BOCOLI (Bocholis)
Famiglia di ingegneri noti con il soprannome di De Lera (del Hera), probabilmente derivante da una località del territorio cremonese. Attivi a Cremona dalla metà del sec. XV sino alla metà del secolo seguente, essi ebbero una vera e propria impresa edile, che usava di preferenza maestranze proprie (Puerari, 1967, pp. 38, 144 nota 159) e che lavorò alle più impartanti opere edilizie della città.
Capostipite della famiglia fu un maestro Guglielmo, già morto nel 1449, figlio di Giacomo morto nel 1430. Figli di Guglielmo furono Giacomo, Bartolomeo, Giovan Pietro e Stefano: i primi due si affermarono nella storia edilizia di Cremona. Da Giacomo nacquero Guglielmo, Bernardino e Giovan Francesco. Ancora nella seconda metà del secolo XVI si incontreranno i nomi di Giovanni Battista figlio di Giovan Francesco, di Antonio e Vincenzo, figli di Bernardino, e di Luchino figlio di Antonio.
Il più antico documento riguarda Bartolomeo, che nel 1430 è esentato dalle imposte in quanto funzionario del Comune e nel 1448 riceve un pagamento da esso (Puerari, 1967, p. 135 nota 49); nel 1450 compare il fratello Giacomo, "inzignero", che insieme con Bartolomeo è operoso (1452-53) nella chiesa di S. Omobono dove innalzano il tiburio (Puerari, 12 apr. 1964).
Anche se mancano prove documentarie, è assai probabile che Bartolomeo e Giacomo furono gli esecutori (1451-72) del progetto attribuito al Gadio (Puerari), dell'Ospedale di S. Maria della Pietà dove le terrecotte ornamentali furono eseguite da Rinaldo de Stauli (per la storia dell'ospedale vedi Puerari, 17 maggio 1964). Tra il 1454 e il 1457 essi lavorarono al Castello di S. Croce (v. Puerari, 14 giugno e 29 nov. 1964) e a questo proposito ebbero contrasti con Giovanni da Lodi (1456-1457: Arch. di Stato di Milano, Autografi, cassetta 34; Puerari, 12 aprile 1964). Nello stesso periodo (1455, 1457) il Gadio chiamava Giacomo a lavorare al Castello di Milano e anzi nel 1458 Giacomo fu nominato ingegnere ducale in sostituzione di Giovanni da Lodi e nel 1460 ingegnere di Cremona (Boll. stor. Svizzera ital., 1893, p. 78).
Un documento del 10 dicembre 1461 indica Giacomo presente a Vicenza (Puerari, 14 giugno 1964, e 1967, p. 136 nota 57): ciò fa supporre che a quest'epoca risalga l'esilio da Cremona per debiti cui accennerà il Gadio dieci anni dopo (Puerari, 29 nov. 1964, e 1967, p. 144 nota 159) scrivendo che Bartolomeo in quel periodo sostituì a Cremona il fratello. E d'altra parte possono esser messi in rapporto con quel documento certi accenti venezianeggianti che il figlio Guglielmo rivelerà nella cattedrale di Asola. I due fratelli compaiono poi tra i magistri dell'arte dei marangoni e muratori nel 1478 (Puerari, 12 apr. 1964; Codice degli Statuti nel Museo Civico di Cremona).
Oltre che nelle opere citate, Giacomo lavorò nella rocca di Soncino, alle mura di Borgo San Donnino e in altre ricostruzioni e fortificazioni di minore importanza (Malaguzzi Valeri, p. 140). Morì a Cremona il 14 genn. 1477 (Boll. storico della Svizzera ital., 1893, p. 79).
Guglielmo, figlio di Giacomo, era probabilmente maggiore del fratello Bernardino; nel 1453 aveva già lavorato nel monastero dei SS. Quirico e Giulitta, nel 1459 a S. Sisto fuori le Mura, nel 1471 riprendeva i lavori nel palazzo del Comune lasciati interrotti da Giovanni da Lodi, ed era attivo, insieme con il padre, alle Carceri (Puerari, 1967, p. 143 nota 150; riporta un documento dall'Archivio Bonetti).
Nel 1472 si pone la prima pietra della nuova cattedrale di Asola (Mantova) su disegno di Guglielmo (finita nel 1501 da artista locale); le strette connessioni tra questa chiesa e la basilica di S. Sigismondo a Cremona confermano che Guglielmo lavorò anche nella basilica: nella sagrestia, nelle fronti e nei pilastri del transetto, nei cornicioni di gronda (Puerari, 1964, 20 sett. e 29 nov.).
