VASTO, Bonifacio
del. – Nato attorno alla metà dell’XI secolo, era figlio (probabilmente secondogenito) del marchese aleramico Tete e di Berta, figlia del marchese di Torino Olderico Manfredi.
È noto nella storiografia come Bonifacio del Vasto perché i figli assunsero per breve tempo il titolo di ‘marchesi del Vasto’, ma nelle fonti è attestato sempre come Bonifacius marchio.
La sua origine familiare lo pose all’incrocio di due grandi dinastie e di due importanti strutture politiche: per via paterna, discendeva dagli Aleramici, titolari dalla metà del X secolo della marca che univa i territori di Acqui e Savona; per via materna si collegava invece agli Arduinici, titolari della grande marca di Torino, che riuniva gran parte del Piemonte e della Liguria occidentale, da Asti a Ventimiglia. Questa collocazione dinastica incise pesantemente sul suo percorso politico.
Bonifacio è attestato a partire dal 1064, quando con i fratelli sottoscrisse le donazioni della madre prima al monastero di S. Siro di Genova poi, l’anno seguente, alla chiesa vescovile di Asti; il primo documento è lacunoso, ma il secondo presenta il gruppo familiare nel suo complesso: «nos Berta comitissa, et Manfredus, et Bonifacius, atque Anselmus marchiones et Henricus et Otto germani, mater et filii», elenco sulla base del quale si è ritenuto che Bonifacio fosse il secondogenito della coppia (Codex Astensis..., a cura di Q. Sella - P. Vayra, II, 1887, p. 118).
La sua vicenda politica acquistò tuttavia peso a partire dal 1079: in quell’anno una lettera di Gregorio VII ai vescovi di Torino, Asti e Acqui, ci informa che Anselmo e Manfredo erano morti in combattimento e che Bonifacio era intenzionato a sposare la vedova di Anselmo, scelta che il papa condannò, chiedendo per questo l’intervento dei tre vescovi (Das Register Gregors VII, a cura di E. Caspar, II, 1923, p. 470). Questo documento ci mostra che Bonifacio assunse in quella fase una funzione di primogenito, sostituendo il fratello, ruolo che fu consolidato con l’allontanamento dei nipoti (i figli del fratello Manfredo), che si radicarono nel principato normanno del Sud Italia, ai massimi vertici.
In particolare Adelaide sposò Ruggero I d’Altavilla (il Gran Conte) e fu madre di Ruggero II, per poi sposare Baldovino di Boulogne e divenire quindi regina di Gerusalemme; anche il fratello Enrico acquisì ampi poteri signorili.
In questa fase il patrimonio controllato da Bonifacio era concentrato soprattutto tra Savona, l’Appenino ligure e la vicina valle Bormida, con un’attenzione specifica per il villaggio di Ferrania, dove Bonifacio fondò una canonica negli ultimi anni del secolo. Un punto di tensione fu sempre rappresentato dalla città di Savona, che fin dall’inizio del secolo aveva manifestato una volontà di autonomia, con l’appoggio vescovile: di questa volontà i marchesi della famiglia aleramica avevano dovuto prendere atto con periodici giuramenti di conferma, come fece anche Bonifacio nel 1084 (Cordero di San Quintino, 1853, p. 60).
Il matrimonio con la vedova del fratello diede a Bonifacio un figlio (Bonifacio, poi detto d’Incisa) e una figlia, di cui non ci è stato tramandato il nome, ma si concluse presto, non sappiamo se per cause naturali o perché il marchese cedette alle pressioni della chiesa espresse nella lettera di Gregorio VII; Bonifacio strinse poi un secondo, prestigioso matrimonio con Agnese di Vermandois, da cui ebbe sette figli (Manfredo, Guglielmo, Ugo, Anselmo, Enrico, Bonifacio minore e Ottone; v. Vasto, marchesi del, in questo Dizionario) e due figlie (Sibilla e Adelaide). La distinzione tra figli di prime e seconde nozze fu alla base di un dissidio violento tra Bonifacio e l’omonimo figlio primogenito, che però può essere compreso solo nel quadro della profonda trasformazione che il potere del marchese subì nei decenni a cavallo tra XI e XII secolo.
Un momento chiave fu costituito, nel 1091, dalla morte della contessa Adelaide di Torino, zia materna di Bonifacio, che segnò la fine della dinastia arduinica e diede avvio a una rapida frammentazione della marca: l’area alpina passò nelle mani dei Moriana-Savoia (la famiglia del secondo marito di Adelaide, Oddone), le maggiori città (e in particolare Asti) si resero autonome, mentre la parte meridionale della marca passò in larga misura sotto il controllo di Bonifacio.
