BONTEMPELLI (Bontempello) dal Calice (Calese), Bartolomeo
Figlio di Battista, nacque verso il 1538 a Lavenone, in Val Sabbia, in territorio bresciano. Ancora giovanissimo, poco più che tredicenne, emigrò a Venezia, cercando forse di farvi fruttare un suo modesto peculio, per quanto non sia arrischiato supporre che nella città dogale trovasse occupazione con umili mansioni presso qualche mercante.
Nel 1562 vediamo il B. già associato con Giacomo di Bernardo nella bottega all'insegna del Calice, in una posizione molto felice delle Mercerie, e dopo pochi anni - nel 1575 - comincia a figurare da solo nei ruoli delle imposte. L'8 luglio 1578 suo padre costituì con Gioacchino e Salvatore Rubbi, figli di Giacomo, una società che, sotto il nome di Bartolomeo Bontempelli e Gioacchino Rubbi, si assumeva la gestione di due botteghe di merceria in Venezia, la prima all'insegna della Luna, condotta dal B., la seconda a quella del Calice, affidata ai Rubbi. Il capitale era di 24.000 ducati, da conferirsi metà per ciascuno, come a metà dovevano ripartirsi gli utili; questi, però, venivano lasciati accumulare, senza essere ritirati fino alla scadenza del contratto, fissata al termine dell'ottavo anno.
I vincoli fra i soci vennero successivamente rinsaldati da un matrimonio del fratello del B., Grazioso, con Anna Rubbi, sorella di Gioacchino e di Salvatore e vedova di un Adriano Andrusiani, ma almeno dal 1587 anche la merceria al Calice era passata nelle mani dei Bontempelli, mentre la partecipazione dei Rubbi si limitava ad una quota dei profitti.
La rapida ascesa economica del B. e l'enorme fortuna che in un breve giro di anni riuscì ad accumulare mostrano quali possibilità poteva ancora offrire l'esercizio della mercatura a Venezia sullo scorcio del Cinquecento. In poco tempo il commercio dei panni pregiati, di cinabro e di mercurio (egli aveva in appalto una miniera nel territorio di Agordo, e una sola operazione con l'arciduca d'Austria ammontò a circa 70.000fiorini), affiancato da cospicui investimenti in titoli del debito pubblico (decine di migliaia di ducati nei depositi in Zecca al 4 e al 5%) e in prestiti ipotecari (tra, i tanti, un "livello" di 14.000 ducati ai conti Montalbano), lo condusse a una posizione floridissima e di notevole rilievo sociale, alla quale nel 1586 volle dare un suggello esteriore mediante l'acquisto, per la tomba di famiglia, di un vastissimo spazio nella chiesa di S. Salvatore, proprio ai piedi dell'altar maggiore, in luogo ben più eminente non tanto di quello riservato poco lungi a Caterina Cornaro, quanto dei loculi che erano riusciti a procurarsi i suoi colleghi che esercitavano la mercatura e l'arte del panettiere nella strada commerciale più importante della città. Nella medesima chiesa un quadro di Sante Peranda lo ritraeva, insieme col fratello Grazioso, sotto la figura del Cristo morto sostenuto dalla Vergine: i due fratelli vi compaiono col viso nobile e sereno, ornato di candidi baffi e pizzo, tagliati lunghi e diritti.
Nel 1579 era stata concessa al B., con privilegio del Senato, la piena cittadinanza veneziana e nel 1606 - all'epoca dell'interdetto - egli aveva affettatamente preso posizione in favore della Repubblica con una singolare offerta di 10.000 ducati "ogni qualvolta si venisse alle armi con Sua Santità". Ebbe anche la ventura di vedersi dedicata (1595) la traduzione in volgare di un trattato di devozione dello spalatino Marulli, e da Fabio Glisenti la "fabula" teatrale Il Diligente,ovvero il Sollecito (1608), nella quale si rappresenta appunto la figura di un uomo che con industria e fortuna riesce a diventare ricco e virtuoso.
