SALTINI, Zeno
Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 89 (2017)
Nacque a Fossoli di Carpi (Modena) il 30 agosto 1900, nono dei dodici figli di Filomena Righi e di Cesare Saltini.
Battezzato nella parrocchia di Fossoli, fu comunicato e cresimato il 20 maggio dal vescovo di Carpi Andrea Righetti, avendo come padrino il fratello. Frequentò le scuole elementari e la scuola tecnica Ciro Menotti del paese fino a quattordici anni. Impiegato nel lavoro dei campi di una piccola proprietà fondiaria costituita a ridosso della zona delle bonifiche di età unitaria dal nonno Giuseppe, incontrò nel 1914 don Sisto Campagnoli, economo spirituale da quell’anno e poi arciprete di Fossoli dal 1915.
Zeno divenne adulto nell’Italia del primo dopoguerra, conservando vivo il ricordo della socialista dei prampoliniani e formato dalla predicazione del suo parroco, don Sisto, che come molta parte del clero di quel periodo era rimasto affascinato da Romolo Murri (per questo fu accusato di essere ‘murriano’) che nel 1905 aveva disputato pubblicamente sul Gesù socialista proprio con Prampolini nella vicina Reggio Emilia.
Chiamato alle armi con l’ultimo scaglione, dopo i ragazzi del 1899, visse la vittoria durante l’addestramento reclute del III reparto telegrafisti; terminò così il servizio a Firenze fra la fine del 1918 e l’inizio del 1919. Ai tempi della leva rimonta una discussione, molte volte rievocata ai suoi sodali, con un anonimo commilitone anarchico, molto colto, che mise in ridicolo la sua posizione di militante cattolico. Avrebbe poi attribuito a quello scontro umiliante – il «pizzico di Dio sulla coscienza» – la decisione di fare di un’aspirazione alla giustizia una vocazione, che fu prima professionale e poi religiosa. Riprese così gli studi e conseguì la maturità al liceo Muratori di Modena nell’estate del 1923. Il 20 ottobre 1926 si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza della Università Cattolica di Milano, dove venne ammesso con la prescritta lettera del parroco.
A Fossoli e a Carpi, come d’uso, lo studente fece pratica di vita associativa. Ciononostante restò presidente diocesano della Gioventù cattolica, nel momento in cui lo squadrismo individuò proprio nel paesino di Saltini un bersaglio: il 2 ottobre 1921, infatti, venne pugnalato Enea Arbizzi, come atto di ritorsione per una precedente spedizione in cui erano rimasti uccisi due fascisti.
Come dirigente di quella che sarà la GIAC partecipò ala fondazione del giornalino L'Aspirante, organo dei ragazzi Azione cattolica, che insieme a Gioventù italica e Gioventù nova sarebbe stato uno degli organi dell’opera. Questi incarichi gli permisero di entrare in contatto con il vescovo Giovanni Pranzini, al quale manifestò il suo desiderio di diventare sacerdote (Pranzini aveva già ordinato un fratello di Saltini). Il vescovo lo indirizzò così verso l’Opera realina di Carpi, una associazione per l’aiuto ai giovani che il lessico del tempo definiva ‘sbandati’. L’opera, tuttavia, conobbe una crisi di funzionamento, sicché Zeno dovette trasferirsi a Verona, nella casa di don Giovanni Calabria, che lo aiutò a rimettere ordine nel suo percorso sin lì problematico.
Saltini si laureò in giurisprudenza il 16 dicembre 1929 con una tesi sulla condizione apposta del can. 1092 del CJC e con la tesi orale sul matrimonio civile (con valutazione finale di 75 su 110, a testimonianza di un cursus non brillante).
Ricevuta l’ordinazione presbiterale da monsignor Pranzini dopo un solo anno di teologia, il 4 gennaio 1931 Saltini celebrò la prima messa nel duomo di Carpi; in quella occasione, dichiarò pubblicamente di aver adottato come figlio Danilo ‘Barile’, un giovane ex detenuto del correzionale minorile che era stato scarcerato.
Saltini chiese dunque a Pranzini di essere destinato alla predicazione itinerante: a tal fine, fu assegnato quale cappellano all’antica parrocchia di S. Giacomo Roncole di Mirandola, dove da qualche decennio esisteva una forte tradizione socialista e anarchica e dove si insediò il 22 giugno, pochi giorni prima dell’enciclica Non abbiamo bisogno.
