dello scrittore è strettamente legata agli eventi storici della sua terra d’origine e all’esperienza della comunità slovena della Venezia Giulia. P. è un punto di riferimento per i giovani letterati sloveni, è stato sempre difensore delle libertà e della dignità dell’individuo, e ha messo al centro dei suoi libri, una trentina tra narrativa e saggistica tradotti in diverse lingue, gli umiliati e gli offesi. Vincitore di numerosi premi letterari, nel 2007 è stato insignito della Legion d’onore e nel 2020 del titolo di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana. *
VITA E OPERE.
Il destino di P., uno degli scrittori di lingua slovena più importanti e più tradotti, ha passato il secolo: P. nasce, infatti, a Trieste, città dove è vissuto fino alla morte, in via del Monte, di fronte al vecchio cimitero ebraico, il 26 agosto 1913 come primogenito e unico figlio maschio di genitori sloveni. Il padre Franc fu, durante il dominio asburgico, fotografo alla sezione criminale della gendarmeria di Trieste. La città, porto principale dell'Impero asburgico, era, alla sua nascita, una “città felice”, come P. stesso la definisce, in cui convivevano numerose etnie e comunità religiose. L'esistenza di P. è strettamente legata a quella della comunità slovena della Venezia Giulia, segnata dagli eventi storici che hanno cambiato i destini dell'Europa e del mondo a partire dalla Prima guerra mondiale di cui P. ricorda, piccolissimo, i bombardamenti, descrivendone l'esperienza nella novella Nesluteno vprašanje (Una domanda senza presagio): durante la guerra, infatti, il padre Franc viene mandato a Pola che era zona militare in quanto sede dell'arsenale austriaco. Nel 1918, allo scoppio dell'epidemia di febbre spagnola, tutta la famiglia si ammala. La sorella più piccola, Mimica, soccombe. Nel mese di novembre dello stesso anno l'esercito italiano entra a Trieste: la pace di Versailles aveva ratificato le richieste italiane sancite dal Patto di Londra del 1915. Dopo la firma del Trattato di Rapallo del 1920 tutta la regione litoranea slovena detta Primorska, viene annessa all'Italia: tra i 500.000 e i 700.000 sloveni e croati diventano cittadini italiani. Nonostante le solenni promesse, pubblicate nel decreto del governatore italiano della Venezia Giulia, il generale Carlo Petitti di Roreto, il cui testo viene letto persino nelle chiese, già dal 1920 la comunità slovena diviene bersaglio di attacchi squadristi e ha inizio così una pesante opera di snazionalizzazione: il 13 luglio del 1920 P. con la sorella Evelina assiste all'incendio del Narodni dom – la casa di cultura slovena a Trieste, edificio polivalente, progettato dall'architetto Max Fabiani, simbolo dell'ascesa economica e culturale della borghesia slovena triestina. L'edificio viene distrutto dalle fiamme della furia squadrista e fascista, rappresentando una vera e propria cesura nella storia di Trieste. L'esperienza segna P. per sempre. Ne scrive nella celeberrima novella Grmada v pristanu (Il rogo nel porto) da cui prende nome anche la silloge di prose brevi con cui, nel 2001, esordisce nel panorama letterario nazionale italiano (Edizioni Nicolodi, Rovereto). A questo incendio del 1920 seguono, soprattutto dopo il 1922, altri incendi e pogrom, il divieto dell'uso della lingua slovena, la soppressione forzata delle scuole in lingua slovena e di tutte le attività culturali o sportive slovene: il regime fascista ha voluto italianizzare per decreto migliaia di nomi e cognomi sloveni di tutto il territorio della Venezia Giulia. Il trauma dell'identità negata viene vissuto dallo scrittore in maniera drammatica soprattutto quando, dopo aver frequentato le prime quattro classi della scuola elementare con lingua d'insegnamento slovena a Roiano (1920-1924), viene costretto all'istruzione in italiano. Conclude le elementari in via Ruggero Manna a Trieste nel 1924-25 e si iscrive poi all'Istituto Commerciale che frequenta tra il 1926 e il 1928 con scarso profitto.