Il B. possedeva un palazzo a Conegliano, dove si recava a villeggiare, e quattro poderi per complessivi 150 campi, che gli davano una buona rendita in cereali e vino. Una gran parte delle sue entrate veniva da lui dispensata in opere di beneficenza, specialmente a favore di chiese e di ospedali. Fece restaurare a sue spese la chiesa delle convertite, alla Giudecca, erigere altari nella scuola di S. Rocco e a S. Salvatore, e dopo esserne stato munifico patrono in vita - contribuendo, fra l'altro, con poco meno di 30.000 ducati alle spese di fabbrica - sovvenne l'ospedale di S. Lazzaro dei Mendicanti, a S. Giovanni e Paolo, legandogli in perpetuo la rendita di 100.000 ducati investiti nei depositi in Zecca. Anche Lavenone, che gli aveva dato i natali, godé largamente della sua protezione.
Il B. morì, dopo lunga malattia, l'8 nov. 1616, lasciando il fratello Grazioso erede delle straordinarie ricchezze che aveva saputo ammassare. Non risulta che si fosse sposato, né che avesse avuto figli: non era, in particolare, suo figlio - contrariamente all'opinione di W. Brulez - quel Giacomo Fava che il 1º settembre dell'anno 1598 s'apprestava a partire per l'India.
Grazioso continuò, con non minor fortuna, l'attività del fratello e accrebbe ancora il patrimonio. Comprò numerose case a Venezia, una fornace alla Giudecca e - dal doge Antonio Priuli, per 18.000 ducati - due raffinerie di zucchero a S. Canciano (1622), ma la maggior parte delle sue sostanze era costituita da denaro liquido, merci ed altri beni mobili. Alla sua morte, che seguì il 3 sett. 1627, lasciò crediti per più di 42.000 ducati e intorno ai 50.000 ducati di merce in negozio. Il suo testamento e relativo codicillo disponevano per circa 104.000 ducati in favore di conventi, di chiese, parenti, domestici, amici e altri legatari, fra i quali i bambini di Lavenone, perché potessero imparare a leggere, a scrivere e a far di conto. Eredi e fidecommissari venivano istituiti i discendenti dall'unica nipote, Bonetta, orfana di un altro fratello, Giovan Antonio, sul quale si hanno scarse notizie. Tra gli aventi causa si sviluppò poi una complessa vertenza, destinata a trascinarsi per più di quarant'anni dopo la morte del munifico testatore.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Senato,Terra, f. 77, 1579, 31 marzo; Ibid., Senato,Privilegi, reg. 3, c. 30v; Ibid., Ospedali e Luoghi Pii, bb. 86 e 628; Ibid., Archivio Notarile,test., b. 56 n. 68 (not. Fabrizio Beacian); Ibid., Avogaria de Comun,Misc. Civile e Penale, C294, 9; Ibid., Miscellanea Gregolin, b. 12 ter (Ieronimo Gritti a B. B., Venezia, 9 sett. 1572); Ibid., Dieci Savi sopra le Decime, reg. 74, c. 227; reg. 77, c. 1437; b. 157, n. 326; Ibid., Forestier,Sentenze, reg. 18, c. 15v; Ibid., G. Tassini, Cittadini veneziani, II, p. 380; Brescia, Biblioteca Queriniana, ms. C 1-10: B. Soldo, Descrizione della Val Sabbia; M. A.Corniani degli Algarotti, Dello stabilimento delle miniere... nel distretto di Agordo, Venezia 1823, p. 7; E. A. Cicogna, Delle Inscrizioni Veneziane, Venezia 1830, III, p. 138; G. Berchet, La Rep. di Venezia e la Persia, Torino 1865, p. 204; G. Tassini, Curiosità veneziane, Venezia 1915, pp. 108 s.; P. Molmenti, La storia di Venezia nella vita privata, Bergamo 1925, II, pp. 281 s., 292; A. Fanfani, Storia del lavoro in Italia, Milano 1943, p. 429; C. Belloni, Diz. stor. dei banchieri italiani, Firenze 1951, p. 46; U. Vaglia, L'arte del ferro in Val Sabbia e la famiglia Glisenti, Brescia 19, 59, p. 71; W. Brulez, Marchands flamands à Venise, Bruxelles-Rome 1965, nn. 196, 896, 1023, 1034.