A S. Giacomo Roncole don Zeno fondò la sua prima istituzione, l’Opera piccoli apostoli, rivolta a ragazzi in miseria e dal raggio d’azione che ricorda le iniziative di don Bosco: fondò infatti una tipografia e stampò un foglio di lettura popolare che riprendeva usi salesiani. Aprì anche un cinema nel paese e poi in altri dieci frazioni dell’area, che visitava in motocicletta. Le proiezioni cinematografiche domenicali diventarono il surrogato della catechesi, mentre il cinema divenne il luogo della sua predicazione rivoluzionaria, che però – o per una sorveglianza sua o per una affettuosa protezione degli uditori – non fu mai apertamente ostile al regime.
Le sue furono iniziative ‘classiche’ nella cornice – simili a quelle delle opere di ‘artigianelli’ o della tradizione salesiana – ma in effetti nettamente orientate verso le classi subalterne. Per questo riscossero un largo consenso popolano e qualche sospetto. Nell’Italia in cui i rapporti fra regime e papato conobbero le fessurazioni della crisi sull’Azione cattolica, il contenuto della predicazione di don Zeno lo fecero attenzionare dalla polizia fascista, senza che vi fosse un vero e proprio scontro (l’episodio in cui egli suggerì al commissario di polizia di Mirandola, che lo interrogò dopo un comizio, di sequestrare il Vangelo come libro sovversivo, dimostra la inesistenza di conflitti effettivamente pericolosi).
Nel 1936 Carlo De Ferrari, stimmatino, divenne vescovo di Carpi succedendo a Pranzini. Poco dopo la sua nomina egli affidò la parrocchia di S. Giacomo a Vincenzo Saltini, fratello di Zeno (più giovane di quattordici anni) che aveva interceduto per lui presso don Giovanni Calabria. Legato alla bolognese madre Maria Costanza Zauli e a padre Pio da Pietralcina, don Vincenzo avrebbe fondato e poi incardinato nella diocesi di Bologna i sei preti e i ventidue seminaristi che con lui avevano fondato l'Istituto Oblati di Cristo Sacerdote. Sempre grazie all’intercessione di monsignor De Ferrari, la sorella di don Zeno e don Vincenzo, Nina (Marianna) Saltini, invece, fondò a Carpi, nel palazzo di Via Matteotti 71, un’opera per la cura delle figlie delle prostitute, avviando così l’esperimento di adozione monoparentale di madri surrogate (su di lei si sarebbe aperto un processo di beatificazione che avrebbe portato alla proclamazione delle virtù eroiche da parte di Giovanni Paolo II nel 2002). Similmente, don Zeno Saltini ammise nella sua opera donne consacrate affinché esercitassero una maternità piena, perpetua e volontaria nei confronti dei piccoli: saranno le ‘mamme di vocazione’. La prima di queste fu Irene Bertoni (1923-2016), che il 21 luglio 1941 fuggì di casa, ancora minorenne, per seguire Don Zeno. L’8 dicembre di quello stesso anno si presentò con due ragazzi abbandonati al nuovo vescovo di Carpi, Vigilio Federico Dalla Zuanna, chiedendo di essere riconosciuta come loro madre per vocazione. La richiesta fu accolta, e il vescovo benedì e consacrò la giovane nell’ambito della liturgia natalizia di quell’anno. Irene Bertoni, sarebbe poi divenuta ‘mamma per vocazione’ di altri 58 figli. Poco dopo, anche Maria Luisa Amadei assunse tale status.
Nel 1943 Don Zeno tentò di avviare due nuove iniziative: la pia unione dei sacerdoti dei Piccoli apostoli e quella dei Padri di famiglia. Tali imprese, tuttavia, non ottennero il successo sperato, poiché segnate dai difficili mesi di guerra. Il nuovo vescovo Dalla Zuanna, peraltro, che aveva sempre mantenute le distanze dal regime, dopo la sua caduta se ne fece esplicito oppositore, dando anche supporto ai ricercati e alle truppe di occupazione (per questo nel 2004 il presidente della Repubblica gli avrebbe riconosciuto la medaglia d’oro al valor civile). Non c’è modo di sapere se sia stata questa copertura della autorità, una convinzione di doversi palesare o una mutata decisione personale alla base della decisione di Don Zeno di predicare apertamente contro i fascisti nell’estate del 1943; ma i rapporti di polizia che lo definirono «prete bilioso» e «mestatore da bordello», chiedendo alla curia il suo internamento in manicomio non sono poco eloquenti.