Per ragioni stilistiche deve essere attribuita a Guglielmo la trasformazione (dopo il 1472) della chiesa di S. Benedetto, come pure la chiesa di S. Monica (ora adibita a uso militare) il cui contratto del 1480 è riportato dal Bonetti (cfr. Puerari, 20 sett. 1964). Nel 1473, in una lettera al duca, il Gadio sosteneva la nomina di Guglielmo e Bernardino a ingegneri ducali (Puerari, 29 nov. 1964) e ancora nel 1477, morto Giacomo, Pietro Crotti scriveva al duca che i figli "valgono quanto el padre... et olso a dire più ch'al padre" (Puerari, 1967, p. 144 nota 159). Nel 1490 era affidata a Gugliemo la sistemazione muraria del palazzo Fodri (attuale Cassa di Risparmio di Milano: Bonetti, 1930) e documenti del 1497 e 1498 lo rivelano ancora attivo in quegli anni (Puerari, 20 sett. 1964), dopo di che se ne perdono le tracce.
Bernardino, figlio di Giacomo, è il più noto della famiglia. È nominato per la prima volta in un documento del 1468 (Malaguzzi-Valeri, p. 187) per la fabbrica di un chiostro e della cappella di S. Bernardino in S. Domenico. In questa chiesa, demolita tra il 1859 e il 1879, fu praticamente operoso tutta la vita: nel 1477 vi costruì infatti, su disegno di Paolo Sacca, il pontile che il 27 giugno 1499 si impegnerà di mettere in opera (vedi Bonetti, 1934, anche per i lavori successivi in S. Domenico). Tra il 1477 e il 1479 Bernardino è associato al Platina nella costruzione dell'armadio destinato alla sacrestia della cattedrale.
La composizione dell'armadio, che si ritiene costruito dal Platina su disegno di Bernardino (Puerari, 1967, p. 43), è certamente collegata alla forma architettonica della sacrestia eretta prima del 1479 con Bernardino come capomastro: tanto che gli elementi strutturali e decorativi dell'armadio hanno potuto suggerire una ricostruzione dell'ambiente (oggi distrutto) al quale esso era destinato (Puerari, 1967, p. 50 fig. 36). L'armadio stesso e ancor più la distribuzione degli specchi e i soggetti delle tarsie rappresentano una sorta di esposizione del metodo prospettico rinascimentale con una buona informazione su quanto succedeva a Mantova, Ferrara, Urbino (Puerari, 1967, passim).
Negli stessi anni e ancora sino al 1492 Bernardino dovette lavorare a S. Sigismondo, essendo riconoscibile il suo stile nelle cappelle laterali. Numerosi documenti e attribuzioni permettono di ricostruire la sua intensa attività nelle fabbriche cittadine: nel 1482 eresse le volte della chiesa di S. Tomaso; l'anno dopo collaborò certamente ancora con il Platina per il coro della cattedrale; dal 1486 lavorò alla costruzione di varie cappelle in S. Domenico (prima insieme con F. Pampurino, poi, nel 1491, con Pietro Cerveri: Bonetti, 1934). Nel 1492 fu posta la prima pietra per la facciata di S. Sigismondo: essa rivela conoscenze di architettura ferrarese che si ritrovano nel palazzo presso S. Luca voluto da Eliseo Raimondi (attuale palazzo Bellomi: Puerari, 1967, p. 37) concluso probabilmente nel 1496 (la data è sulle due lapidi). Sempre nel 1496 Bernardino lavorò nella chiesa di S. Agata (Puerari, 1967, p. 143 nota 139; la facciata è stata poi trasformata), costruì il palazzo Meli presso S. Michele e il palazzo Stanga a S. Vincenzo (attuale Istituto tecnico agrario; la facciata è rifatta); del 1497 è il palazzo Stanga a S. Luca (oggi Rosso di San Secondo: resta di suo la facciata posteriore; Puerari, 14 giugno 1964).
Nel 1497 successe al fratello Guglielmo nei lavori al palazzo del Comune (Arch. Bonetti, p. 55) nel quale è riconoscibile il suo stile nella finestra del lato nord-orientale (Puerari, 14 giugno 1964).
E i documenti (Arch. Bonetti) si succedono ancora nel nuovo secolo con gli adattamenti per la Rocca di Borgo San Donnino (1503), andata distrutta, la cappella dei conti Persico (1503), e quella Pallavicini (1505) in S. Domenico: nel 1514, insieme con Daniele Cappellani, si impegna a finirla dichiarando di conoscere quella di S. Maria delle Grazie a Milano alla quale questa si ispirava. Sono documentati restauri a S. Michele nel 1508 e, nello stesso anno, nella cappella maggiore e due laterali in S. Francesco, per le quali, su disegno di Eliseo Raimondi, lavorò Antonio, figlio di Bernardino (architetto come il fratello Vincenzo), che avrebbe disegnato pure gli stalli del coro. Nel 1512 Bernardino lavorò a una casa per i Favagrossa nella vicinia di S. Lucia e a una per i Persico per la quale nel 1517 disegnò la loggetta.
