BADOER, Bonaventura
Per molti autori, nacque da Marino il 22 giugno 1332. Se è giusta la data, la paternità resta da stabilire: Marino morì infatti nel 1324. Il B. entrò giovanissimo tra gli eremiti agostiniani dei SS. Filippo e Giacomo di Padova e, alternando la vita di pietà con gli studi teologici e biblici fiorentissimi nel suo Ordine, divenne (assicura il suo contemporaneo Giordano di Sassonia) uno dei predicatori più stimati del suo tempo. Gregorio da Rimini, generale agostiniano, accortosi del suo ingegno brillante, gli concesse per stima, il 5 luglio 1358, l'eccezionale permesso di recarsi da lui, per conferire, quando l'avesse voluto. Nel 1359, raggiunta la qualifica di "lector", fu chiamato (privilegio di solito elargito ai "magistri") a partecipare alle sedute dei capitoli provinciali, mentre la necessità di completare gli studi lo portava a risiedere per lunghi periodi a Parigi (secondo una notizia, però inesatta, egli vi sarebbe rimasto ad insegnare addirittura per dieci anni). Nel famoso Studio acquisì, non prima, crediamo, del 1363, il titolo di "doctor" (la preoccupazione dell'Ordine di sostenere con forze nuove il decaduto insegnamento agostiniano all'università di Parigi poteva accelerare il corso degli studi, ma non concentrarlo troppo a scapito di una sufficiente preparazione; Bonsembiante, fratello del B. e come lui agostiniano, quantunque maggiore in età di cinque anni, ottenne la "licentia docendi" solo nel 1363 e previa dispensa pontificia). Il suo nome veniva nel frattempo conosciuto ed apprezzato alla corte papale di Avignone: nel 1364, quando Urbano V, realizzando un progetto del suo predecessore Innocenzo VI, decise di istituire la facoltà teologica nell'università di Bologna, il B. fu scelto a far parte del collegio dei nove maestri che ne fissarono gli statuti. Negli anni successivi rimase, come mostrano alcuni documenti, quasi sempre a Padova, occupato a studiare, ad insegnare e a svolgere attività pastorali. Fu in questa città, forse, che s'incontrò col Petrarca ed avviò con lui un'amicizia sincera, aliena da compiacenze letterarie, fatta di mutua stima e di interessi comuni: entrambi amavano s. Agostino e sapevano conversare di una cultura profonda che nasceva, come esigenza, dalle aspirazioni segrete dell'anima: "Venivi, secondo l'usato, a farmi visita e nella mia piccola biblioteca, siccome suoli, benignamente meco sedevi infino a sera...". Il B. e il fratello Bonsembiante, "ornamento splendido della religione agostiniana e della città di Padova", erano i soli (afferma il Petrarca in una lettera da Pavia al grammatico Donato Albanzani) capaci di compensarlo, con la loro vicinanza, dai morsi velenosi dei maligni. Perciò molto si dispiacque il Petrarca quando fu informato della tragica fine di Bonsembiante, e ne scrisse subito al B., il 10 nov. 1369, dalla casa agostiniana sui colli Euganei in cui viveva ritirato, per consolarlo, in termini accorati, della perdita improvvisa. Tanta amicizia, nonché il prestigio di uomo colto, riservarono al B., pochi anni dopo, alla morte del Petrarca, l'onore di pronunciarne l'orazione funebre, presenti in Arquà alcuni vescovi veneti, il collegio e le corporazioni universitarie di Padova e Francesco da Carrara.
Il tema del discorso è tratto dal salmo 27, "Cor meum conturbatum est in me", e procede in una sequenza celebrativa di tipo agiografico: nessuna condanna all'amante dei classici, appena un accenno, giustificante, al cantore di Laura, e poi l'insistenza sull'"alter David", consumato in vita dal "cupio dissolvi", che lo portò, ad imitazione di Cristo, a "facere et docere, suumque corpus mirabili abstinentia castigare", a digiunare "sicut propter salutem animae corpus odio videretur habere", pregava anche di notte, "non ut homo mortalis sed tamquam Paulus videbatur raptus in coelum", ed era apostolo: "multi enim illius doctrina illiusque exemplum non solum scientes sed sapientes, virtuosi et catholici facti sunt, quorum subticeo nomina ne eisdem videar adulari". È un ritratto del Petrarca che rimarrà tenace nella cultura e nella spiritualità veneta del secolo successivo ad animare uomini come Francesco da Legname,Gabriele Condulmer, Lorenzo e Paolo Giustinian, e che rivela un ideale di uomo colto e di perfetto cristiano coltivato dal B. e da altri religiosi prima che divampasse la polemica dei riformatori ecclesiastici contro la cultura.
