Bonnie and Clyde
(USA 1967, Gangster Story, colore, 111m); regia: Arthur Penn; produzione: Warren Beatty per Tatira/Hiller; sceneggiatura: David Newman, Robert Benton, Robert Towne; fotografia: Burnett Guffey; montaggio: Dede Allen; scenografia: Dean Tavoularis; costumi: Thea Van Runkle; musica: Charles Strouse.
Texas, 1933. In una nazione impoverita dalla Grande Depressione, la cameriera Bonnie incontra un giovane appena uscito di prigione, Clyde, che per dimostrarle la propria bravura compie una rapina in un negozio. I due fuggono insieme e, strada facendo, convincono un ragazzo che fa il meccanico, Clarence, a unirsi a loro. Al primo colpo in banca, ci scappa il morto: primo di una lunga serie. Mentre la banda prosegue nella propria attività criminale, ai tre si aggregano anche il fratello di Clyde, Buck, e sua moglie Blanche. La banda diventa famosa e le sue imprese travalicano i confini dello Stato, con la polizia sulle sue tracce, sempre più vicina. Buck muore in un agguato delle forze dell'ordine e Blanche, che è restata cieca e sconvolta accanto al cadavere del marito, indirizza i poliziotti verso la casa di Clarence, il cui padre tradisce Bonnie e Clyde, facendo in modo che vengano crivellati di colpi ai bordi di una strada.
L'importanza storica del quinto lungometraggio firmato dall'allora quarantacinquenne Arthur Penn travalica e sublima la sua valenza estetica. Con Bonnie and Clyde uno dei generi hollywoodiani più codificati si rinnova profondamente e, filtrato attraverso le modalità del cinema d'autore, si apre alle più disparate valenze narrative e interpretative: gioiosa epopea rétro, romantico inno alla trasgressione violenta, anticipazione on the road delle nascenti istanze di rigenerazione del mondo ‒ e quindi anche del cinema ‒ secondo il punto di vista giovanilistico. Lungo queste vie maestre, Bonnie and Clyde si propone anche quale luogo d'incontro tra il cinema classico e il cinema moderno, tra il montaggio narrativo e la frantumazione delle sequenze in improvvisi e violenti primi piani: in sintesi, tra Hollywood e la Nouvelle vague francese, guardando alla quale il film è stato esplicitamente concepito, come dimostrano le vicende attorno alla sua genesi. Per loro stessa ammissione, David Newman e Robert Benton hanno scritto il soggetto di Bonnie and Clyde dopo aver visto Tirez sur le pianiste (Tirate sul pianista, 1960) e Jules et Jim di François Truffaut, al quale dapprima proposero la regia, convincendolo anche a collaborare alla stesura della sceneggiatura; ma quando Truffaut si tirò indietro (sembra che sia sua l'idea delle poesie che scrive Bonnie e suo anche il suggerimento di affidare a Warren Beatty il ruolo di Clyde), si rivolsero a Jean-Luc Godard, che aveva appena finito di girare Pierrot le fou (Il bandito delle undici, 1965). Anche se non ne sortì nulla di concreto ‒ Truffaut sbatté la porta "dopo aver perso molto tempo con gli sceneggiatori per insegnar loro la grammatica del film" e Godard litigò con la Warner perché "sanno pensare solo alla meteorologia" ‒ questo bagno nel nuovo cinema europeo rimase nel DNA del film, anche quando la sceneggiatura fu comperata da Warren Beatty (che la fece rivedere da Robert Towne) e la messa in scena fu affidata ad Arthur Penn (regista di formazione teatrale, già scoperto ed esaltato dalla critica francese).
Quella che ne sortisce è un'opera molto nervosa nelle scene d'azione (la molteplicità delle angolazioni di ripresa negli assalti dello polizia o l'insistito uso del ralenti nell'agguato finale), quasi lirica nelle sequenze in cui le auto corrono sulle strade sterrate (con inevitabile accompagnamento di musica country), percorsa da un anticipatore senso di morte nella notte del sequestro della coppia dei ricchi (lui è Gene Wilder). Un film dichiaratamente e insistentemente d'autore, come ben testimonia quell'inizio interamente costruito sui primissimi piani del volto di Faye Dunaway e sulla sua schiena nuda. Alla vigilia del Sessantotto, Bonnie and Clyde piacque moltissimo al pubblico giovanile, anche per le sue componenti socialmente più trasgressive: il continuo sberleffo all'ordine costituito e l'assonanza spirituale tra Clyde e le vittime della Grande Depressione. È in questo senso che il film s'inserisce, insieme con il successivo Easy Rider, all'interno di una realtà generazionale dal sapore ormai mitico, che ebbe ampia e non sempre positiva ricaduta sul modo di fare e di guardare il cinema negli anni Settanta. Bonnie and Clyde, nono-stante le nove nominations e i due Oscar (migliore fotografia e migliore attrice non protagonista a Estelle Parsons), ebbe un'accoglienza critica alquanto contrastata. Se Michel Ciment lo liquida come "tipico prodotto hollywoodiano", su "Cinema nuovo" invece Guido Fink esulta: "Ci siamo: è nato il grande capolavoro americano, la risposta d'oltreatlantico al nuovo cinema degli anni Sessanta"; se in patria l'autorevole critico Bosley Crowthers lo respinge nettamente, la star nascente della nuova critica americana, Pauline Kael, gli dedica un'ode entusiastica. E la disparità dei giudizi permane anche nella saggistica degli anni seguenti: John Gabree gli rimprovera una regia troppo soft ("Sanguinaria variante di Les parapluies de Cherbourg", lo definisce); Carlos Clarens parla di una sintesi tra Nouvelle vague e Richard Lester; Renato Venturelli sottolinea le sue componenti di film "sempre un po' sopravvalutato"; mentre Jacques Lourcelles, ricordando il precedente b-movie "nervoso e crepuscolare" The Bonnie Parker Story (Femmina e mitra, 1958, William Witney), non esita a scrivere che il film di Penn "non è affatto superiore al film di Witney ed è sovente più convenzionale".
Interpreti e personaggi: Warren Beatty (Clyde Barrow), Faye Dunaway (Bonnie Parker), Michael J. Pollard (Clarence W. Moss), Gene Hackman (Buck Barrow), Estelle Parsons (Blanche Barrow), Denver Pyle (sceriffo Frank Hamer), Dub Taylor (Ivan Moss), Evans Evans (Velma Davis), James Stiver (padrone della drogheria), Gene Wilder (Eugene Grizzard, l'ostaggio), Morgan Fairchild (stunt per Faye Dunaway).
T. Milne, Bonnie and Clyde, in "Sight & Sound", n. 4, autumn 1967.
G. Fink, Gangster Story, in "Cinema nuovo", n. 121, gennaio-febbraio 1968.
R. Benayoun, Billy-Bonnie et Clyde-Hyde, in "Positif", n. 93, mars 1968.
Bonnie and Clyde Book, a cura di S. Wake, N. Hayden (con interventi di P. Kael, T. Milne, A. Sarris et al.), London 1972.
J. Gabree, Gangster, New York 1973 (trad. it. Milano 1976).
C. Clarens, Crime movies, New York 1980 (trad. it. Venezia 1981).
P. Vernaglione, Arthur Penn, Firenze 1988.
Arthur Penn, a cura di L. Gandini, Milano 1999.