Ritrova sé stesso appena dopo il 1930, all'iscrizione al ginnasio del Seminario interdiocesano di Capodistria (allora Italia, oggi Slovenia) che faceva capo al vescovado triestino e dove, tra i compagni di studio, scopre la propria matrice slovena e chiarisce a sé stesso quali siano i suoi diritti di uomo. Scopre, nel contempo, anche la letteratura, specie quella in lingua slovena, seppure i libri sloveni, allora, arrivino nella Venezia Giulia per vie illegali. Risalgono agli anni Trenta anche i suoi primi tentativi letterari: con Milko Matičetov (1919-2014), esimio filologo e ricercatore, il poeta Stanko Vuk (1912-1944), e altri compagni collabora ai giornali clandestini, distribuiti in ciclostile, Brinjevke e Malajda, di cui P. è condirettore, così come dirige una rivista clandestina anonima. Nonostante gli anni bui, egli ebbe a scrivere, presumibilmente attorno al 1938: «Noi siamo, nonostante tutto, figli del sole». Questa affermazione rappresenta quella possibilità che P., in tutta la sua testimonianza letteraria, offre sempre ai suoi protagonisti anche nel momento in cui la situazione appare disperata. Negli anni Trenta, P. pubblica alcuni contributi letterari anche nella rivista Mladika, pubblicata a Celje (Slovenia) con lo pseudonimo di Jožko Ambrožič.
Dopo la maturità classica, nel 1935, P. continua gli studi di Teologia a Gorizia, studi che, però, decide di abbandonare nel 1938. L'esame di maturità, sostenuto in seminario, non viene ritenuto valido per l'iscrizione all'università.
Nel frattempo si avvicina alla prestigiosa rivista Dejanje, fondata dal grande poeta e pensatore sloveno Edvard Kocbek (1904-1981), personalità di spicco dell'ala cattolico-sociale slovena, allievo di Emmanuel Mounier, dove, negli anni 1939-1940 P. pubblica i primi contributi letterari, firmandoli col proprio nome.
L'abbandono degli studi teologici segna anche il ritorno di P. a Trieste, dove inizia a frequentare la cerchia degli antifascisti sloveni: con i giovani amici si ritrovava in clandestinità per parlare in sloveno o seguire lezioni e conferenze che venivano tenute da personalità di spicco della cultura slovena. In questo periodo approfondisce l'amicizia con la famiglia Tomažič, con Danica in particolare, una delle figure femminili più importanti della vita e dell'opera pahoriana, protagonista in particolare del romanzo Zatemnitev (Oscuramento), ancora inedito in Italia.
Il 5 febbraio 1940 è chiamato alle armi e mandato in Libia, esperienza che conclude l'8 febbraio 1941, testimoniata dai diari Nomadi brez oaze (Nomadi senza oasi), anch'essi inediti in Italia. Nella sessione autunnale del 1939-40 sostiene l'esame di maturità classica al Liceo G. Carducci di Bengasi e si iscrive alla Facoltà di Lettere all'Università di Padova, dove studia fino all'A.A. 1943-44. Al ritorno dall'Africa viene mandato sul Lago di Garda, dove, a Bogliaco, prende servizio come sergente-interprete per gli ufficiali dell'esercito jugoslavo catturati durante l'occupazione italiana della Jugoslavia e, nel contempo, sostiene regolarmente gli esami a Padova. Dedica a questa esperienza sul Garda il romanzo breve Vila ob jezeru (La villa sul lago, Nicolodi 2002).
Dopo l'8 settembre 1943, alla destituzione di Mussolini, le truppe di Hitler, fino ad allora alleate dell'Italia, divengono nemiche. I soldati dell'esercito italiano fanno ritorno a casa e ha inizio, da parte tedesca, la caccia ai soldati italiani, considerati dei disertori. Anche Pahor deve far ritorno a casa. Sfugge all'arresto alla stazione ferroviaria di Trieste e si rifugia in un paese dell'immediato entroterra triestino, convinto di voler aderire alla lotta partigiana del Fronte di liberazione sloveno (Osvobodilna fronta slovenskega naroda). È Danica Tomažič assieme alla sorella dell'autore, a convincerlo a rimanere clandestino a Trieste, per collaborare con il fronte antinazista. I giorni successivi all'8 settembre 1943 vengono descritti da P. nel romanzo Mesto v zalivu (La città nel golfo), pubblicato in Italia da Bompiani nel 2014. Nel contesto del comitato cittadino del Fronte di liberazione nel gennaio 1944 P. assume il ruolo di responsabile per la stampa.