Dopo il 25 luglio 1943 i Carabinieri lo arrestarono per aver diffuso un volantino che invitava i padri «a riunirsi intorno all’altare per ritrovare dignità e libertà»; rilasciato a furor di popolo dalla caserma dove era trattenuto, venne denunciato a piede libero. Capì bene dopo l’8 settembre di dover passare in clandestinità come tanti: si diede alla macchia con venticinque giovani renitenti la leva repubblichina e tentò la fuga verso il Mezzogiorno. Molti dei ragazzi desistettero nel percorso di questo non proprio invisibile gruppo; lui invece passò la linea del fronte sul lato adriatico, a Fossacesia, dove il gruppo si disperse: si spostò in varie canoniche campane e dell’agro, per approdare poi nella Roma liberata, dove soggiornò e ebbe contatti con il mondo che riorganizzò la politica cattolica, dagli ex popolari fino alla sinistra cristiana. Mentre Saltini scrisse un memoriale a Pio XII che non gli guadagnò l’udienza che sperava di avere, i suoi compagni di presbiterio, gli ex ragazzi dell’Opera rimasti in diocesi e i preti con cui aveva avuto rapporti, parteciparono alla stagione resistenziale pagando un alto prezzo per la loro scelta: don Elio Monari, modenese, fu catturato nella battaglia di Piandelagotti per esser poi torturato dalla banda Carità e fucilato a Firenze il 16 luglio 1944; don Ilvo Silingardi, venne incarcerato e torturato a Modena fino alla liberazione; don Arrigo Beccari e don Ennio Tardini, che misero in salvo a Villa Emma a Nonantola gli ebrei perseguitati, furono arrestati e trattenuti sino alla liberazione.
Rientrato a Carpi dopo la liberazione, don Zeno pronunciò un famoso comizio – «fé du moç», «fate due mucchi») – con il quale teorizzò la democrazia come sostituto della rivoluzione, perché concedeva ai poveri di palesarsi come maggioranza e instaurare una giustizia evangelica. La cosa non passò inosservata a Roma, che ordinò a Della Zuanna di vietare il primo congresso del nascente movimento e la ‘costituente’ rivoluzionaria; e non decollò perché priva di una base organizzativa capace di resistere alla ostilità sia democristiana sia comunista. Don Zeno decise così un repentino cambio di rotta: anziché persistere nel tentativo di istituire un movimento politico di comunismo evangelicale, decise di anticipare quella utopia evangelica in una realizzazione concreta: in uno spontaneo assalto i militanti dell’opera occuparono nel maggio del 1947 l’ex campo di prigionia di Fossoli, usato dopo la liberazione si per internare gli epurati sia come campo di raccolta per sopravvissuti alla Shoah che desideravano partire per la terra d’Israele. Fu l’atto di nascita di Nomadelfia (legge di fratellanza) come ‘città’ che aveva l’aspirazione di essere una piccola cristianità regolata dalla legge di Dio e di accogliere chi viveva nel bisogno. La risposta fu notevole: già nel 1948 furono un migliaio i bambini educati in questo originalissimo brefotrofio; e andando verso il 18 aprile perfino Pio XII diede la sua benedizione («Faccia, don Zeno, faccia, è il papa che glielo dice, il papa è con lei»), che almeno soggettivamente risolsero il problema del destino di questa comunità che per un verso colpì sia il mondo ecclesiastico, che confondeva il rifiuto del liberalismo borghese con la nostalgia di una cristianità perduta, sia l’utopismo rivoluzionario che vi vide una anticipazione della società senza classi. Ma colpì anche coloro che vedevano nell’esperimento un pericolo politico di prima grandezza, che avrebbe avuto nella chiesa e nella DC i propri implacabili persecutori. Anche perché fu proprio una delle antenne più sensibili dell’evangelismo italiano marginalizzato di quegli anni, padre Davide Maria Turoldo, a vedere Nomadelfia e a darle un valore pubblico: il servita costituì nel maggio del 1949 un comitato pro Nomadelfia (presieduto dalla contessa Maria Giovanna Albertoni Pirelli, madre della mentore di don Milani) e fece crescere dentro il suo ordine una simpatia per il movimento che avrebbe portato alcuni frati serviti a trasferirsi a Nomadelfia con il permesso dei rispettivi superiori. Questo sostegno permise di fondare presso Grosseto un’altra Nomadelfia.