A Bernardino vengono pure attribuiti il tempietto del Cristo Risorto a S. Luca (1502), il chiostro di S. Abbondio (1511), il chiostro di S. Sigismondo (1494-1505): monumenti in cui l'accoglimento di motivi bramanteschi - più palesi nel tempietto rientra nella tradizione dell'architettura locale. Nel chiostro e nella facciata di S. Sigismondo, come nel chiostro di S. Abbondio, il vivace contrasto tra il cotto a vista e il rivestimento dell'intonaco esprime la nuova coscienza prospettica rinascimentale dello spazio e della luce sulla superficie piana (Puerari, 1967, pp. 40, 50).
Morì a Cremona nel 1519.
Bernardino riprese quel processo di rinnovamento dell'architettura lombarda del '400, al quale Bartolomeo Gadio aveva dato particolare impulso. Sensibile a qualche nozione toscana albertiano-brunelleschiana del Rinascimento, questi si era rifatto alla tradizione romanico-gotica settentrionale e, ereditandone la tecnica secolare, aveva conciliato lo sviluppo architettonico in senso orizzontale con il verticalismo gotico nella struttura, poi divenuta tipica, della volta unghiata, imprimendole una inedita monumentalità; dalle sale del Castello Sforzesco di Milano, all'Ospedale di S. Maria della Pietà, alla navata e transetto della chiesa di S. Sigismondo in Cremona: uno schema poi ripreso dall'architettura cinquecentesca e barocca. Egli lo adattò e diffuse in Cremona, snellì le masse e le proporzioni con quella maggiore consapevolezza rinascimentale che gli veniva dalla cultura toscana, ma come aveva potuto conoscerla a Mantova, a Padova, a Ferrara, con cui Cremona aveva relazioni fattesi più frequenti nell'ultimo quarto del secolo e confermate, del resto, dalla pittura locale: dai due Bembo, Bonifacio e Benedetto, al Della Corna, al Cicognara, al Boccaccino. Il B. portò a maturazione, a Cremona, la fase del primo Rinascimento e riuscì il maggiore architetto della città padana, soprattutto durante la dominazione sforzesca, che ne aveva promosso il rinnovamento urbanistico. Suo capolavoro resta il palazzo Raimondi, di ispirazione albertiano-rossettiana. Molti suoi edifici andarono distrutti (Puerari, 1967, p. 60), ma ci è consentito integrare la portata dell'opera sua, potendo riconoscere il suo stile nelle tarsie del Platina per l'armadio della sagrestia e per il coro del duomo di Cremona - per le quali egli fornì le composizioni d'ispirazione architettonica - nella fase della sua formazione (Puerari, 1967, pp. 43 ss.): una specie di pagina urbanistica della Cremona quattrocentesca, un taccuino di idee attinte soprattutto a Padova e a Mantova; come pure una messa a punto degli acquisti rinascimentali che la città padana andava facendo dai centri delle regioni più prossime.
Fonti e Bibl.: Cremona, Biblioteca Governativa e Libreria Civica: Archivio Bonetti, C. Bonetti, Maestri de muro...: i Bocholis detti De Lera (contiene imbreviature notarili riguardanti la famiglia in parte trascritte e riassunte); A. Campo, Cremona fedelissima..., III, Cremona 1585, p. XIV (per pal. Raimondi di Bernardino); M. Caffi, Di alcuni artisti cremonesi...nei secoli XV e XVI, in Archivio stor. lombardo, XV (1888), p. 1089 (Bernardino); Architetti ed ingegneri militari sforzeschi. Repertorio di fonti e notizie, in Boll. stor. d. Svizzera ital., XV (1893), pp. 78 s. (Giacomo e Bernardino); F. Malaguzzi Valeri; Dagli archivi..., in Rassegna d'arte, 1902, pp. 140, 187 (Giacomo, Bernardino); C. Bonetti, Il palazzo Fodri(1488-1492)…, in Cremona, II (1930), pp. 343 s. (Gugliermo); Id., La chiesa di S. Domenico e la sua agonia, in Boll. stor. cremonese, IV (1934), 1-2, pp. 86-88 (Bernardino); A. Puerari, Architetti cremonesi del '400, Bartolomeo Gadio, Il Castello di Santa Croce, in La Provincia (Cremona), 27 ott. 1963, p. 9; Id., …Ingegneri e imprese edilizie,ibid., 12 apr. 1964, p. 9; Id., L'ospedale Maggiore, ibid., 17 maggio 1964, pp. 8-10; Id., La bella Cremona degli Sforza, ibid., 14 giugno 1964, pp. 9 s.; Id., Architetti cremonesi del '400.Edifici di Guglielmo de Lera, ibid., 20 sett. 1964, p. 9; Id., Il capolavoro del Gadio: San Sigismondo, ibid., 29 nov. 1964, pp. 8-10; Id., Le tarsie del Platina, Milano 1967, passim.