Biopolitica
biopolìtica s. f. – La considerazione delle condizioni di vita degli esseri umani, in termini di salute, alimentazione, variazioni demografiche, rischi ambientali ecc., intesa come questione centrale della politica. La riflessione sui nessi fra vita biologica e potere politico è stata elaborata nel corso del 20° sec. da prospettive diverse (biologico-zoologica, etico-umanistica, sociopolitica), ma il dibattito filosofico-politico attuale è stato avviato dai corsi tenuti da Michel Foucault al Collège de France nel 1978-1979 (Naissance de la biopolitique. Cours au Collège de France, 2004; trad. it 2005). Foucault considera la b. e il biopotere categorie centrali della politica a partire dal 18° sec.; la vita è la posta in gioco della politica che si occupa di prolungarla e migliorarla governando processi di riproduzione, risanamento, profilassi, e incrementando lo sviluppo in chiave biopolitica della statistica demografica, dell’igiene e dell’economia stessa. Giorgio Agamben (Homo sacer, Il potere sovrano e la nuda vita, 1995) identifica nello sterminio nazista l’esito del biopotere e di una sovranità che può ridurre il soggetto a corpo e a nuda vita. Dopo il 2000 Michael Hardt e Antonio Negri intendono invece in chiave positiva la b. come irriducibilità della debordante produzione sociale che supera e resiste alle forme istituzionali, giuridiche ed economiche le quali tendono a controllarla e normarla (Impero. Il nuovo ordine della globalizzazione, 2002). Una nuova elaborazione, distante sia dalla visione di Hardt e Negri, sia da quella di Agamben, si ha in Roberto Esposito (Bios. Biopolitica e filosofia, 2004). Nei nuovi scenari internazionali, al carattere etnico dei conflitti, alla sovrapposizione fra politica e polizia, alla migrazione di uomini e donne privi di statuto giuridico e ridotti allo stato di ‘nuda vita’, corrispondono sia un’ingerenza umanitaria che travalica la sfera regolata e tradizionale dei diritti sia una politica orientata sempre più insistentemente verso la sicurezza (sociale, ambientale, biologica), nella quale si consolida la centralità della politica sanitaria. In tale scenario emerge, nei paesi occidentali, una richiesta di gestione individuale del proprio corpo da parte di soggetti sempre meno inclini a farsi rappresentare da tradizionali istituzioni statali, partitiche e sindacali. Ciò comporta, secondo Esposito, il superamento della teoria giuridico-politica moderna in favore di una nuova idea, e pratica, politica «situata nell’orizzonte di senso di una vita irriducibile ad astratti modelli normativi» (voce «biopolitica», VII appendice, Istituto dell’Enciclopedia Italiana). Le idee di vita e di politica, con i loro possibili esiti, vengono ad articolarsi con quelle di ‘comunità’ (intesa come apertura delle barriere di protezione dell’individuo) e di ‘immunità’ (intesa sia in senso biologico sia in senso giuridico come costituzione dei confini dell’identità), in uno scenario biopolitico, in cui la comunità resiste all’eccesso di immunità (Communitas. Origine e destino della comunità, 2006).