Ormai, col passare degli anni, sempre meno poteva il B. dedicarsi alle letture preferite e alla composizione di opere teologiche ed esegetiche: la Chiesa e l'Ordine agostiniano gli assegnavano responsabilità sempre maggiori. Il 26 ott. 1375, Gregorio XI, preoccupato di salvare Bisanzio e l'Europa dal pericolo turco, inviava il B. ambasciatore a Ludovico d'Ungheria per indurlo ad opporsi con tutte le sue forze all'avanzata musulmana. Il B. andò, ma non ottenne che vaghe promesse, e poco si fermò in quella corte. Ritornato a Padova, vi rimase per il biennio successivo finché, nel maggio 1377, gli agostiniani riuniti in capitolo a Verona lo designarono alla carica di priore generale. I pochi documenti rimasti lasciano capire chiaramente ch'egli si distinse subito nell'importante dignità, come un rinnovatore, stimolando, in senso mariano e cristologico, la pietà e la vita interna dell'Ordine. Cominciò allora ad interessarsi attivamente anche della crisi avignonese: in occasione del conclave del marzo-aprile 1378 da cui uscì eletto Urbano VI, ebbe modo di manifestare il suo atteggiamento, in verità molto sereno e moderato, sulla "questione romana": si astenessero i Romani dal premere sul conclave per avere un papa "romanus vel Ytalicus", lo invitassero invece, una volta eletto, a risiedere in Roma "quia honestius erat summum pontificem residere in sua sede quam per civitates alias evagari". Il B., ovviamente nell'urto delle fazioni, non fu ascoltato: la nomina di Urbano VI restava inficiata, a detta di molti cardinali (fosse pretesto, fosse realtà), dalla pressione popolare, sicché, pochi mesi dopo, un altro conclave riunito in Anagni-Fondi creava un nuovo pontefice, Roberto di Ginevra, che prese il nome di Clemente VII e s'insediò in Avignone. Il B. osservò, a proposito di questa nuova elezione, che una parte dei cardinali non intendeva arrivare allo scisma, "sed impediti fuerunt ab aliis cardinalibus nec inde recedere potuerunt". Nell'avvenuta frattura, il B. scelse coraggiosamente la sua causa schierandosi dalla parte di Urbano VI; e questo, accanto alle note qualità, gli valse la porpora cardinalizia. Fu uno di quella "buona brigata di cardinali" che il papa creò il 28 sett. 1378, anche su preghiera di s. Caterina, per sostenere vittoriosamente l'urto dello scisma; e ricevette anzi, per l'occasione, dalla santa senese una lettera di caldo incitamento: doveva essere "colonna forte, ferma e stabile delle anime", e lavorare "nel giardino della Santa Chiesa... per onore di Dio... e reformatione della Santa Chiesa e per l'accrescimento della verità di papa Urbano VI vero sommo Pontefice". L'alta dignità non gli impedì di rimanere a capo dell'Ordine agostiniano che continuò a reggere attraverso fidati vicari, mentre si scatenava contro di lui la reazione violenta dell'antipapa Clemente: considerandolo decaduto dalla carica di priore generale ("Bonaventura", si dice nella bolla, "qui Malaventura potius vocari meretur"), questi elesse in sua vece un maestro di Basilea, Giovanni Iltalinger (lo scisma della Chiesa si proiettava così, seppure in proporzioni modeste, all'intemo dell'Ordine), e in seguito, a più riprese, lo scomunicò. Ma il B. perseverava nel suo orientamento e diventava anzi sempre di più, stretto collaboratore di Urbano VI. Intorno al 1380, insieme con il domenicano Nicola Misquino (o Caracciolo) e il francescano Tommaso da Frignano, elaborò nuovi statuti per la riforma degli studi universitari, con lo scopo di formare collegi di docenti solidamente preparati, e, otto anni più tardi (nel frattempo era tornato spesso a Padova), compì una missione diplomatica di grande importanza. Si recò in Polonia, ambasciatore del papa a Ladislao II, per rendersi interprete del compiacimento della S. Sede per la recente conversione dei Lituani, stabilire rapporti di amicizia con questo regno, accordare Ladislao con il gran maestro dei Cavalieri teutonici e con Sigismondo d'Ungheria: compito davvero difficile, ma che il B. assolse felicemente, assicurando a quelle regioni un periodo di pace. Al ritorno in patria, quando non aveva ancora sessant'anni, lo attendeva la morte, forse (accogliendo la data più attendibile) sul finire del 1385.