Il mutamento fu radicale, ma non improvviso: molti indizi ci fanno ritenere che Bonifacio, la madre e i fratelli fossero coinvolti nella politica della contessa Adelaide già nei decenni precedenti. In particolare, Berta e i figli avevano nuclei patrimoniali nella circoscrizione arduinica e si legarono alla chiesa di Asti in appoggio alla contemporanea azione della contessa. La stessa lettera di Gregorio VII del 1079 – che ordinò ai vescovi di Torino, Asti e Acqui di impedire il matrimonio di Bonifacio con la vedova del fratello – ci permette di definire il contesto politico in cui il marchese agiva: due vescovi (di Torino e Asti) rappresentavano città inserite nella marca arduinica di Torino, ed erano anzi le due sedi vescovili più importanti della marca; il terzo (di Acqui) rappresentava una città che era parte della marca aleramica, ma il vescovo Alberto, in cattedra in quegli anni, era forse in conflitto con i marchesi aleramici e sicuramente era legato direttamente alla contessa Adelaide. Gregorio VII, quando cercò degli efficaci mediatori per far giungere le sue pressioni al marchese Bonifacio, usò la rete di vescovi che faceva capo alla contessa Adelaide, che certo in quel momento era il massimo potere della regione e non era ostile alle posizioni gregoriane, ma era probabilmente anche ritenuta il vertice del sistema politico di cui Bonifacio faceva parte.
Se quindi il coinvolgimento di Bonifacio del Vasto negli spazi politici della marca di Torino era iniziato ben prima del 1091, la morte della contessa Adelaide aprì senza dubbio nuovi spazi di azione. Non fu solo un cambiamento dinastico (per quanto importante), ma anche nelle strutture profonde della società e del potere: lo sviluppo delle ambizioni autonomistiche di città, vescovi e signori, aveva reso il quadro politico regionale troppo frammentato e diseguale perché la marca potesse passare integralmente nelle mani di un nuovo dinasta. Possiamo anzi dire che la marca di Torino non poteva esistere più nella configurazione territoriale che aveva avuto tra il X e l’XI secolo. In questa profonda e complessiva trasformazione si inserì l’azione politica di Bonifacio del Vasto, che nel giro di pochi anni ampliò le proprie presenze patrimoniali a larga parte della marca Arduinica, e in particolare ai comitati di Alba, Albenga e Auriate (un luogo ora scomparso, a cui faceva capo un comitato corrispondente pressappoco all’attuale saluzzese). Costruì un patrimonio immenso, disperso in decine di villaggi e castelli, in gran parte probabilmente ereditando i beni di Adelaide; questo fece di Bonifacio il potere egemone su un’ampia area a cavallo tra Piemonte e Liguria.
L’espansione non avvenne però senza conflitti, ed è in questi decenni che con ogni probabilità possiamo situare il duro scontro che oppose il marchese al figlio, Bonifacio d’Incisa. L’unica fonte è il testamento di Bonifacio del Vasto, del 1125, in cui dichiarò di diseredare il figlio «per has ingratitudines, quia eum violenter cepit, atque in carcere cum sua familia tenuit, usque dum ab eo ut a mortalibus inimicis se redemit, et quia cum suis mortalibus inimicis suam amiciciam cum sacramento firmiter copulavit, et quia grave damnum cum suis inimicis intulit: tria enim castra de melioribus que posidebat, sibi cum suis inimicis abstulit, silicet Montaldum, et Montemclarum et Boves» (Cordero di San Quintino, 1853, p. 99). Le parole del testamento, con quell’insistito riferimento ai nemici, anzi ai «nemici mortali» di Bonifacio, riflettono con grande efficacia l’immagine di un conflitto estremamente acceso. Se non possiamo dire con certezza chi fossero questi nemici del marchese, possiamo però ritenere che Bonifacio d’Incisa si fosse ribellato al padre perché, come figlio primogenito del primo matrimonio, vide pesantemente minacciate le sue aspettative di eredità: il secondo matrimonio del padre aveva generato sette figli e due figlie, e Bonifacio era per di più orientato a una divisione paritaria tra i figli, senza particolari privilegi del primogenito, come stabilì proprio nel suo testamento.
Dopo lo scontro, Bonifacio d’Incisa, escluso dalla ricchissima eredità paterna, non scomparve però dalla scena politica e, forse grazie ai beni materni o a successivi benefici vassallatici ottenuti da altri potenti, diede vita alla duratura linea dinastica dei marchesi di Incisa.
Non è chiaro quindi chi fossero i nemici di Bonifacio del Vasto negli anni a cavallo tra l’XI e il XII secolo, ma possiamo individuare alcuni suoi alleati. Prima di tutto l’Impero, e in specifico Enrico V, al cui fianco Bonifacio fu in due momenti, nel 1111 e 1116: il marchese rappresentava una forza militare di cui il sovrano non poteva forse fare a meno, e sicuramente poteva costituire un fattore di equilibrio per l’area appenninica e marittima. A livello più locale, Bonifacio strinse legami con alcune delle maggiori famiglie che nei decenni precedenti erano state attivamente legate ai marchesi di Torino, come i Baratonia e, ai margini meridionali della marca arduinica, i Morozzo. Questi legami ebbero probabilmente una duplice funzione: oltre al necessario sostegno che un principe territoriale doveva cercare nelle forze più efficacemente attive a livello locale, era importante per il marchese presentarsi come il potere che coordinava i nobili che nella generazione precedente erano stati al fianco di Adelaide, per rivendicare anche su un piano simbolico la propria legittima successione alla contessa.