La delusione della DC dopo il 18 aprile (non fu qualitativamente dissimile da quella proprio di un don Milani o di un Dossetti) diventò, nello stile di don Zeno, oggetto di denunce vibranti che colpirono il partito e il governo, per arrivare fino al papa stesso. Fu lo Stato a farsi carico di innestare una repressione la cui traccia cartacea – un rapporto della prefettura, dal Viminale di Scelba e Scalfaro alla S. Sede — è rivelatrice di una intesa previa. Fu la Segreteria di Stato e non il S. Uffizio a comunicarle a Dalla Zuanna per i provvedimenti del caso. Don Zeno non intuì le ragioni di questa manovra, né colse le analogie che allarmarono Roma che vedeva in una filiera più ampia – Mazzolari, Milani, Saltini, Spadoni – un rischio politico e teologico da stroncare: propose un nuovo movimento popolare di democrazia diretta ostile anche ai partiti e pubblicò nel 1951 Dopo venti secoli: un pamphlet di cui certo le autorità apprezzarono la denuncia del comunismo come camuffamento dello sfruttamento, meno la denuncia del capitalismo come vera causa della secolarizzazione. Sono temi di quell’anticapitalismo in tonaca che attraversò il clero italiano e che, specie dopo la scomunica ‘dei comunisti’ del 1949, permise al S. Uffizio di intervenire, sia per ragioni di merito che di mansionario, nel braccio di ferro ancora non risolto fra l’organismo disciplinare e quello politico nella gestione dell’anticomunismo nella politica italiana.
Così, surclassando la prudenza di Montini e della Segreteria di Stato, Alfredo Ottaviani, il cardinale a capo di quell’organo, assestò in pochi mesi alcuni colpi fatali: ad agosto del 1951 venne revocato ai serviti di Nomadelfia – fra i quali Giovanni Vannucci e Davide Maria Turoldo – il permesso di dimora fuori dal convento per ordine dall’alto. Una amministrazione spericolata nel far debiti a cui non si poteva far fronte (già stigmatizzata da Adesso e da Il gallo) divenne insostenibile. Tanto più dopo che il 5 febbraio 1952 il S. Uffizio ordinò a don Zeno, per il tramite della nunziatura in Italia, di lasciare Nomadelfia; a maggio il cardinal Schuster firmò una notificazione di pubblica disapprovazione dell’opera, che tagliò i legami, già compromessi, con un mondo di donatori generosi. La liquidazione divenne l’unica via canonica e finanziaria possibile.
A giugno del 1952 un commissario nominato dal prefetto di Grosseto tolse i bambini alle madri adottive e disperse, con il foglio di via, i Nomadelfi, che come i monaci in URSS si costituirono in ‘società dei nomadelfi’ per vivere una vita idioritmica. Dal canto suo il prefetto di Modena decretò la liquidazione coatta di Nomadelfia, anche se a novembre del 1952 il tribunale di Bologna assolse don Zeno e i suoi dall’accusa di truffa e millantato credito.
Dall’altra parte la congregazione concistoriale domandò e ottenne le dimissioni del vescovo Dalla Zuanna, mentre a don Zeno fu proibito, con provvedimento del S. Uffizio, di ricostituire Nomadelfia, cosa che lo espose alla sanzione canonica per inadempienza.
Don Zeno anticipò i tempi: pubblicò a maggio del 1953 Non siamo d’accordo, e domandò la riduzione allo stato laicale, concessa a novembre di quell’anno: furono i mesi in cui andò in porto l’operazione per mandare Montini ‘in esilio’ a Milano e allontanarlo dalla Roma pacelliana che si avviava ai quattro cupi anni del suo tramonto.