Antichi biografi affermano convinti ch'egli sia stato soppresso violentemente (colpito da una freccia mentre attraversava in Roma ponte Sant'Angelo) da un sicario di Francesco da Carrara che lo avrebbe avuto in odio perché acerrimo sostenitore delle immunità ecclesiastiche. La notizia non trova fondamento (le fonti non danno traccia di un aspro dissidio tra la Chiesa e il signore di Padova), ma ebbe credito al punto da innalzare il B. alla fama di beato e di martire: lo dipinse come "s. Bonaventura" (se è vero che si tratta di lui e non del santo di Bagnorea) il beato Angelico nella cappella di S. Lorenzo in Vaticano, detta di Niccolò V (un monaco dall'ampio abito con cappuccio nero e la barba bianca); lo confermano beato e martire le costituzioni dell'ordine pubblicate nel 1581 e gli Acta dei Bollandisti, anche se il culto mai fu riconosciuto ufficialmente dalla Chiesa. Il sepolcro del B., eretto inizialmente con solenne iscrizione in S. Agostino di Roma, subì varie vicende causa la demolizione della vecchia chiesa e la costruzione della nuova, finché non fu totalmente disperso dopo la metà del sec. XVIII. Sfugge, allo stato attuale delle ricerche, l'aspetto meno appariscente, ma forse più significativo della personalità del B.: quello di studioso di sacre discipline, di teologo, di predicatore. Scrisse, a detta di Giordano di Sassonia, "multa opera utilia, scilicet, sermones ad clerum ad diversas materias pertinentes, super canonicas Iacobi fecit fructuosam expositionem,". Anche il Coriolano e il Tritemio gli ascrivono numerosi trattati: Commentaria in quattuor libros Sententiarum, Tractatus de immaculata conceptione B. Mariae Virginis, Meditationes devotae in vitam Christi, Speculum B. Mariae Virginis,ecc., ma tutti restano confusi tra quelli spuri ed incerti di s. Bonaventura di Bagnorea, o circolarono adespoti o andarono perduti o mai ebbero l'onore della stampa; eppure sarebbe interessante individuarli, scegliendo a titolo di confronto la produzione più conosciuta e studiata di Gregorio da Rimini, per vedere quanto di tradizione e d'innovazione, rispetto alle correnti di pensiero dominanti, come l'occamismo, possono presentare (il tema mariologico, ad esempio, sembra nel B. una nota originale). Scritto sicuro del B. è soltanto il "sermo" pronunciato ad Arquà sul feretro del Petrarca, che fu stampato tardissimo (Sermo habitus in exequiis domini Francisci Petrarchae... a rev.mo mag. Bonaventura de Padua,a cura di A. Marsand..., Biblioteca Petrarchesca..., Milano 1826, pp. XXXIII-XXXVII).
Bibl.: F. Curlo, Ilmemoriale quadripartitum di fra, Bucci da Carmagnola,Pinerolo 1911, pp. XXXIIIs.,162-171; D. A. Perini, Bibliographia Augustiniana... Scriptores Itali, I, Firenze [19291, pp. 75-79; Id., IlB. Bonaventura Baduarioperaga..., Roma 1912; Catal. of the Petrarch collection bequeathed by W. Fiske,compiled by M. Fowler, Oxford 1916, sub voce Bonaventura Badoarius; S. Baluzius, Vitae paparum Avenionensium...,a cura di G. Mollat, II, Paris 1928, pp. 563, 602, 677, 709 s., 763 s.; A. Solerti, Le vite di Dante Petrarca e Boccaccio...,Milano s. d., pp. 269 ss.; A. Tonna Barthet, Mistici agostiniani,Firenze 1934, pp. 72-74; U. Mariani, Il Petrarca e gli agostiniani,Roma 1946, pp. 97-109; E. Duprè Theseider, Ipapi di Avignone e la questione romana,Firenze 1939, pp. 228-235; G. Billanovich, Petrarca letterato,I, Lo scrittoio del Petrarca,Roma 1947, pp. 340, nota 1, 380; G. Leff, Gregory of Rimini. Tradition and innovation in fourteenth century thought, Manchester 1961; Encicl. Cattolica,II, coll. 678 s. (in queste opere sono ricordate le fonti e la bibliografia precedente).