La sua attività in città viene scoperta dai collaborazionisti sloveni, i domobranci, che arrestano P. il 21 gennaio 1944 portandolo dapprima nella propria sede, poi nelle carceri del Coroneo, dove viene torturato dalla Gestapo, e quindi deportato in Germania il 26 febbraio 1944. La tragica esperienza del lager viene descritta dall'Autore nel capolavoro Nekropola, tradotto in oltre venti lingue, per il quale P. viene accostato ad autori come Primo Levi, Robert Antelme, Imre Kertész e più volte candidato al Nobel per la Letteratura. Recentemente dedica ai lager nazisti anche l'opera Triangoli rossi, edita da Bompiani nel 2015 e pubblicata quasi contemporaneamente anche nella traduzione slovena a Lubiana. La deportazione lo porta nei campi di concentramento di Dachau, Markirch – Sainte-Marie-aux-Mines, ancora Dachau, Natzweiler-Struthof, Harzungen e Bergen-Belsen. Quando, nell'aprile del 1945, il campo di Bergen-Belsen viene liberato dalle truppe britanniche, P., con la salute fortemente minata, esce dal campo con altri tre compagni francesi. Raggiunge Parigi dove gli viene diagnosticata la tubercolosi e viene dunque mandato in un sanatorio a Villeurs-sur-Marne, dove incontra una giovane infermiera che lo riporta alla vita attraverso l'amore. Il ritorno alla vita viene descritto nel romanzo Spopad s pomladjo (Una primavera difficile), pubblicato in Italia dall'editore Zandonai nel 2009. P. rimane nel sanatorio francese fino al mese di dicembre del 1946, quando si vede costretto a tornare a Trieste perché la salute della sorella Marica sta peggiorando e lei vuole ancora rivederlo e, soprattutto, vuole vederlo laureato. P. si laurea l'11 novembre 1947, discutendo la tesi dal titolo Espressionismo e neorealismo nella lirica di Edvard Kocbek, con l'esimio slavista Arturo Cronia. (Il testo è stato pubblicato dall'Ateneo di Padova nel 2010).
Il ritorno a Trieste è segnato dalle lotte politiche per il destino della città, dalla scissione provocata dalla risoluzione dell'Informburo nel 1948 e che segna la frattura tra Tito e Stalin, dalla situazione precaria in cui P. si ritrova a vivere. Collabora da subito alle riviste Razgledi, e alle successive Tokovi e Sidro, di cui è cofondatore e direttore. (La situazione politica e la crisi intima di questi anni vengono descritte da P. nel romanzo V labirintu, pubblicato nella versione italiana con il titolo Dentro il labirinto dall'editore Fazi nel 2011). Nel 1948 esce la sua prima silloge di prose brevi dal titolo Moj tržaški naslov (Il mio indirizzo triestino), da cui, nel 2010, viene tratta una sceneggiatura (T. Rojc) per la regia di Giorgio Pressburger.
Il 30 ottobre 1952 si unisce in matrimonio con Frančiška Radoslava Premrl (1921-2009), scrittrice e traduttrice, sorella dell'eroe nazionale sloveno Janko Premrl, della quale si ricorda in particolare il volume Moj brat Janko-Vojko (Un eroe in famiglia – Mio fratello Janko-Vojko, Nuovadimensione 2013). Dalla loro unione nascono due figli, Maja e Adrijan.
Il 1° novembre 1953 P. entra in ruolo come insegnante di letteratura slovena e poi di quella italiana alle scuole medie inferiori e quindi a quelle superiori con lingua d'insegnamento slovena a Trieste, ruolo che ricopre fino al 1975.
Dal 1966 al 1991 dirige e pubblica la rivista Zaliv che assurge, negli anni, a unica tribuna slovena libera e indipendente in cui P. accoglie anche autori della dissidenza e della diaspora politica slovena. Nel contesto della rivista P. istituisce anche una collana di pubblicazioni di interesse perlopiù storico-letterario. Nel 1975 la collana accoglie un libro, firmato dallo scrittore Alojz Rebula (1924) e dallo stesso P., in cui Edvard Kocbek, capo dell'ala cristiano-sociale del Fronte di liberazione sloveno, denuncia gli eccidi dell'immediato Dopoguerra, perpetrati dall'esercito jugoslavo e con la connivenza delle truppe britanniche nei confronti di migliaia di collaborazionisti sloveni. Questo straordinario j'accuse, considerato uno dei documenti più importanti della storia slovena del secondo Dopoguerra, provoca in Jugoslavia una reazione politica di proporzioni enormi, con echi europei: a P. viene vietato per due volte e per lunghi periodi l'ingresso in Jugoslavia. Sono anni di isolamento, anni in cui P. diviene persona non grata, le sue opere non vengono prese in considerazione dalla critica, anni in cui viene vessato e diffamato anche da alcuni suoi vecchi collaboratori che erano, evidentemente, persone di fiducia del regime titino fuori dai confini jugoslavi, come si legge nel volume pahoriano di diari Ta ocean strašnó odprt del 1989 inedito in italiano.
Nel 1986 a Parigi, in occasione della mostra Trouver Trieste al Centre Pompidou, l'autore conosce il filosofo Evgen Bavčar (1946) che gli presenta il suo primo editore francese. Il capolavoro Necropoli comincia così la sua ascesa nel mondo. Oggi lo scrittore, insignito di numerosi prestigiosi riconoscimenti europei, viene considerato un grande classico della letteratura del Novecento.
Per approfondire
Boris Pahor e la cultura slovena a Trieste
Il secolo di Boris Pahor, dialogo con i giovani