L’ex ‘don’ Zeno continuò, attraverso una forma invisibile di organizzazione famigliare, un’azione di solidarismo egualitario su base famigliare. Il cambio di pontefice e la fine del centrismo alleviarono la pressione ecclesiastica e politica: da parte vaticana si incoraggiò la risoluzione delle questioni debitorie pendenti, e la nuova Nomadelfia, re-insediata nel Grossetano, rivisse grazie ad un compromesso sancito dall’atto pontificio con cui papa Giovanni riammise don Zeno all’esercizio del ministero sacerdotale, senza più responsabilità amministrativa e senza funzioni di carattere politico.
Don Zeno divenne dunque ‘solo’ don Zeno: anche se il tentativo dell’anziano prete di far nascere altre iniziative presto abortite testimoniò che la sua qualità fabbricante non si era appannata con l’età: solo nel 1980, in una udienza a Castelgandolfo, il papa offrì una interpretazione risarcitoria dell’esperienza saltiniana: «Se siamo vocati a essere figli di Dio e tra noi fratelli, allora la regola che si chiama Nomadelfia è un preavviso e un preannuncio di questo mondo futuro dove siamo chiamati tutti».
Patriarca appartato della sua creatura, don Zeno si spense lentamente. Il 13 gennaio 1981 fu data notizia a Nomadelfia della sua agonia: la morte lo colse il 15 gennaio.
Opere. Nel 2002 e nel 2011 gli scritti militanti di don Zeno Saltini sono stati ristampati e raccolti in cofanetto (edizioni Nomadelfia). A Grosseto, nel 2002, furono pubblicati, in particolare: Tra le zolle; I due Regni; Alle radici; La rivoluzione sociale di Gesù Cristo; La soluzione sociale proposta da Nomadelfia.
Attorno alla repressione di Nomadelfia, si veda in partic.: Dopo venti secoli, Grosseto 2002; Non siamo d’accordo, Grosseto 2002; L’uomo è diverso, Grosseto 2002; Sete di giustizia, Grosseto 2002.
Dopo la riammissione al sacerdozio: L’unione tra la Chiesa e il nuovo popolo dei normadelfi, Grosseto 2002; Dirottiamo la storia del rapporto umano, Grosseto 2002. Alcune meditazioni spirituali stese fra il 1938 e il 1980 state raccolte in Dimidia hora, Grosseto 2002.
Fonti e Bibl.: Le carte di don Z.S. sono custodite a Nomadelfia e sono consultabili; le carte sulla sua persecuzione sono in una zona dell’Archivio apostolico Vaticano che all’inizio del XXI secolo attende ancora di essere aperta. Una selezione per campioni dell’epistolario è stata edita come Don Zeno di Nomadelfia. Lettere da una vita, II, Bologna 1998.
Fonti e Bibl.: Provengono dall’interno dell’esperienza di Nomadelfia B. Matano, Vita di Nomadelfia, Roma 1970; N. Galavotti, Mamma a Nomadelfia, Autobiografia di una madre di 74 figli, Cinisello Balsamo 1995. Oltre a molta produzione di tipo apologetico, oggi prevalente rispetto a quella denigratoria, esiste una prima storiografia iniziata con la ricostruzione documentata di R. Rinaldi, Don Zeno, Turoldo, Nomadelfia, Era semplicemente Vangelo, Bologna 1997; Don Zeno e Nomadelfia, tra società civile e società religiosa, a cura di M. Guasco-P. Trionfini, Brescia 2001 ha fornito un quadro storico-religioso generale; sulla persecuzione di Scelba e della S. Sede: R. Rinaldi, I movimenti popolari politici di don Z. S. nella Bassa modenese (1945-1946-1950), Verona 2002, che ha portato alla bibliografia monumentale dello stesso R. Rinaldi, Storia di don Zeno e Nomadelfia, I-II, Grosseto 2003 e di cui è in cantiere il volume III (1962-1980), dove confluiscono anche gli studi sui documenti del vescovo deposto, cfr. R. Rinaldi, La resistenza di un vescovo, Vigilio Federico Dalla Zuanna vescovo di Carpi tra guerra e ricostruzione, Cinisello Balsamo 1996; per il contesto diocesano cfr. Storia della Chiesa di Carpi, a cura di A. Beltrami-A.M. Ori, I-III, Carpi 2006.