Al contempo l’espansione di Bonifacio non era veramente concorrenziale con l’affermazione di poteri come i conti di Savoia o i vescovi di Torino, che agivano in territori che apparivano palesemente fuori dalla portata del marchese. Il potere di Bonifacio poté così assumere una fisionomia pienamente regionale, alla pari di altre dominazioni emergenti: se non poté mai controllare una città rilevante (anche da Savona il suo potere era pressoché escluso), la sua ricchissima dotazione patrimoniale, i suoi legami politici ad altissimi livelli e il suo stretto legame parentale con Adelaide lo posero legittimamente tra i poteri regionali del Piemonte dell’inizio del XII secolo. Lo vediamo con chiarezza da un documento apparentemente assai specifico: in un anno compreso tra il 1112 e il 1118, il vescovo Mainardo di Torino convocò un’assemblea per giudicare la lite tra il monastero di S. Pietro e i visconti di Baratonia, avendo preso atto che per definire il conflitto erano stati consultati gli albesi, gli astigiani, i vercellesi, gli eporediesi, la «curia Bonifacii» e alcuni milanesi (Documenti di Scarnafigi, a cura di G. Colombo, 1902, p. 241).
L’atto – importante per molti aspetti dell’evoluzione dei poteri in area piemontese – ci mostra come in questa fase il marchese fosse un riferimento politico importante a livello regionale, tanto più perché la lite concerneva il villaggio di Scarnafigi, in un’area in cui Bonifacio era attivo sul piano patrimoniale.
Il marchese rimase ai vertici del potere regionale per un altro decennio: la sua ultima attestazione è del 1127 (una donazione al monastero di Lérins), ma l’atto che chiuse la sua vicenda politica fu invece il testamento, di due anni prima, momento di autorappresentazione del suo potere, dei suoi conflitti e del suo progetto dinastico. Una larga parte del documento, come abbiamo visto, è dedicata a descrivere i misfatti del figlio primogenito e quindi a diseredarlo, mentre assai semplice è la definizione di ciò che spetta agli altri figli: alle figlie (Sibilia e Adelaide) lasciò 100 lire l’una, mentre i figli maschi (e quelli che gli fossero ancora nati) furono nominati suoi eredi, senza differenze e senza gerarchie esplicite.
Questa scelta era stata forse alla base della ribellione di Bonifacio d’Incisa, ma fu sostanzialmente rispettata dai figli rimasti, che a vario titolo e con vario successo furono tra i protagonisti delle dinamiche politiche della Liguria e del Piemonte meridionale nei decenni centrali del XII secolo.
Fonti e Bibl.: Codex Astensis qui de Malabayla communiter nuncupatur, a cura di Q. Sella - P. Vayra, II, Roma 1887, p. 118; Documenti di Scarnafigi, a cura di G. Colombo, Pinerolo 1902, p. 241; A. Tallone, Regesto dei marchesi di Saluzzo (1091-1340), Pinerolo 1906, ad ind.; Das Register Gregors VII, a cura di E. Caspar, in MGH, Epistolae selectae, t. 2, II, Berolini 1923, p. 470.
G. Cordero di San Quintino, Osservazioni critiche sopra alcuni particolari della storia del Piemonte e della Liguria nei secoli XII e XIII, in Memorie della Reale Accademia delle scienze di Torino, s. 2, XIII (1853), pp. 1-338; R. Bordone, Affermazione personale e sviluppi dinastici del gruppo parentale aleramico: il marchese Bonifacio “del Vasto”, in Formazione e strutture dei ceti dominanti nel Medioevo. Atti... Pisa 1983, Roma 1988, pp. 29-44; H. Houben, Adelaide “del Vasto” nella storia del Regno di Sicilia, in Bianca Lancia d’Agliano. Fra il Piemonte e il regno di Sicilia. Atti... Asti-Agliano 1990, a cura di R. Bordone, Alessandria 1992, pp. 121-145; L. Provero, Dai marchesi del Vasto ai primi marchesi di Saluzzo. Sviluppi signorili entro quadri pubblici (XI-XII secolo), Torino 1992; G. Tabacco, L’eredità politica della contessa Adelaide, in La contessa Adelaide e la società del secolo XI, in Segusium, XXXII (1992), pp. 231-242; G. Sergi, I confini del potere. Marche e signorie fra due regni medievali, Torino 1995, pp. 56-141; A. Fiore, Il mutamento signorile. Assetti di potere e comunicazione politica nelle campagne dell’Italia centro-settentrionale (1080-1130 c.), Firenze 2017, pp. 36-38.